Tim Hecker, nel corso della sua straordinaria carriera, ha sempre dimostrato di essere un gigante della musica elettronica di ricerca. Negli anni più recenti ha creato le imponenti cattedrali noise di "Ravedeath 1972" (2011), che hanno mostrato un'incredibile capacità narrativa, che trovava come luogo ideale per descrivere i suoi paesaggi ("In The Fog", "In The Air") una chiesa in Islanda, in modo non dissimile da quanto fatto mezzo secolo prima da Popol Vuh e Tangerine Dream.
Due anni dopo con "Virgins" (2013) intraprende una via molto differente; abbandonate le glaciali e desolanti nebbie, traccia un nuovo percorso che tenta di esplorare un modo altro di intendere la musica elettronica contemporanea, dominato dalla de-strutturazione violenta, da un caos frammentato che raramente trova pace.
"Love Streams", suo ottavo album in studio, rappresenta, da molti di vista, la naturale evoluzione di "Virgins", pur mantenendo sempre la missione di Hecker di rinnovarsi e di essere costantemente avanti rispetto all'elettronica contemporanea. Hecker trova il nuovo elemento da sviscerare e approfondire; la voce. Una voce che diventa punto di congiunzione tra la contemporaneità e il Rinascimento, vero filo conduttore di tutto l'album, come un flusso continuo senza soluzione di continuità che parte dai synth di "Obsidian Counterpoint" fino agli spettri di "Black Phase".
Un tentativo quasi inaudito di far convivere i suoni alieni dell'elettronica con i cori delle opere del compositore fiammingo Josquin Desprez (1450-1521). I cori rinascimentali di Desprez (cantati in latino ma poi invertiti al pc), rielaborati e snaturati digitalmente con la collaborazione di Jóhann Jóhannsson e del produttore Ben Frost, introducono aspetti nuovi e mai esplorati da Hecker. Il tentativo potrebbe rimandare al magnifico Lp del duo Ambrose Field & John Potter, "Being Dufay" (2009), ma la musica di Hecker ha ambizioni totalmente diverse; non c'è nulla di sacro in essa, nulla di antico, nulla che sembri onorare passati splendori.
Mentre Ambrose Field & John Potter inseriscono sapientemente sottofondi elettronici in un contesto che ricalca ancora la tradizione, immergendo i mottetti rinascimentali nella modernità senza renderli altro se non se stessi, Hecker fa un'operazione assolutamente differente; i cori manipolati sono gettati in un vortice elettronico ("Music Of The Air"), in un marasma caotico ("Castrati Stack"), snaturati sino all'irriconoscibilità ("Violet Monumental"), a volte ("Black Phase") salvati dalla de-costruzione ma lacerati da drammatiche distorsioni di chitarra riprese da Ben Frost. Sembra proprio che Hecker voglia indicarci quella che potrebbe diventare la musica elettronica dei prossimi dieci o quindici anni.
Ma non è solo l'elemento voce a lasciare il segno: la superba "Music Of The Air" è uno dei brani con maggiore pathos, dove il tappeto sonoro si concilia meglio con voci e cori. "Violet Monumental I" e "Violet Monumental II" si segnalano per la maggiore enfasi drammatica, per la solennità e per la totale de-costruzione. In "Voice Crack" sono presenti anche le note di un clavicembalo mentre in "Castrati Strack" le elaborazioni vocali raggungono livelli inattesi di vigore e potenza.
Ma è nei due brani finali che la poetica di Hecker raggiunge il suo punto di arrivo; "Collapse Sonata" nel suo lento incedere, nel suo dischiudersi - nei due minuti finali - in sonorità basinskiane rappresenta l'addio e il riconoscimento della vecchia forma sonata, allo stesso tempo onorata e deformata, rispettata ma vittima predestinata di questo processo demolitore. Un album come questo non poteva che concludersi con i sei minuti della superba ed enfatica "Black Phase" (il brano più lungo), a suo modo summa e vetta del nuovo Hecker, che qui utilizza la musica rinascimentale di Josquin Desprez in un contesto - come si evince dalle immagini del video - angosciante e pauroso che si avventura verso quella linea che separa la vita e la morte, in quella visione sfuocata (vedi la copertina) che divide l'antichità e la modernità, il passato e il futuro. E se parliamo di futuro pochi musicisti sono in grado di proiettarvisi con la stessa intensità di Hecker.
04/05/2016