Ma l'esperienza d'ascolto di "The Blue Hour" era partita già con l'afflato sinfonico di "The Invisible", la voce di Brett Anderson che penetra sin nelle ossa mentre una ragazza si dondola sull'altalena, e la più abrasiva "Don't Be Afraid If Nobody Loves You", con sugli scudi le chitarre di Richard Oakes. A quel punto l'attesa per l'ascolto dell'intero "The Blue Hour" si è fatta spasmodica, solo in parte sedata da "Flytipping", oltre sei minuti che condensano gran parte delle anime dei Suede, comprese una flebile tendenza al noise e la magniloquenza delle strutture. Basterebbero queste quattro tracce per fare di "The Blue Hour" un disco monumentale, iper-emozionante, che lascia increduli e rischia di strappare lacrime (di malinconica gioia) ai fan, per di più rafforzato da una scrittura ambiziosa, che ricerca lo svolgimento cinematografico. Ma anche il resto della scaletta non delude certo le aspettative.
Da un lato c'è il passo melodrammatico dei tempi migliori, inaugurato dai leggiadri arrangiamenti presenti dalle prime note dell'iniziale "As One", dall'altro lato c'è la fiamma del britpop sempre accesa, che sa facilmente trasmutarsi in anthem rock, aspetto sancito sin dalla successiva "Wastelands". Brividi, brividi a fior di pelle ovunque, nei tremendi crescendo di "Beyond The Outskirts", negli arpeggi di "Mistress", nell'evocativa pace di "All The Wild Places". L'emotività si attesta ai massimi storici, rinforzata dal puntuale lavoro dell'Orchestra Filarmonica di Praga, che trasforma alcune tracce in vere e proprie liturgie, come accade per "Chalk Circles", sorta di intro per la rotonda "Cold Hands", uno di quei pezzi che farebbero la fortuna di qualsiasi band emergente d'oltremanica.
Brett Anderson deve aver fatto un patto col diavolo: lo osservi e lo trovi ancor più splendente e autorevole rispetto a (sigh!) tanti anni fa, lo ascolti e scopri che la sua voce col passare del tempo si è ancor più arricchita di sfumature. In "The Blue Hour" la band ci racconta l'ora del crepuscolo, quando il rosso del tramonto lascia gradualmente spazio al buio della notte. Musica per la quale a vent'anni ognuno di noi avrebbe potuto uccidere, e che ancora oggi continua a lasciare di sasso per la disarmante bellezza. Uno dei dischi più sorprendenti dell'anno e uno dei migliori dell'intera discografia dei Suede. Dai tempi di "Dog Man Star" non realizzavano una raccolta dal taglio così profondamente emozionale. Alla faccia di chi in almeno un paio di circostanze li aveva dati per inesorabilmente spacciati. Canzoni come queste si scrivono soltanto in paradiso.
(25/09/2018)