Per qualcuno è ancora la timida ragazza delle Marine Girls. Per molti è l’altro lato della luna di quel microcosmo musicale condiviso con il compagno Ben Watt sotto il nome di Everything But The Girl. Per tutti è senza dubbio una delle cantanti più ricche di talento e classe: Tracey Thorn. Sei anni sono passati dal delicato omaggio natalizio di “Tinsel & Light”, ben otto dall’ultimo album di canzoni originali “Love And Its Opposite”, anche se nel frattempo Tracey ha scritto la colonna sonora del film “The Falling” (2014).
Durante questo periodo l’artista ha comunque centellinato le richieste di collaborazione (accettando quelle di John Grant e Jens Lekman), alimentando le attese per il suo ritorno discografico. Ed eccolo finalmente qui nel pieno dei suoi trentasei minuti, “Record”: quinto capitolo solista ed ennesima conferma d'integrità artistica, un progetto le cui coordinate creative sono impregnate di riflessioni sulla condizione femminile, una scelta resa ancora più pregnante dalle moderne vicende che hanno portato alla nascita del movimento Me Too.
Accantonate le atmosfere acustiche di “Love And Its Opposite”, ritornano in scena le sonorità electro-pop che avevano caratterizzato le ultime produzioni degli Everything But The Girl e dell’album solista targato 2007 “Out Of The Woods”. Al banco di regia c'è Ewan Pearson, noto deejay nonché produttore di innumerevoli remix di artisti come Depeche Mode, Goldfrapp e Chemical Brothers.
Con una grazia e un’eleganza che lascia fluire synth analogici e beat dolcemente coinvolgenti, “Record” si alimenta di ritmi da dancefloor restando riflessivo e morbido come un album di bedroom-pop. Per veicolare le complesse tematiche (sessualità e contraccezione, misoginia, social media) Tracey Thorn sceglie infatti sonorità ariose, frizzanti e gioiose, catturando così l’ascoltatore senza usare eccessi ideologici.
La voce è ancora più profonda e matura: la gamma emotiva è infatti più variegata e stimolante di quanto sembri a un primo ascolto. L’ossessivo slow-disco-soul di “Sister” (che nella versione del singolo è ridotta a soli 3'50'', contro gli 8'32'' originali) rappresenta in questo senso il punto nodale di “Records”. Tracey duetta con Corinne Bailey Rae, mentre il groove diventa sempre più coinvolgente attirando nelle sue trame anche suggestioni reggae-soul alla Grace Jones.
Anche “Air” ripropone briciole white-soul tipicamente anni 80 (Alison Moyet ma anche Anita Baker), mettendo ancor più in luce il ruolo dei musicisti ospiti del progetto, come la batterista delle Warpaint Stella Mozgawa e l’autrice, cantante e produttrice anglo-russa Shura, presente sia in veste di corista che di chitarrista.
Altrove prevale l’euro-disco stile Pet Shop Boys (“Queen”, “Guitar”, “Babies” e ovviamente “Dancefloor”), inframmezzato dal malinconico e dolente folk-pop per piano, archi ed elettronica di “Smoke”, dall’elegante romanticismo di “Babies” e dall’incedere alla Blue Nile di “Go”.
Consapevolezza e crescita sono alla base di questo nuovo album di Tracey Thorn, ma nello stesso momento la nostalgia e un ragionevole dubbio restano sempre nell’ombra, ed è da questo irrisolto contrasto e confronto di stati emotivi che nasce quel senso di indefinito che caratterizza “Record”, l’album più ballabile e più personale che l’autrice abbia mai realizzato, ma nello stesso tempo anche il più difficile da amare fino in fondo.
27/03/2018