Non sorprende, dunque, la scelta dell’Imperial War Museum di trascinare nuovamente i Field Music in un concept-album legato a un capitolo della storia contemporanea ritornato prepotentemente agli onori della cronaca (il film “1917”), ed è per molti versi evidente come ben poche band avrebbero potuto affrontare una simile sfida senza cadere nelle secche della prevedibilità e degli eccessi narrativi.
Per la realizzazione di “Making A New World” la band ha modificato in parte l’approccio creativo: la peculiarità dei testi e l’esigenza di collegare musica e immagini (il 31 gennaio del 2019 la band ha eseguito l’intero album nell’ambito delle manifestazioni organizzate dall’Imperial War Museum) hanno spinto i fratelli Brewis verso nuove morfologie creative, al punto che il progetto iniziale comprendeva una più cospicua presenza di brani strumentali, poi sacrificati per un approccio vivido e diretto.
Alla fine la natura pop-rock-prog dei Field Music ha preso il sopravvento e le strutture ritmiche alla Talking Heads e le laboriose tessiture armoniche alla Robert Fripp/Xtc hanno modellato l’atipica suite in diciannove frammenti di “Making A New World”.
Durano meno di un minuto i due brani strumentali che introducono l’album, “Sound Ranging” e “Silence/After The Fact”, tra colpi d’artiglieria trasformati in vibrazioni sonore e silenzi che comunicano sgomento e terrore più di mille parole. Dato il La, i Field Music filtrano con la loro tipica sensibilità musicale storie e aneddoti sulla Prima guerra mondiale e le sue conseguenze.
Musicalmente l’album scivola dallo splendore pop-prog alla Peter Gabriel di “Best Kept Garden” verso le malinconiche pagine psichedeliche di “I Thought You Were Something Else”, o eterei e onirici frammenti poetici (“From A Dream, Into My Arms”).
Il tono generale del progetto è vivace, vibrante, scosso da intelligenti accenni funk (“Money Is A Memory”), alchimie jazz degne degli Steely Dan (“I Thought You Were Something Else”) e interessanti digressioni di elettronica vintage (“A Common Language Pt. 1”, “A Common Language Pt. 2”).
Insoliti scenari tematici rendono ancor più obliquo il flusso narrativo dell’album: la band analizza le strane connessioni tra le sperimentazioni scientifiche in tempo di guerra e le conseguenze sulle conquiste mediche dell'era moderna, prima con un poetico racconto, sottolineato da un’incantevole sequenza di accordi di piano, sulle prime tecniche di innesto cutaneo e le attuali pratiche mediche per il cambio di genere (“Change Of Heir”), poi con un brioso tocco ritmico stile Talking Heads, al quale la band affida il resoconto dello strambo legame tra le medicazioni chirurgiche e i moderni assorbenti femminili (“Only In A Man's World”).
E’ affascinante la modalità con la quale la band ha affrontato l’arduo compito. La suggestione delle immagini (purtroppo non disponibili) è sviscerata con un piglio quasi teatrale, che ancora una volta tira in ballo le visioni di Van Dyke Parks e le geometrie dei Gentle Giant (“Between Nations”), scomodando perfino il fantasma di Robert Wyatt nell’enigmatico finale, dove riecheggia l'incubo della Brexit (“An Independent State”).
Audace, ingegnoso, a suo modo anche inquietante, “Making A New World” non è il progetto più immediato o accattivante dei Field Music. La frammentazione in diciannove capitoli sacrifica parte del fascino, ma l’insieme, al di là delle pur importanti tematiche, è una delle pagine più raffinate della discografia del gruppo di Newcastle. Un progetto destinato a influenzare le future evoluzioni dei fratelli Brewis.
(14/01/2020)