Si parte da un titolo che sembra richiamare la mela di Isaac Newton tanto quanto “la mela morsicata” del brand di elettronica più cool della Silicon Valley (a sua volta richiamo alla mela avvelenata di Alan Turing), mentre la copertina ci riporta dentro il mito della caverna di Platone ne “La Repubblica” (IV secolo a.C.), metafora e allegoria dell’incapacità degli uomini di accedere al mondo delle idee rimanendo legati all’oscurità della sfera sensibile.
Dentro “The Apple Drop” c’è tutto ciò che lo precede e, allo stesso tempo, tutto ciò che lo supera, plasmato da un songwriting robusto ed eclettico. “Sekwar” non avrebbe sfigurato dentro “WIXIW” (Mute, 2012), ma dentro i suoni elettronici pulsano gli Swans. Così in ogni brano in cui abbiamo l’impressione di riconoscere qualcosa di familiare troviamo il guizzo: il finale gospel di “Star Search”, l’arpeggio à-la Radiohead di “In Rainbows” (XL, 2007) in “From What The Never Was”, le interferenze astrali dal pianeta Sun Ra nel garage obliquo di “My Pulse To Ponder”, le fughe degli strumenti a tastiera in piena vertigine Bjork nell’electro post-punk di “Leisure War”, la laccatura pop anni 70 nella dream ballad “King Of The Crooks”, l’andamento gothic di “Acid Cross” con i suoi calibrati eccessi nella manipolazione vocale.
“The Apple Drop” è un album massimalista, classico e retrofuturista. È progressive, avant-garde, simbolista e psichedelico. Il progetto Liars conferma la nascita sotto una buona stella, figlio della più feconda scena art-rock newyorkese immortalata da Scott Crary in “Kill Your Idols” (2004), dove i giovani Liars – insieme a Yeah Yeah Yeahs e Black Dice – sono affiancati e associati a fautori di quel Year Zero firmato no wave come Lydia Lunch, Arto Lindsay e Glenn Branca. Pochi artisti possono stupire ancora così dopo vent’anni di carriera. E noi ci teniamo stretto l’ultimo Liars che rimane.
(04/09/2021)