Sfuggente, aggraziato e malinconico, "I'm Not Here" è un'uscita dalla scarsa visibilità, al varco tra un rispettoso classicismo seventies e la necessità di confrontarsi con il cantautorato contemporaneo.
Supportato da Dave Longstreth agli arrangiamenti orchestrali, Alex Izenberg suona comunque un po' più nell'hic et nunc rispetto alle uscite precedenti, anche per una produzione più pulita, sulla scia di Andy Shauf e degli altri contemporanei che inseguono Harry Nilsson e Randy Newman ("Sorrows Blue Tapestry").
Le composizioni e gli arrangiamenti si fanno più avvolgenti e misurati, come nella dolce psichedelia di "Ivory", con Alex che quasi scompare nella scenografia strumentale, arrivando poi anche a brani basati sugli archi che ricordano messe in scena più moderne ("Juniper & Lamplight", "Our Love Remains" sulla scia di Will Stratton).
Al di sotto di questa coltre strumentale e di produzione quasi narcotizzante, che a volte però "fa" da sola il pezzo ("Sea Of Wine") si agitano melodie solitamente nette, che non sfigurerebbero in un disco più sbarazzino degli Wilco ("Gemini Underwater").
Tutto sommato un'ottima conferma per Izenberg, anche se probabilmente non sarà questo disco a decretare la sua piena consacrazione.
08/06/2022