C’è un po’ di Uk in questo trio californiano. Le Automatic sono emerse gradualmente dalla scena DIY di Los Angeles nel 2019, grazie alla firma con Stones Throw e al buon disco di debutto “Signal”, ma vale la pena ricordare fin da subito che tra loro milita una figlia d’arte: la percussionista Lola Dompé, che si alterna nel ruolo di vocalist nel gruppo con la bassista Halle Saxon Gaines e Izzy Glaudini a guardia dei synth, è infatti una delle discendenti dallo storico batterista e fondatore dei Bauhaus Kevin Haskins e ha fatto il suo ingresso nel mondo della musica all’età di tredici anni, insieme alla sorella maggiore Diva, nei BlackBlack.
Tale bagaglio culturale e piccola ascesa conseguente hanno condotto presto le Automatic a condividere il palco con Poptone, side-project di Haskins e Daniel Ash, Surfbort, Bauhaus e più recentemente con IDLES, Parquet Courts e Tame Impala. Ciò che le contraddistingue è il minimalismo che richiama le avanguardie seventies dei Neu! di “Negativland” e “Hallogallo”, del progetto svizzero a trazione femminile LiLiPUT (conosciuto inizialmente con il nome Kleenex), la new wave di inizio anni Ottanta delle The Go-Go’s e quella di fine Novanta de Le Tigre, il tutto spogliato delle chitarre, e soprattutto il punk sintetico dei Suicide di Alan Vega e Martin Rev. Tutto ciò conduce la band a condividere maggiormente l’abusatissima etichetta “post-punk” con gruppi in direzione art/dance-punk sperimentale come Squid, Folly Group, Bodega e The Lounge Society, mentre al centro dei testi di “Excess” vi sono sessismo, competizione e cambiamento climatico.
L’apertura fosca e danzereccia è riservata ai ronzii e clap di “New Beginning”, rallentando successivamente con la notturna “On The Edge”, per poi passare alla satira sottile di “Skyscraper” e fluttuare con gli echi cosmici di “Realms”. I validi passaggi dominati dalle percussioni di “Venus Hour” precedono uno dei punti focali dell'album, “Automaton”, caratterizzato da strumentali tra space, kraut-rock e liriche ribelli dall'attitudine punk, ma asciutte come sempre. Il crescendo costituito dagli accordi ripetuti di “Teen Beat” e le ritmiche accelerate di “NRG” accompagnano al termine del viaggio, concluso dalla bassline in primo piano di “Lucy” e dalla sussurrata “Turn Away”.
Con poco più di mezz’ora filata, “Excess” prosegue idealmente il percorso iniziato con le tinte più scure, serrate e kraut dal debut “Signal”, alleggerendo le atmosfere a tratti, con una tenue virata verso un pop rumoroso, ma senza snaturarsi (e sbilanciarsi) troppo. Direzione alquanto ostica da mantenere ed evolvere, rispetto al post-punk più chitarristico e trascinante (e maschile) sotto i riflettori da diverso tempo, ma non per questo priva di spunti interessanti e potenziale in un’ottica futura. La ribellione non è solo nelle parole, ma anche nella distinzione di sound e in chi lo confeziona.
01/08/2022