Jazz afrocentrico da Londra, culla di un movimento che continua a materializzare talenti di grande spessore come fosse la cosa più semplice del mondo. Un aiutino da Gilles Peterson che nel 2018 li inserisce in una compilation, portandoli poi sotto l’ala protettrice della Brownswood, etichetta indipendente da lui fondata, una canzone, la sorniona “Abusey Junction”, che si fa largo fra le playlist, ed ecco che l’album d’esordio del collettivo Kokoroko arriva supportato da un discreto hype. Nel frattempo si sono susseguite le apparizioni in alcuni dei principali festival europei, Glastonbury e Primavera Sound su tutti, ma qualcuno dalle nostre parti li aveva già notati al Roma Jazz Festival nel novembre del 2019 e fra pochi giorni torneranno nella Capitale in occasione dello Spring Attitude.
Si tratta di otto elementi di origine afro-caraibica, fra i quali il ruolo di band leader è ricoperto dalla trombettista Sheila Maurice-Grey. Cresciuti a pane e Fela Kuti, divorando i dischi di Ebo Taylor e Tony Allen ricevuti in dotazione dai rispettivi genitori, i Kokoroko hanno raggiunto l’obiettivo di coniugare gli studi sui rispettivi strumenti con l’intenzione di dar vita a composizioni dal taglio multietnico nelle quali il ritmo assume il ruolo di protagonista, ponendosi al di fuori da qualsiasi rigida coordinata. Il risultato è un nuovo progetto di area jazz in grado di conquistare i favori del popolo indie, come già accaduto per Shabaka Hutchings, Moses Boyd, Ezra Collective, Nubya Garcia e gran parte della nuova scena londinese.
L’unica pecca di questo omonimo esordio è una certa ripetitività, spazzata via nel momento in cui - nella seconda metà dell’album - l’ensemble arricchisce la tavolozza di ulteriori smaglianti colori. E’ infatti soltanto dopo aver compiuto il giro di boa che “War Dance” svela una chitarra elettrica pronta a supportare una ritmica trascinante, “Home” viene costruita con suoni rigorosamente acustici e “Something’s Going On”, incastrata in un mood funkadelico, si rivela pronta a divenire il vero inno del gruppo.
Il resto sono pezzi di bravura, ma un tantino più convenzionali, che a tratti guardano anche a certa fusion dei Settanta, rivelando comunque sempre un grande senso di libertà. Una delle possibili ricette per l’afrobeat degli anni Venti.
30/08/2022