Un insegnamento che chiunque può trarre dal successo di "After Hours" è che nella vita non si è mai davvero arrivati. Ancor prima del trionfo commerciale di quel disco, il canadese The Weeknd era già nome ben noto ai piani alti della musica mainstream, ma con "After Hours", trascinato dall'infinito appeal radiofonico di "Save Your Tears" e "Blinding Lights" (per oltre un anno nella top ten dei singoli Billboard), Abel Tesfaye è diventato semplicemente il numero uno del pop anglofono, almeno in termini di numeri.
The Weeknd ha ormai raggiunto l'invidiabile posizione di chi può fare qualsiasi cosa con la garanzia che, per male che possa andare, nella peggiore delle previsioni cadrà comunque in piedi. D'altronde la sua voce limpida, angelica anche nel cantare di notti lascive e allucinate, è stata un calmante per tutti coloro che negli ultimi burrascosi due anni si sono sintonizzati sulle sue canzoni: nella dicotomia quiete-controversia, melodie carezzevoli e testi ambigui, abbiamo ritrovato la dinamica di tensione e rilascio che è tipica dell'esperienza catartica. Avere accanto questa musica, durante la pandemia, ha significato qualcosa in più. E averne di nuova, è senz'altro cosa gradita.
L'idea interessante alla base del nuovo album sta proprio nella piena consapevolezza delle doti ansiolitiche delle proprie canzoni, e nell'ironico distacco che The Weeknd prende da queste. La fantomatica "Dawn FM" che dà il titolo, come chiarito dai diversi skit sparsi tra le canzoni e recitati dall'attore Jim Carrey, ricorda un prodotto ibrido tra Matrix e la "Life Extension" di Vanilla Sky, un'ipnotica trasmissione radio in grado di infondere calma e tranquillità ai suoi ascoltatori fino all'annichilimento di ogni idea e volontà. L'offerta di un abbraccio amico quanto sinistro, capace di risucchiare nell'oblio semplicemente assecondando all'infinito il nostro piacere (allegoria del capitalismo? Dell'intrattenimento? O banalmente del fan-service tanto caro all'industria pop di oggi? Si accettano scommesse).
Come nell'ultimo album, quindi, The Weeknd torna a giocare con la sua immagine, ma dove in "After Hours" questo era in funzione del dramma e della teatralità, in "Dawn FM" è semmai in funzione di un'ironia più tagliente e dal doppio fondo, diretta contro l'artista (si guardi la copertina) sia contro la percezione dello stesso e dalla sua musica da parte del pubblico.
In tutto ciò, il grande pregio del canadese sta nel non aver cambiato il tono della musica, provando a renderla in qualche modo più grottesca o artificiosa. La sua idea di canzone, levigata anche grazie alle mani dei sempre presenti Daniel Lopatin, Max Martin e Oscar Holter, si mantiene adagiata su una rilettura lussuosa e iper-digitalizzata della tradizione black anni 80, ricca di lustrini e sciccherie e in cui, se il soul non manca mai, si fanno più calcati gli accenti dance. Non è un caso che il nume tutelare di Michael Jackson aleggi lungo tutta la prima parte di album, con grandi aperture melodiche (ombrose in "Gasoline", accese in "Take My Breath"), groove densi e frizzanti ("Sacrifice"), sofisticata eleganza synth-pop ("How Do You Love Me?") e ballate rétro-soul in grande spolvero ("Out Of Time", dove le tastiere hanno la stessa fragranza dei fiati di una volta). Come non è un caso che la sesta traccia sia "A Tale By Quincy", una breve storia di errori e legami famigliari perduti raccontata dal grande Quincy Jones, produttore di riferimento del divo di "Thriller". Ma lo snodo fondamentale nell'idea del disco coincide con lo skit al termine di "Out Of Time", in cui la voce di Carrey, rallentata in un magma di tastiere notturne, recita:
Ci sei quasi, ma niente panico. C'è ancora della musica in arrivo, prima di essere completamente avvolto dall'abbraccio beato di quella piccola luce che vedi in lontananza. Presto sarai guarito, perdonato e rinfrescato. Libero da ogni trauma, dolore, colpa e vergogna. Potresti anche dimenticare il tuo nome, ma prima di abitare per sempre in quella casa, eccoti trenta minuti di facile ascolto con alcune slow songs. Su 103.5 dawn FM.The Weeknd è quindi l'interprete, ma anche lo spettatore e il narratore onnisciente di questo grande spettacolo meta-musicale. In questo caso la sua bravura sta nel non palesarsi come geniaccio provocatore, ma nel nascondersi nel luogo più impenetrabile, ossia i suoi brani, così che il concept si possa scoprire solo ascoltando il disco per intero, ma di certo non in radio o in playlist. Eppure "Dawn Fm" non riesce fino in fondo a scongiurare il rischio dei lavori di questo tipo, finendo con l'essere un'operazione tanto colta quanto furba, nella quale le uniche vittime, in fin dei conti, restano le canzoni. Tirate di qua e di là tra la loro eruttante natura pop e il bisogno di incastrarsi nel concept provocatorio, si aggirano tutte su una durata minore, due-tre minuti scarsi, molto Spotify-friendly, in cui se da un lato è evidente la superiore cura concettuale ed estetica, dall'altro si nota una perdita di slancio, di estro, con conseguente mancanza di sorprese.
08/01/2022