Tutto inizia da un altoparlante immerso nella tormenta che, con tragicomica "inflessione Luca Zaia", diffonde urbi et orbi la comunicazione di servizio del piccolo "Leonardo", smarritosi in cima alla seggiovia di una stazione sciistica.
"Ripeto: Leonardo si trova al rifugio in cima alla pista". E il nome del rifugio, come quello del bambino, d’altronde, è tutto un programma: “Pista Nera”.
Fra Dante e "Shining", Courmayeur e “Il sacrificio del cervo sacro”.
I Post Nebbia tirano fuori il loro disco di Natale post-nucleare, post-genocidio, post-salario minimo, post-fallimento del welfare, post-fuga dei cervelli, post-riscaldamento globale, post-università telematiche. Rimangono il soffio distinguibile del vento e un bambino smarrito. O i genitori chiamati a recuperarlo entro la chiusura del rifugio che, si sa, in nessun caso potrà andare oltre l’orario.
Siamo noi il bambino. O forse i genitori, o ancora i gestori senza volto del rifugio.
Comunque, la verità è una e ha le sembianze di quella casa di “Pastafrolla” che è il nostro mondo: tenuto insieme da farina e uova e pronto a crollare alla prima pioggia, per divenire un ingombro. Di quelli informi. Che bloccano la strada. “Era tutta una bugia/ La montagna con i tuoi/ La notte al mare con i fra/ Ad aspettare l’alba/ Mi son detto una bugia/ Quando mi son detto che/ Sarebbe stato tutto ok/ Ma quel mondo non è qui con me”. Parole e immagini che fanno strada a una forma di consapevolezza toccante, intrisa di urgenza, da dire ora o mai più. Ed è certamente qualcosa di generazionale questo fare il punto di una personale e collettiva disillusione, al giro di boa dei 25 anni, con della rabbia in corpo, oltre che disorientamento e paura.
Nello stesso tempo però le immagini che ritraggono questo “Statonatura”, carcassa di mondo difesa da filo spinato, sono così forti, così visionarie e distopiche da coinvolgere qualunque anima all’ascolto. Tanto è preciso e a fuoco il discorso, tanto riesce ad essere grido il sussurro salmodiante di Carlo Corbellini quando ti invita a contemplare il germe della distruzione oltre lo “schermo della call su Google Meet”.
“Pista Nera” è un disco importante. Può parlare alla Generazione Z, agli “studenti della bicocca/ che divorano a bocconi quelli della cattolica/ programmatori, pubblicitari, che incendiano i vestiti nella notte più gelida”, così come ai millennials che si sono appassionati alle decadenze dei Verdena, o ai milanesi che ammazzavano il sabato ai tempi degli Afterhours, ma finisce con l’avere un respiro di intimismo distopico in cui persino i cuori emo di ogni età, che impazziscono per i Fontaines Dc, hanno amato il ritorno dei Cure o gli ultimi Pixies, potranno riconoscersi.
Alla fine “Pista Nera” è un album rock. Dentro ci sono tre musicisti in cerca di cantautore e un cantautore in simbiosi con tre musicisti. Con Carlo Corbellini (che qui produce, subentrando a Fight Pausa, impegnato questa volta solo in fase di missaggio) suonano Giulio Patarnello, che riscalda tutto con i suoi appoggi di piano Wurlitzer e i pad di sintetizzatore Prophet, il basso di Andrea Cadel e la batteria secca, quasi garage (fatto salvo il motorik tra Can e Original Mirrors di “Statonatura” e le scomposizioni June Of 44 di “Kent Brockman”) di Giovanni Dodini.
Il sapore obliquo e psych-pop di “Entropia Padre Pio” e “Canale paesaggi” rimane in filigrana. Qui i timbri si affilano, le strutture mirano all’essenzialità, il suono ha la compattezza dell’esecuzione live. Però, andando più a fondo negli ascolti, si possono cogliere delle continuità fra una “Notte limpida” e le divagazioni post-rock di pezzi come “Viale Santissima Trinità”, o “Vietnam”, per fare solo due esempi fra i tanti che saremmo curiosi di riascoltare in concerto eseguiti da questa formazione affiatata e pronta a partire per un tour che la porterà in giro per l’Italia e al prestigioso showcase olandese ESNS (Eurosonic Noorderslag). Una continuità, si diceva, che è rappresentata dall’estro armonico della scrittura.
Arriva sempre l’accordo inquieto, il vezzo accattivante di non risolvere l’armonia e aggiungere quel tocco di imprevedibilità all’insieme che riporta quasi al modo leggero di dire "non c’è scampo", caro a maestri di ironia come gli Os Mutantes, o Secos & Molhados. Ascoltare per credere.
27/11/2024