C’è una connessione sotterranea, forse inspiegabile, che lega alcune esperienze italiane recenti, tra loro apparentemente indipendenti, ma accomunate da un impulso centrifugo che le porta a muoversi tra nu jazz, math-rock, space-rock elettronico e progressivo. È una corrente non dichiarata, non programmatica, ma riconoscibile: dai bolzanini Satelliti ai genovesi Gotho, fino ad arrivare ai Phresoul, duo formato da Enrico Truzzi e David Paulis, attivo a Londra ma con profonde radici italiane. Il gruppo è parte della scuderia Hyperjazz Records, l’etichetta guidata da Raffaele Costantino (alias Khalab), personaggio chiave della scena jazz elettronica contemporanea e voce storica del programma "Musical Box" su Rai Radio 2.
Il legame tra Phresoul e Hyperjazz è tutt’altro che occasionale: "The World Was Made Phresh", album d’esordio della formazione, è stato la prima uscita in assoluto dell’etichetta. Il contatto era nato proprio in occasione di una performance radiofonica: un ascolto folgorante che si è trasformato in una collaborazione stabile. Da allora il progetto ha continuato a evolversi, e questo nuovo "The Very End Of Jumbo Pirates" segna senz'altro un cambio di passo.
Da sempre sospesi in quella zona grigia tra improvvisazione e hip-hop wonky di scuola Brainfeeder (Flying Lotus, Thundercat, Hiatus Kaiyote…), i Phresoul alzano qui l’asticella della composizione e della produzione. Il nuovo album suona più deciso, più strutturato, più fisico. E soprattutto, più rock. Le tracce non sono più soltanto groove mutanti e sound in trasformazione: ora hanno uno sviluppo più delineato. Partono, conducono in un viaggio, arrivano da qualche parte. È un moto più agitato, più spigoloso — ma, una volta innescato, resta impresso come una traiettoria inevitabile.
L’apertura affidata a "Good Entrance Karma" è già una dichiarazione d’intenti: wonky che sembra passato per le mani dei Led Zeppelin, pachidermico ma pieno di sbilanciamenti ritmici e spezzature che lo rendono flessuoso. Molleggiamementi che fanno da marchio anche alla successiva "Kobe", più introspettiva e r'n'b-oriented: siamo dalle parte del broken beat dalle atmosfere soulful degli Yussef Kamaal, con un sintetizzatore vivace in 7/8 che nel finale aggiunge brio senza forzature.
"Mirror’s Issue" è una lunga cavalcata krauta, spinta dalla batteria incessante di Truzzi e irrobustita dal timbro di piano elettrico di Jacopo Moschetto, che completa il triangolo dei musicisti portando ora colori futuribili e ultrasintetici, e ora invece toni più riconoscibilmente jazzy. Il clima si fa più ansiogeno con "Phrebute", brano frenetico, in cui gli strati si accumulano progressivamente fino a saturare lo spazio ritmico. Il tutto giunge al culmine con un frastornante poliritmo synth-batteria, brutalmente interrotto sulla conclusione del brano, come se qualcosa fosse strappato via all’improvviso.
"There’s No Home On Mars" rallenta i battiti ma non il grado di tensione: l’atmosfera è più notturna e dubbeggiante, ma sempre sospesa tra ciclicità e diramazioni imprevedibili, come una ragnatela che si allunga senza mai spezzarsi. Più avanti, "J-Doc" si impone con bassi elettronici abrasivi e un mood onirico, quasi videoludico. La traccia vira a metà percorso, con una sterzata ritmica che la rilancia in una seconda parte meno lineare, più stratificata e distesa: sei minuti di esplorazione sonora che preannunciano il collasso controllato del finale.
"Scoobydoobydead" chiude l’album in un minuto e mezzo ipercinetico, dove hardcore forsennato, deragliamenti sassofonistici stile Zu (complice l'ospite Daniele Nasi) e synth new age convivono in una centrifuga improbabile ma efficace, chiusa da un pitch bending che stira e sfuma tutto quanto in dissolvenza.
I Phresoul continuano a sfuggire alle definizioni. Con "The Very End Of Jumbo Pirates", però, esplorano con maggiore lucidità il loro caos controllato, rompendo geometrie, moltiplicando direzioni — senza però mai perdere coerenza. Una creatura mutante, ma con la bussola in mano.
18/05/2025