Emiliana Torrini

Emiliana Torrini

La principessa degli elfi

Dal trip-hop al folk, da Björk a Nick Drake: Emiliana Torrini, islandese di origini italiane, non vuole lasciarsi catalogare nei confini di un genere. Con la freschezza e il candore della sua voce e con la sensibilità incantata della sua terra, la ragazza dei ghiacci si è avventurata alla conquista della propria personale cifra di cantautrice

di Gabriele Benzing

"What is your favourite song of all songs?"

 

Se per il cinquantesimo compleanno del padre Emiliana Torrini avesse pensato di comprare la solita cravatta, forse la sua vita sarebbe stata diversa. Invece, la minuta diciottenne islandese decise che quell'anno il suo regalo sarebbe stato qualcosa di speciale: un cd inciso appositamente per l'occasione, in cui Emiliana cantava una manciata di cover jazz, rock e blues.
Quando si dice che un regalo ha avuto successo, di solito ci si accontenta del fatto che abbia reso felice il festeggiato: nel caso del regalo di Emiliana, successo significa migliaia di copie vendute e la vetta delle classifiche islandesi per mesi… Perché quel cd registrato quasi per gioco finì tra le mani di un amico che lavorava per un'etichetta discografica locale e in breve Emiliana Torrini si trovò a essere additata come il nuovo volto della musica islandese di inizio millennio.

 

Con un nome del genere, non ci vuole molto per intuire che le radici di Emiliana Torrini si spingono fino ai lidi italici: e infatti il padre è un ristoratore italiano che ha finito per sposarsi e mettere su famiglia proprio in Islanda. Un connubio di quelli che sembrano fatti apposta per indurre i giornalisti ad abbandonarsi ai peggiori luoghi comuni, del tipo "ghiaccio nordico e fuoco latino"… Ma i luoghi comuni vanno stretti a una come Emiliana Torrini.
Nata nel fatidico 1977 della rivoluzione punk, Emiliana cresce nei dintorni di Reykjavik, ma si abitua fin da piccola a viaggiare per il mondo. Durante l'infanzia, passa le estati dai nonni in un angolo sperduto dell'Islanda orientale, "in una regione che deve avere al massimo una ventina di abitanti". Il nonno è un pianista jazz e in quella casa la piccola Emiliana comincia ad accostarsi ai vecchi dischi e al pianoforte.
A sette anni entra in un coro come soprano e a quindici decide di iscriversi a una scuola per cantanti lirici. Poi arriva Mtv, ed è come una rivelazione: "Eravamo i primi in città ad averla e stavo sveglia la notte a guardare i programmi di musica alternativa, per poi andare a scuola e parlare a tutti delle mie scoperte".
Nel 1994 Emiliana vince un concorso musicale riservato agli studenti locali con la sua interpretazione di "I Will Survive" e partecipa alla versione islandese del musical "Hair". Nello stesso anno, Emiliana entra anche a far parte della sua prima band, gli Spoon, con cui però fa in tempo a portare a termine solo un unico, acerbo disco.

È nel 1995 che la raccolta di cover registrata per il compleanno del padre arriva nei negozi di dischi islandesi. Si intitola Crouçie D'Où Là, un gioco di parole basato sulla trascrizione in francese del vezzeggiativo islandese krúsídúlla, qualcosa come "bambina adorabile". Con il suo morbido andamento pop dalle inflessioni jazzistiche, il disco anticipa quella moda soft che una decina d'anni più tardi conquisterà Europa e America con il fenomeno Norah Jones.
L'atmosfera è accattivante, anche se fin troppo adatta a fare da innocuo sottofondo a qualche aperitivo. Il ricorso a certi eccessi gigioneschi sembra tradire ancora l'insicurezza di Emiliana Torrini nell'originalità della propria interpretazione, portandola in più di un momento ad adagiarsi su modelli da piano bar dall'apparenza scontata.
A convincere di meno sono i brani più esuberanti, in cui la voce di Emiliana va in cerca di una facile enfasi, come nell'iniziale "I'm A Bad Luck Woman" o nelle scatenate "The Dirty Dozens" e "Find It". Il meglio viene invece dalla dolcezza felpata di "Crazy Love" di Van Morrison, sfiorata da rintocchi appena accennati, e dai contorni sognanti di "Tomorrow". Senza disdegnare un tuffo trendy nell'idioma nipponico con "I" dei Pizzicato Five, si arriva così alla mistica fluttuante del gorgheggio conclusivo di "Aaaa.....", con la sensazione che il vero potenziale di Emiliana Torrini sia in realtà ancora tutto da scoprire. "Riascoltare oggi quel disco", osserva la cantante islandese, "da una parte è imbarazzante, dall'altra è divertente: sono proprio io, tutta garrula e felice, che canto solo per il gusto di cantare…".

L'anno successivo, Emiliana Torrini tenta di replicare l'impresa con un altro album ispirato al medesimo canovaccio, Merman. La crescita espressiva è evidente e si riflette nell'atmosfera maggiormente cantautorale del disco, che non eguaglia però gli exploit di vendite di Crouçie D'Où Là.
La voce di Emiliana si presenta carica di soul sul soffice tappeto ritmico punteggiato di tastiere di "Blame It On The Sun" di Stevie Wonder, per poi affrontare con candore i torbidi versi di Lou Reed nel carillon velvettiano di "Stephanie Says" e abbandonare ogni difesa nella dolce rilettura per pianoforte e chitarra acustica di "I Hope That I Don't Fall In Love With You" di Tom Waits.
Le nenie folk di "The Boy Who Giggled So Sweet" e "Old Man And Miss Beautiful" si prestano a orchestrazioni fiabesche, mentre le fluttuazioni sospese della title track anticipano l'apertura di Emiliana verso nuove dimensioni musicali. Non mancano neppure stavolta i numeri jazz ("Chelsea Morning" di Joni Mitchell su tutti), ma solo la circense "Red Woman Red" appare fuori luogo.
In Merman, insomma, la sensibilità di Emiliana Torrini emerge in maniera più delineata: è evidente, però, che la ragazza delle terre del nord è già in cerca di qualcosa di più.

"It shouldn't hurt me to be free"

 

Love In The Time Of ScienceSempre più attratta dalla scena elettronica, Emiliana Torrini continua a farsi conoscere prestando la propria voce a vari brani di artisti locali e comparendo in alcune compilation di rock islandese. L'album "Stone Free", in particolare, vede Emiliana misurarsi con classici del calibro di "The Sound Of Silence" di Simon & Garfunkel, "Ruby Tuesday" dei Rolling Stones e "White Rabbit" dei Jefferson Airplane.
Una sera, a Reykjavik, mentre vaga per strada dopo avere bevuto qualche bicchiere di troppo, viene avvicinata dai connazionali Gus Gus, che le chiedono se vuole partecipare a un cortometraggio che stanno girando. Emiliana accetta senza pensarci due volte e inizia a collaborare con loro, comparendo nel 1997 sull'album di debutto della band, "Polydistortion". I Gus Gus le propongono di entrare a far parte in pianta stabile del gruppo, ma per Emiliana in una band ci sono troppi compromessi da accettare.

In giro per ristoranti, bar e hotel di tutta l'Islanda, Emiliana Torrini continua a cantare dovunque le capiti, senza troppe ossessioni di carriera in mente. "Non mi ponevo certo il problema di cosa e dove cantavo, l'unica cosa che sapevo è che mi piaceva farlo". Ed è proprio in una di quelle occasioni che si accorge di lei un discografico della label inglese One Little Indian, guarda caso la stessa di una certa Björk.
"Volevo andare in India e poi in Bulgaria, diventare una zingara e imparare nuovi modi di cantare… invece andai in Inghilterra a registrare un disco pop", ricorda con ironia Emiliana. Così, nel 1999, si trasferisce a Londra per lavorare insieme a Roland Orzabal dei Tears For Fears come produttore. "In realtà" confessa, "dei Tears For Fears conoscevo a malapena un paio di canzoni…".
La giovane islandese si trova catapultata all'improvviso nel mondo tutt'altro che benevolo dell'industria discografica. "Dato che scrivevo canzoni a malapena e non suonavo nessuno strumento, mi misero accanto delle persone a farmi da tutori, per aiutarmi a scrivere. Facevano arrivare dei tizi con una mentalità impiegatizia, che trattavano la musica come se fosse un lavoro d'ufficio da svolgere dalle nove alle cinque". A co-firmare i brani del debutto internazionale di Emiliana ci sono quindi, oltre a Orzabal, nomi come quello del produttore EG White e dell'ex batterista degli Sugarcubes, Siggi Baldursson.

Ma nonostante gli inevitabili scogli dell'impatto con lo showbiz, Love In The Time Of Science, pubblicato nell'ottobre del 1999, non può essere certo liquidato come un prodotto da classifica: il suo fascino sta nell'intreccio tra una naturale vocazione pop e un'atmosfera dai toni notturni, in cui l'elettronica si tinge di ombre trip-hop. Tra Portishead e Morcheeba, Emiliana Torrini si muove sinuosa su un manto di tastiere, inseguendo i beat in levare allora più in auge nell'elettronica inglese. "È un disco malinconico, ma è anche caldo e gioioso da ascoltare", riflette. "Il primo album è sempre il più sincero".
Fin dalla copertina, con un ravvicinato primo piano dei lineamenti punteggiati di lentiggini di Emiliana, Love In The Time Of Science si presenta come un attraente intreccio di sensualità e innocenza, cui le sfumature virate al blu contribuiscono a conferire un velo di mistero.
Il primo singolo tratto dal disco, "To Be Free", accompagnato da un video onirico e sottilmente inquietante, galleggia su vapori di tastiere, ritmiche downtempo e campionamenti dal sapore morriconiano, mentre la voce di Emiliana Torrini, suadente come quella di Alison Goldfrapp, plasma un chorus dalla presa immediata.
Dall'andamento da safari lunare di "Wednesday's Child" si passa alla rarefatta intensità orchestrale di "Dead Things", interrotta da un baluginare di beep digitali e da un intermezzo di distorsioni radioheadiane. Ma non mancano i momenti più scopertamente radiofonici, come le chitarre da ballatona rock di "Baby Blue" o la melodia appiccicosa di "Easy".
Con la plasticità del giro di basso di "Unemployed In Summertime" il disco raggiunge il suo momento più solare, catturato alla perfezione da un video dall'aria di colorata spensieratezza: "Unemployed in summertime / I've only just turned 21, I'll be ok / Unemployed in summertime / Don't need money 'cause we're young". È questo sorriso svagato, probabilmente, la migliore fotografia di Emiliana Torrini: "La mia filosofia è: numero uno essere felici, numero due essere felici", proclama decisa.

Love In The Time Of Science riflette tutto il disorientato stupore di una ragazza che si affaccia al mondo carica dei propri confusi desideri, alla ricerca di una libertà che non sia semplicemente una fuga ("But if it's so good being free/ Would you mind telling me/ Why I don't know what to do with myself?"). "Mi innamoro molto facilmente", ammette Emiliana, "Ma non necessariamente delle persone: mi innamoro di ogni cosa… Adoro osservare le cose, è stupefacente".
L'inconfondibile accento islandese di Emiliana e la veste elettronica della sua musica portano inevitabilmente al fatidico paragone con Björk: un parallelo che risulta evidente soprattutto nel tour de force vocale di "Telepathy", ma che finisce per trasformarsi in una vera e propria ossessione per la giovane islandese. "A un certo punto, tutto questo continuo parlare di Björk mi aveva fatto diventare paranoica: quando dovevo scegliere i vestiti prima di andare a un'intervista continuavo a chiedermi se magari Björk indossava una maglietta simile… Un vero incubo."
Emiliana Torrini non vuole vestire i panni della chanteuse elettronica: quello che cerca è piuttosto la propria personale via vero un cantautorato più classico, sulla scia di artiste come Beth Orton. Per rendersene conto basta ascoltare i ricami acustici di "Summerbreeze", scritta con il chitarrista Mark Abis e posta quasi in chiusura dell'album, o l'essenzialità dei brani pubblicati come b-side, tra cui spicca la collaborazione con gli Slowblow in "Flirt".

"Home alone and happy, nothing brings me down"

 

Fisherman's WomanLove In The Time Of Science non fatica a conquistare i favori di critica e pubblico, imponendo il nome di Emiliana Torrini tra le nuove leve della scena trip-hop. La cantante islandese, però, non vuole saperne di essere classificata sotto un'etichetta così limitata: "Hanno tentato di farlo passare come un disco trip-hop", si lamenta, "ma era un'assurdità: magari ho usato qualche passaggio o qualche sonorità trip-hop, ma il mio era un disco pop".
Emiliana va in tour con i Thievery Corporation e collabora nel 2002 con il duo elettronico americano, prestando la propria voce a un paio di brani del loro fortunato "The Richest Man In Babylon" ("Until The Morning" diverrà anche il tema di uno spot pubblicitario di successo) .
Sempre nel 2002, Emiliana Torrini canta anche su una traccia di "Bunkka" di Paul Oakenfold e debutta nel mondo cinematografico interpretando una crepuscolare "Gollum Song" per la colonna sonora del secondo capitolo de "Il Signore degli Anelli". Un contesto ideale per la voce di Emiliana che, ispirandosi alle pagine di Tolkien, accarezza tutto il senso di mistero della sua terra: "la vera Islanda è nella magia della natura solitaria, nel segreto di certi luoghi: bisogna rispettare gli elfi e non invadere mai il loro territorio, altrimenti sono guai…". Il suo amore per il cinema la porterà nel 2005 a sedere addirittura nella giuria della Mostra del Cinema di Venezia presieduta da Dante Ferretti, che assegnerà il Leone d'Oro a "Brokeback Montain" di And Lee.

L'anno successivo, la casa discografica le chiede di scrivere una canzone nientemeno che per la popstar Kylie Minogue. Emiliana compone per gioco in appena mezz'ora una languida seduzione electro dal titolo "Slow", convinta che non verrà mai utilizzata. Invece, il brano diventa addirittura il singolo di lancio del nuovo album della cantante australiana, guadagnandosi una nomination ai Grammy Awards nel 2004.
Ma una dolorosa cesura segna la vita di Emiliana, sotto le spoglie dell'improvvisa morte del fidanzato. La parte della cantante pop che tutti si aspettano da lei, ad un tratto sembra non avere più senso. Emiliana si trasferisce a Brighton, lontano dalla frenesia della capitale. "A Londra mi sentivo ingabbiata come un animale. Brighton è più come Reykjavik, puoi andare in riva al mare e startene un po' da sola", osserva.
Emiliana conosce il produttore Mr. Dan (all'anagrafe Dan Carey), già componente dei Lazyboy. Ed è proprio nell'atmosfera intima e raccolta della cantina di quest'ultimo che i nuovi brani della cantante islandese, scritti a quattro mani con lo stesso Mr. Dan, cominciano a prendere forma.
Lasciatasi alle spalle il rapporto con la One Little Indian, Emiliana Torrini propone i demo del nuovo disco a varie case discografiche ed è la Rough Trade ad accettare per prima. Fisherman's Woman esce così all'inizio del 2005 per la nuova etichetta, accompagnato dal singolo "Sunny Road", con un affascinante video incentrato su una favola animata fatta di solitudine e messaggi in bottiglia.

A oltre cinque anni di distanza da Love In The Time Of Science, Emiliana Torrini sembra quasi irriconoscibile nelle scarne vesti acustiche del nuovo disco. Gli arpeggi della chitarra acustica di Dan Carey volteggiano come cristalli di neve nell'aria, per posarsi sul soffice manto della candida voce di Emiliana. Tutt'intorno, il canto del pianoforte e la carezza della spazzole sembrano non voler turbare la silenziosa armonia di quel paesaggio invernale.
Fisherman's Woman, che nel 2005 raccoglie un trionfale successo agli Icelandic Music Awards, è un pellegrinaggio alla tomba di Nick Drake in cui Beth Gibbons incontra Polly Paulusma. È il diario segreto di una ragazza innamorata, scritto con inchiostro color seppia in una calligrafia minuta e precisa, proprio come quella del raffinato booklet.

Basterebbe ascoltare "Today Has Been Ok", con il suo fremito lieve di percussioni e i suoi ricami di pedal steel e glockenspiel, per lasciarsi incantare dalla purezza dell'album. Il limite maggiore del disco, semmai, è quello di scivolare a tratti in un'eccessiva monocromia, da cui lo salvano i toni mossi di "Sunny Road" e il pop delicato di "Heartstopper", scelta come secondo singolo e accompagnata da un video in cui Emiliana manovra un teatro dei burattini dal sapore gotico.
Con un approccio che ricorda quello di Jolie Holland nei confronti delle radici blues americane, Emiliana Torrini rende omaggio alla tradizione del folk inglese, inserendo in scaletta la cover di "Next Time Around" dell'ex Fairport Convention Sandy Denny. Anche il cupo Bill Callahan, meglio noto come Smog, regala un inatteso raggio di luce con la sua inedita "Honeymoon Child".

Emiliana Torrini si immagina come la "donna del pescatore" che dà il titolo al disco, in attesa dell'arrivo del suo uomo dalla vastità senza fine del mare. Quando lui si addormenta dopo una giornata di duro lavoro, ascoltando il sospiro sommesso della nave, il suo unico pensiero è per la moglie che lo attende alla finestra, e ogni cosa ritrova la sua verità.
Sono odi a un amore lontano, quelle di Fisherman's Woman. Ma più il dolore della solitudine sembra trafiggere l'animo, più rinasce la speranza di una primavera alle porte: "This time as one / We'll find wich way to go / Now come and meet me on the sunny road".
E' lungo quella strada assolata che tutto diventerà finalmente chiaro. E anche se quel momento è ancora lontano, a volte sembra quasi di essere già arrivati: le finestre sono spalancate e una dolce musica si diffonde nell'aria… "My love for you is ready / Nothing brings me down".

“Beating like a jungle drum”

 

Me And ArminiL'ennesimo cambio di direzione di Emiliana Torrini porta il titolo di Me And Armini e vede la luce nel settembre del 2008. “Un disco di transizione”, lo definisce lei stessa, anche se stavolta la cesura è meno netta che in passato e sfuma in un’ammiccante dolcezza, che non basta tuttavia ad eliminare l’impressione di una prova non pienamente centrata.
“La differenza tra questo disco e Fisherman’s Woman è che mi sento molto più sicura con il mio songwriting”, osserva Emiliana. “So quello che voglio e quello che non voglio, le cose sono un po’ più chiare. Ho ancora molto da provare a me stessa, ma ho deciso di smettere di essere troppo dura. Stavolta mi sono rilassata… Ho preso quello che veniva fuori senza giudicarlo, e questo ha reso il tutto un’esperienza molto più facile e divertente”.
Ecco allora che l’arpeggio dell’iniziale “Fireheads” sembra partire non lontano dai paesaggi del disco precedente, ma ben presto finisce per levitare verso più tenui fragranze pop, che rappresentano l’impronta essenziale del nuovo disco. Me And Armini torna così alla solarità ed all’approccio istintivo di Love In The Time Of Science, coniugandoli con la personalità maturata in Fisherman’s Woman. Ma nella sua ricerca di nuovi spazi, Emiliana sembra perdere in più di un’occasione qualcosa della sua dote di originalità, disperdendosi in una varietà di direzioni senza riuscire a trovare una chiave davvero persuasiva.

Le canzoni di Me And Armini provengono da periodi di scrittura diversi, pieni di esperienze contrastanti nel mezzo: non c’è da stupirsi, quindi, dell’alternarsi di atmosfere che le caratterizza. I pigri profumi reggae che ispirano le movenze della title track e di “Heard It All Before” suonano però sin troppo convenzionali, mentre i delicati panneggi acustici di “Birds” sembrano incerti sulla direzione da prendere, dilatandosi in una morbida psichedelia. E se brani come “Bleeder” e “Beggars Prayer” (firmata come già in passato da Eg White) ritrovano quella grazia eterea che sembrava svanita, le velleità audaci di “Dead Duck” non vanno oltre ad una divagazione fine a sé stessa.
Per ammissione della stessa Emiliana, sono le “folli canzoni d’amore” le vere protagoniste del disco, tra il gioco onomatopeico di “Jungle Drum”, con il suo ritmo vivace che si incolla subito alla memoria, e la melodia suadente di “Big Jumps”, con il suo strizzare l’occhio al lato selvaggio della strada di loureediana memoria.
La chitarra dell’amico e mentore Dan Carey, anche in questa occasione al fianco di Emiliana Torrini nella realizzazione del disco, si pone più che mai al centro della scena, con un danzare sinuoso tra i sospiri di “Ha Ha” ed il blues liquido di “Gun”. E proprio in “Gun” si respira più che mai il clima delle jam session nel cottage oxfordiano di Carey: come racconta la cantante islandese, la canzone è nata da un’improvvisazione durante la quale il nastro non si era registrato; i due l’hanno inseguita per tutta la notte senza riuscire più a ricordarla, finché all’improvviso, alle quattro del mattino, è ritornata come dal nulla.

“È sempre come se cominciassi di nuovo”, risponde Emiliana a chi le chiede dei suoi costanti cambiamenti stilistici. “È bello essere liberi. Lasciarsi liberi di esprimere sé stessi come si vuole”. Ma la libertà, come canta in “Big Jumps”, ha la certezza di un innamoramento, è semplice come la strada che porta a casa: “Sometimes I feel so confused / I’m under the illusion that I have to choose / I love you, always know the way / the way back home always is the same”.
La sua strada, Emiliana Torrini sembra essere ancora intenta a cercarla: forse è per questo che non vuole lasciarsi sorprendere ferma troppo a lungo nello stesso luogo. Stavolta, però, la sua fotografia in compagnia del misterioso Armini non sembra essere riuscita del tutto a fuoco.
Le vendite sorridono comunque a Me And Armini e la One Little Indian ne approfitta per rispolverare dagli archivi la doppia raccolta Rarities, che include i singoli di Love In The Time Of Science in una varietà non esattamente imprescindibile di declinazioni (dalle versioni acustiche ai remix affidati a nomi come Rae & Christian e Tore Johansson). Gli unici motivi di interesse vanno cercati nelle collaborazioni con gli Slowblow ("Flirt", "7-Up Days") comprese nel disco.

“A song waiting to be sung”

 

TookahInutile cercare “tookah” sul dizionario: per il titolo del suo quarto disco a diffusione internazionale, Emiliana Torrini sceglie un nome completamente inventato. Un nome che per lei ha un significato molto particolare: “È l’essenza di ciascuno di noi, il tuo io quando sei nato, prima che la vita ti decorasse come un albero di Natale. È ciò che ti connette con tutto e con tutti”. È a questa essenza che aspira la sua musica. Paradossale che sia proprio Tookah l’album in cui l’identità della cantante islandese appare più incerta e meno definita.
A mettere in contatto Emiliana con il suo “tookah” è stato un fatto ben preciso: la nascita del suo primo figlio. L’esperienza della maternità, però, permea l’album non con la prevedibile gioia dell’affacciarsi di una nuova vita, ma con uno sguardo angoscioso rivolto verso il proprio riflesso nello specchio. “Mi sono sentita come divisa a metà”, racconta. “Era il momento più felice della mia vita e al tempo stesso una parte di me era terribilmente depressa”. Dualismo e bisogno di unità diventano così il nodo cruciale di un disagio la cui eco si diffonde inevitabilmente anche sulla musica.

A complicare ulteriormente le cose, il successo di pubblico di Me And Armini carica Emiliana di una pressione più forte che mai: “Per la prima volta nella mia vita sentivo l’urgenza di far uscire un album. Sentivo il bisogno di realizzare subito un prodotto di successo”. Stavolta, però, la magia non scatta e le prime sessioni di registrazione con lo storico braccio destro Dan Carey sono un completo fallimento. Alle orecchie di Emiliana tutto suona risaputo, già sentito. “A un certo punto Dan mi ha guardata negli occhi e mi ha detto che non ero pronta per fare un disco. È stato un sollievo incredibile sentirmelo dire. Ho fatto un bel respiro e abbiamo deciso di accantonare il progetto”.
Lo spunto di Tookah nasce proprio dalla decisione di fare un passo indietro: “Dopo il parto sentivo semplicemente il bisogno di andare fuori a ballare. Così ci siamo messi a suonare insieme un po’ di musica dance. E ci siamo resi conto che poteva venire proprio da lì il suono del nuovo album”. La scelta, però, è quella di spogliare i brani degli elementi più ballabili: solo il singolo “Speed Of Dark” osa avventurarsi sul dancefloor, tra movenze appena più serrate del solito e languide velleità electro. Il resto dell’album assume toni molto più algidi e introversi, a partire dal tappeto ritmico alla Bat For Lashes della title track.

D’altra parte, con un concepimento tanto travagliato, non può sorprendere che “Tookah” finisca per rivelarsi un disco irrisolto. A segnare la veste sonora dell'album è soprattutto la fascinazione del duo Torrini/Carey per le gelide tastiere che Trent Reznor e Atticus Ross hanno utilizzato per accompagnare le immagini di “The Social Network”. Così, il tentativo di ritrovare un calore familiare a cui aggrapparsi, da “Home” a “Elisabet”, resta avvolto da un velo di brividi sintetici. E anche quando i beat si arrotondano per assumere fattezze più apertamente pop, come nello sfogo amoroso di “Animal Games”, il risultato non riesce a sedurre con gli stessi ganci melodici del disco precedente.
Il cuore dell’album, allora, è da cercare altrove, nei momenti in cui Emiliana si riavvicina maggiormente alle atmosfere di Fisherman’s Woman, inseguendo la rarefatta intimità degli ultimi Goldfrapp. È tra i fraseggi di chitarra e i riverberi di synth di “Caterpillar” e “Autumn Sun” che la cantante islandese confessa il sentimento nascosto tra le pieghe dei brani: la paura. Paura di smarrire una parte di sé, paura di perdere la sicurezza dell’amore, paura di perdere il misterioso legame che unisce una madre al figlio. Quell’incertezza che fa sentire spezzati, come nell’immagine bifronte scelta per la copertina dell’album. Il tempo dell’unità, per Emiliana Torrini, non sembra essere ancora arrivato.

Here's to all the roads that we've been down

etPasseranno dieci anni prima che l'autrice torni a presentarsi con un suo disco di inediti. Nel mentre la lunga attesa sarà inframmezzata soltanto da una collaborazione con la Colorist Orchestra, collettivo belga capitanato da Aarich Jespers e Gerrit Valckenaers, creato con il fine di collaborare volta volta con autori per revitalizzarne il catalogo o ideare pezzi nuovi. L'incontro darà il via a una serie di concerti che il live-album The Colorist & Emiliana Torrini restituirà nella sua fervida cornice creativa, donando un tono dream-pop ad alcuni dei passaggi più celebri del repertorio dell'autrice. Archiviata nel 2017 la collaborazione come interprete e scrittrice in Music To Draw To: Satellite, interlocutorio disco ambient-pop a cura del beatmaker hip-hop Kid Koala, sarà proprio l'incontro con la Colorist Orchestra a far sì che Torrini ritorni in pista con un album, il settimo della sua carriera. 

Resasi conto che c'era tanto ancora non detto, da uno stuzzicante aperitivo si approda infine verso qualcosa di ancora più eccitante, un'alchimia che attendeva il momento di essere esplorata a dovere. Torrini si avvale del contributo del collettivo belga per un Racing The Storm che la vede riprendere le fila della sua ispirazione e concepire un lavoro di grande solidità autoriale. Soprattutto si tratta di un lavoro che la vede di nuovo abbracciare con convinzione gli aspetti più eccentrici e sorprendenti della musica pop, giocare coi colori e prendere sviate del tutto fuori schema, muovendosi tra contesti ed epoche tenute salde da un convinto polso creativo.

La copertina lo lascia intuire, la composizione lo conferma: la faccenda dell'album è materia teatrale, un florilegio di brani che sì fa capo alla penna di Torrini, ma si lascia notare per la specificità di mood, per la varietà di accorgimenti che contrassegnano un'esperienza dall'evidente passo narrativo. La corsa nella tempesta sfrutta quindi la curiosità onnivora che contrassegnò il capolavoro Love In The Time Of Science e la adatta ad un'estetica decisamente più pacata, non per questo addomesticata. Incisiva come non lo era dal 2005, l'autrice sa muoversi con agio sopra i singolari arrangiamenti dei brani: essenziale nell'armonia, ma capace di raffinati incastri cameristici, “Mikos” è un risveglio che si fa scoperta continua, gocce di rugiada a tingere l'atmosfera di cromie nuove. “Hilton” avanza tenui commenti elettronici, irrobustisce l'impianto percussivo, adagia la più soave melodia pop su un alveo che sa essere urbano ed evocativo al tempo stesso, senza mai risolvere l'apparente incongruenza.

Se una “Wedding Song” riprende il legame con la canzone folk da una prospettiva Sixties le accorte esecuzioni della Colorist Orchestra in “Right Here” parlano di un presente da respirare in tutto il suo calore, da vivere senza alcun timore. C'è spazio anche per riflessioni più stranianti, frangenti dove lasciar fiorire la pienezza timbrica dell'orchestra belga (lo strumentale “A Scene From A Movie”), o dove scivolare a passo di glitch, giocando con la più pura evocazione (“Smoke Trails”). In poco più di quaranta minuti si dà prova di un linguaggio espressivo che sa piegarsi a ogni sfumatura prescelta, che si muove tra paura e dolcezza con analoga semplicità. Briosa e raffinata, Emiliana Torrini dà prova di aver ritrovato lo smalto di un tempo e di poterlo abbinare a un campionario sonoro di grande versatilità. Un ritorno che ha saputo ripagare uno iato così prolungato.

Contributi di Vassilios Karagiannis ("Racing The Storm")

Emiliana Torrini

Discografia

Crouçie D'Où Là (Japis, 1995)

5

Merman (Japis, 1996)

6

Love In The Time Of Science (One Little Indian, 1999)

7,5

Fisherman's Woman (Rough Trade, 2005)

7

Me And Armini (Rough Trade, 2008)

6,5

Rarities (One Little Indian, 2010)

6

Tookah (Rough Trade, 2013)

6

The Colorist & Emiliana Torrini (live album, Rough Trade, 2016)
Racing The Storm (Bella Union, 2023)

7

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Emiliana Torrini sul web

Live report: Emiliana Torrini a Milano, 12/02/2009
Sito ufficiale
Testi
Foto
Sito italiano
  
 VIDEO
To Be Free (da "Love In The Time Of Science", 2000)
Dead Things (da "Love In The Time Of Science", 2000)
Unemployed In Summertime (da "Love In The Time Of Science", 2000)
Gollum's Song (da "The Lord Of The Rings: The Two Towers o.s.t.", 2002)
Heartstopper (da "Fisherman's Woman", 2005)
Sunny Road (da "Fisherman's Woman", 2005)
Nothing Brings Me Down (live, da "Fisherman's Woman", 2005)
Big Jumps (da "Me And Armini", 2008)
Jungle Drum (da "Me And Armini", 2008)
Tookah(da "Tookah", 2013)
Right Here(da "Racing The Storm", 2023)
Hilton(da "Racing The Storm", 2023)