A fine anno, moltissime testate – cartacee e digitali – propongono una propria selezione del “meglio” che i dodici mesi appena trascorsi abbiano portato al loro ambito di riferimento. Oltre che di dolciumi, parenti e doni più o meno desiderati, ci siamo abituati anche ad abbuffate di elenchi di ogni possibile categoria commerciale: film, auto, serie tv, ristoranti, mete turistiche, videogame e gingilli tecnologici, capi di abbigliamento, dischi (e chi più ne ha più ne metta). Già nel 2011, la webzine Drowned In Sound aveva battezzato Listageddon la sensazione di sopraffazione generata da questo profluvio di consigli, paradossalmente concepito proprio per aiutare a districarsi nella nostra era di information overload.
Anche OndaRock, da oltre vent’anni, fa la sua parte nel rituale natalizio, e l’ormai consueto “classificone” di fine anno è invariabilmente il contenuto più visitato del sito nel periodo invernale. L’interesse dei lettori per questo tipo di sintesi ha spinto nel 2023 la redazione a curare lungo il mese di dicembre una rassegna delle “top 20” delle principali testate musicali internazionali (Pitchfork, Consequence of Sound, Mojo, NME, Rolling Stone Usa, The Wire, PopMatters, Billboard, The Quietus, DIY Magazine, Uncut, Metacritic). Confrontando le diverse proposte, emergono analogie e differenze, e soprattutto balzano in primo piano alcune domande ricorrenti, che un po’ tutti ci siamo posti di fronte a questo tipo di iniziative e che periodicamente ritornano nei commenti social.
Questa breve guida vuole abbozzare alcune possibili risposte, limitate all’ambito musicale e senz’altro non definitive. Ma sperabilmente utili a mettere a fuoco alcuni aspetti chiave di uno strumento ormai dato per scontato, ma in realtà spesso frainteso.
1. Perché queste classifiche si somigliano tutte?
È una delle osservazioni più frequenti. Alcuni nomi (nel 2023 sicuramente Caroline Polachek, Olivia Rodrigo, Mitski, Boygenius, Billy Woods & Kenny Segal, i Wednesday, i Lankum) tendono a comparire in un po’ tutte le selezioni, quantomeno in quelle delle testate “generaliste” che non concentrano la propria attenzione su un singolo filone musicale (per quanto, a ben vedere, abbiano spesso un focus privilegiato sull’ambito indie/alternative e gli artisti di lingua inglese).
Salvo sorprese, questi artisti corrispondono ai personaggi hyped del momento, e al di là dei verosimili meriti attestati dalla loro presenza in tante classifiche, godono di un vantaggio in termini di visibilità: i loro sono stati alcuni degli album più chiacchierati nei mesi precedenti e questo ha spinto un grande numero di ascoltatori (redattori delle testate musicali inclusi) a interessarsi alla loro musica, aumentando così il numero di potenziali ammiratori. E anche di detrattori, chiaro, ma per come le classifiche vengono elaborate (vedi “Come vengono compilate?”) la cosa tende a incidere poco.
Ci sono anche altre ragioni per cui, di fronte a N liste distinte, tendiamo a far caso soprattutto agli elementi comuni – e in particolare a quelli che già conosciamo, e su cui magari abbiamo un’opinione forte. La cosiddetta illusione di frequenza è una distorsione cognitiva che porta a osservare con regolarità qualcosa dopo averlo notato per la prima volta, finendo per ritenere che sia più prevalente di quanto in realtà è. Nasce probabilmente da una combinazione di attenzione selettiva e bias di conferma, e applicato alla messe informativa del Listageddon può condurci a far caso soltanto a ciò che non può arricchirci, in quanto già noto e digerito, e perderci invece nuove e gratificanti scoperte. ⬏
2. Perché sono così distanti fra loro?
È la reazione opposta, quasi altrettanto diffusa. Di solito, si accompagna a considerazioni negative: “Se questi sono i migliori, come mai nessuno sembra essere d’accordo?”, “Chi diamine sono tutti questi personaggi che non c’erano nelle altre classifiche che ho visto?”. In effetti, fra quelle circolate in Rete non vi sono due liste che contengano gli stessi nomi. Anche quando vi sono sovrapposizioni, spesso le posizioni variano considerevolmente, contribuendo alla sensazione di smarrimento. Sembra che, tolti i nomi ricorrenti, le redazioni di testate diverse abbiano vissuto anni musicali diversi, e in larga misura forse è davvero così.
La frammentazione del consenso e dei pubblici musicali è un fenomeno in atto da tempo (essenzialmente da quando esce troppa musica pop perché una singola persona possa ascoltarla tutta), che negli ultimi anni ha subito tuttavia un’accelerazione vertiginosa per molte differenti ragioni che si possono sintetizzare in una parola: Internet. Introducendo la classifica 2023 di Consequence of Sound, il giornalista Wren Graves ha segnalato la “morte della monocultura musicale”, intesa come possibilità di individuare alcuni generi o nomi che siano di riferimento per tutti, e al tempo stesso rappresentativi della pluralità del panorama. Procedendo nella sua analisi, Graves ipotizza che “dopotutto, non sia una cosa così negativa”, e che l’inevitabile incompatibilità delle sintesi prodotte da osservatori diversi sia un punto di forza, che rende ciascuna selezione una risorsa più arricchente e permette di valorizzare in modo più capillare la sempre maggiore quantità di grandi dischi che vengono prodotti da artisti poco noti.
Certo, assieme all’idea di una comune prospettiva unificatrice “muore” anche la pretesa di oggettività tanto cara ad alcuni lettori. Può essere un duro colpo, ma insomma: benvenuti nella postmodernità. ⬏
3. Perché si fanno?
Qua la risposta è facile: per aumentare i numeri. Delle proprie vendite, nel caso delle riviste cartacee, e delle visualizzazioni per le testate online. Sia in un caso che nell’altro, le classifiche sono attese anche dai fruitori saltuari e registrano un boom di lettura. Per quanto riguarda le riviste web, inoltre, i tanti link presenti nella pagina della classifica sono un efficace modo per ravvivare le visite dei propri contenuti d’archivio (in particolare recensioni e schede degli artisti).
Sembra puro cinismo, ma è esattamente ciò che i lettori desiderano: spunti per interessarsi ai musicisti, e occasioni per approfondirne la conoscenza. Il meccanismo avvantaggia anche gli artisti – quantomeno quelli che sono citati nelle liste – portando nuovi ascoltatori a incuriosirsi verso i loro album grazie all’accattivante gioco della “lista dei migliori”. ⬏
4. Come vengono compilate?
Per farla breve: non si sa, almeno nella stragrande maggior parte dei casi. Pochissime testate dichiarano in modo esplicito il metodo con cui la propria lista viene stilata e la composizione della “giuria” coinvolta. OndaRock è una di queste. La britannica The Wire è essenzialmente l’unica testata anglosassone di peso ad aver reso pubblici entrambi gli elementi: la lista dei collaboratori viene messa online ogni anno, mentre l’algoritmo è stato descritto nel 2011 (e, quantomeno fino al 2022, sembrava essere ancora in uso). Curiosamente, si tratta in sostanza dello stesso metodo impiegato anche da OndaRock: una versione del Borda count, che prevede che ogni contributore realizzi una sua lista personale di N elementi e che a ciascun elemento dell’elenco sia assegnato un punteggio discendente (es. 20 al primo, 19 al secondo, ecc. – nel caso di N=20 elementi). La classifica complessiva si ottiene semplicemente sommando i punteggi ottenuti da ciascun elemento e ordinandoli dal maggiore al minore.
Fra i restanti, alcuni (es. DIY, Stereogum) accennano a “votazioni” fra i contributori, lasciando immaginare la presenza di una qualche procedura algoritmica per determinare il risultato finale. Per aggregatori come Metacritic o piattaforme fondate sul contributo degli utenti (es. Rateyourmusic), è chiaro che il verdetto abbia come input i giudizi assegnati ai singoli dischi dagli iscritti. Nel caso di Paste e Albumism, il modello è un ibrido preferenze dello staff/preferenze dei lettori, ma le modalità di sintesi non sono note. Beats Per Minute e Clash riferiscono di discussioni per concordare la classifica da proporre ai lettori, mentre testate non musicali come Esquire e Business Insider affidano il compito di stilare la classifica a un singolo incaricato, che firma l’articolo.
Tanta nebulosità può sorprendere, soprattutto perché il giornalismo anglosassone vanta tendenzialmente standard di trasparenza piuttosto elevati rispetto a quelli italiani. Si deve forse concludere che l’informazione musicale (e forse artistica in generale) rappresenti un po’ un mondo a sé. Ma la mancanza di chiarezza in questo settore potrebbe anche avere il vantaggio di rendere meno “pilotabili” i risultati finali, evitando ingerenze delle parti interessate. ⬏
5. Perché escono sempre prima?
Indiscutibile. Anno dopo anno, si è assistito a una progressiva anticipazione delle pubblicazioni delle classifiche conclusive. Al punto tale che alcune testate (come Pitchfork quest’anno) sono arrivate a includere nelle proprie liste anche album rilasciati a dicembre dell’anno precedente, possibilità surreale ma “necessaria” per non penalizzare i titoli pubblicati a chart già diramata.
Il fenomeno ha alcune spiegazioni semplici: si cerca di battere la concorrenza, le classifiche sono impiegate per fare (e farsi) regali dunque tornano comode a ridosso degli acquisti, dicembre è tendenzialmente un mese povero di uscite significative. Quest’ultima circostanza non è tuttavia indipendente dal continuo retrocedere della data di pubblicazione delle classifiche: perché abbia la speranza di comparire nelle ambite classifiche di fine anno, un album deve essere già in circolazione al momento della stesura di queste ultime. È insomma, almeno in parte, un circolo vizioso, e al momento né chi si occupa di informazione musicale né le case discografiche (e nemmeno, in fin dei conti, i lettori) sembrano interessati a spezzarlo. ⬏
6. Come mai non c’è quell’album lì?
Lo pensiamo tutti, dai. Davanti a una lista di titoli, valutiamo la corrispondenza con le nostre aspettative, e dove osserviamo una forte discrepanza possiamo essere colti da una reazione che sconfina nello sdegno: “Ma come, il mio disco preferito nemmeno c’è?”. Possono seguire giudizi di snobismo, ignoranza, pressapochismo a seconda dei casi.
Sono percezioni comprensibili, e a volte ovviamente anche ragionevoli. Ma spesso l’assenza di uno specifico titolo ha più a che fare con la struttura del mercato musicale e il meccanismo che porta alla classifica che con la volontà dei singoli contributori.
Lo si è già rimarcato: ben lungi dal decretare i “migliori” in senso obiettivo, le classifiche di fine anno sono una misura di quanto diffuso sia l’apprezzamento per un album all’interno di una comunità – quella dei contributori alla classifica medesima. Hype globali e locali – o localissimi, anche relativi alla specifica community – partono in pole position, e in generale ad avere più chance sono i titoli che, stilisticamente, si collocano in un territorio comune alle preferenze di molti. Proposte “di genere” (ovvero legate a filoni “periferici” rispetto al focus della comunità valutante) e dischi “da fan” (come l’ennesimo album niente male di un artista che non è al centro dell’attenzione) hanno invece maggiori difficoltà ad emergere.
Il che non impedisce, è chiaro, la raccomandazione da parte di singoli contributori: quasi certamente questi avranno espresso la propria preferenza per artisti dalla notorietà molto diversificata, includendo anche svariati “outsider” e nomi “di culto” solo negli ambiti con cui hanno maggiori affinità. Semplicemente, al momento della sintesi – sia essa algoritmica o frutto di discussione – a prevalere sono i nomi più condivisi. Le tante proposte “centrifughe” escluse dalla lista finale restano consultabili nel caso in cui, come su OndaRock, i contributi dei singoli ricevano uno spazio apposito nella pubblicazione. ⬏
7. Davvero rappresentano uno spaccato del panorama attuale?
Qui la parola chiave è l’articolo indeterminativo, “uno”. Ciascuna classifica rappresenta una prospettiva – non l’unica possibile, non la migliore – su quell’entità smisurata e sostanzialmente inafferrabile che è il panorama musicale attuale. Un’idra da decine di migliaia di uscite l’anno, diffuse su innumerevoli lingue e generi, che non può essere rappresentata in maniera fedele da un singolo scatto, per quanto composito e ponderato questo sia. Una classifica è a modo suo una mappa che aiuta chi vi ricorre a orientarsi, ma lo fa in base a un punto di vista specifico e di per sé limitante: quello di chi la ha redatta. Rifletterà dunque priorità, punti di forza e bias della visione alla sua base, oltre che – nel caso di liste a più teste - gli inevitabili “artefatti” del metodo adottato per compilarla a partire dai singoli contributi.
Forse, in effetti, ancor più che come ritratto del volto musicale di un anno, una classifica è utile come specchio della testata che la propone. È uno strumento efficace per farsi un’idea – o aggiornarla, nel caso già se ne abbia una – di quali siano i suoi ambiti di punta, gli artisti prediletti, l’attenzione a specifiche aree geografiche e comunità. Insomma, di fotografare la sua linea editoriale. Per valutarla in funzione della vicinanza alle proprie inclinazioni, o semplicemente per acquisire una maggiore consapevolezza riguardo alle proprie fonti informative. E costruirsi una propria mappa mentale di quali siti o riviste consultare per ottenere dritte di uno specifico tipo (non per forza la webzine su cui scoprire tutto il meglio del metal contemporaneo sarà la stessa che saprà dare una soddisfacente vista d’insieme di vizi e virtù del mainstream di casa nostra). ⬏
8. Dunque, in conclusione, che cosa farsene?
Ogni utilizzo è lecito, dall’insulto liberatorio all’analisi comparata. Il suggerimento chiave, però, è di prendere queste liste cum grano salis e con sportività: sono giochi e non gare, valgono quel che valgono e certamente non hanno pretese di oggettività. Soffermarsi solo sulle distanze rispetto al proprio punto di vista è poco arricchente: vale la pena invece di scegliere uno o più elenchi che paiono interessanti e lasciarsi incuriosire dai titoli che ancora non si conoscono (o dare nuove chance a quelli che, già ascoltati in passato, non avevano impressionato). Una strategia efficace è partire da liste con le quali si avvertono buoni punti di contatto: i nomi presenti avranno una maggiore probabilità di dare soddisfazioni. Anche l’approccio opposto, soprattutto per i più temerari, può tuttavia essere foriero di sorprese: individuare una classifica con nomi sconosciuti o lontani dalle proprie corde può essere un modo per aprire una finestra su una dimensione del panorama musicale con cui non si era mai entrati in relazione, e condurre a scoperte difficilmente accessibili dalla propria comfort zone.
Le classifiche stilate da un singolo contributore hanno il vantaggio di tradurre in modo più evidente una visione personale, con la quale è più semplice sviluppare sintonia. Per questo OndaRock pubblica sempre anche le liste individuali, che fanno da ingredienti al proprio “classificone”, e raccomanda a chiunque non voglia fermarsi a uno sguardo di sfuggita di scorrere i singoli contributi in cerca di proposte che catturino la curiosità. (A proposito: lo sapevate che cliccando sul triangolo in fondo a ciascun elenco personale è possibile leggere le posizioni oltre alla decima?) ⬏