"Non so proprio cosa potrei offrirvi. Cosa succede se arrivo e cambio la vostra musica?"
"È esattamente quello che vogliamo. Potremmo andare avanti ed essere la stessa rock'n'roll band per sempre e forse lo faremmo anche bene, ma preferiamo muoverci in altre direzioni"
"Io sono più interessato a dipingere quadri, a creare paesaggi entro i quali la musica accade"
"È esattamente quello che vogliamo anche noi".
Convincere
Brian Eno a salire a bordo del nuovo progetto
U2 in qualità di ispiratore del cambiamento non era stata esattamente una passeggiata, ai tempi di
"The Unforgettable Fire". Sebbene i quattro irlandesi includessero sonorità figlie del post-punk, nella scia di
Television e
Joy Division, la loro crescente popolarità li stava spingendo verso un modello di arena-rock politicizzato, in sostanziale antitesi con l'universo Eno.
Non era stato l'unico nome sulla lista, Brian.
Prima di lui, Bono e soci avevano vagliato le posizioni di Conny Plank (figura di riferimento dietro a dischi di
Kraftwerk,
Neu!,
Ultravox) e Colin Newman (cantante dei
Wire, già in veste di produttore per l'esordio dei
Virgin Prunes, nei quali militava il fratello di The Edge), ma Eno restava il sogno proibito, l'alfiere di una transizione che aveva visto i
Talking Heads passare da grezzo anatroccolo
new wave a scintillante principe della scena internazionale.
Eno era inoltre il miglior viatico sul percorso verso la tradizione inglese di scuola d'arte, un contesto istituzionale che permetteva ai ragazzi di flirtare con la cultura pop (ne erano esempio
Keith Richards,
Pete Townshend,
Bryan Ferry,
Eric Clapton,
Syd Barrett,
Ray Davies).
Per chi era cresciuto respirando la Dublino degli anni Settanta, affetta da cronica mancanza di infrastrutture, Eno era la porta per uscire dal paradigma dominante e incorporare un po' della giocosità della storia musicale inglese.
Brian si convinse a patto di poter portare con sé il suo collaboratore di fiducia, il canadese
Daniel Lanois, con il quale aveva già lavorato al tema musicale dell'adattamento cinematografico di "
Dune". L'idea (per Eno, quasi una speranza) era che Lanois avrebbe avuto il ruolo di polizza di assicurazione, in grado di prendere il controllo della situazione nel caso in cui il lavoro fosse andato nella direzione sbagliata.
Ma così non fu. Il team funzionò a meraviglia e "The Unforgettable Fire" segnò il tanto auspicato nuovo punto di partenza per gli U2, lontano dal furore messianico degli esordi e declinato in una forma espressiva dalle atmosfere più dilatate.
Neanche due anni dopo, il desiderio di ridefinizione concettuale della band era tutt'altro che sopito. L'esibizione al Live Aid aveva fatto impennare ancora le loro quotazioni, soprattutto oltreoceano, e uno come Bono non poteva certo restare indifferente alla chiamata.
Eno invece sì.
A fronte dell'ulteriore tentativo di coinvolgimento, Brian tentò di girare l'affare a Conny Plank e ci volle di nuovo tutta l'opera di convincimento di Bono per portare a casa il risultato.
Nel frattempo, le quotazioni erano salite in maniera esponenziale anche per Lanois, grazie al lavoro su un album importante e dall'ottimo riscontro commerciale (considerato ancora oggi un punto di riferimento a livello di perizia tecnica - un
Reference cd), "So" di
Peter Gabriel.
Tutto era pronto per un nuovo capitolo, riassunto nella testa dei quattro irlandesi come un grande saggio appassionato sul mito americano, pronto a contrastare (almeno sul piano culturale) la politica
reaganiana, e per il quale si rendevano necessari una visione e un approccio che andassero al di là delle atmosfere sospese di "The Unforgettable Fire".
Dal momento che il concept originale prevedeva la realizzazione di un doppio album, l'intera squadra si radunò nel gennaio 1986 in una casa georgiana della Contea di Wicklow e cominciò a sbozzare le idee di circa trenta canzoni, alcune delle quali furono scartate, riprese, lavorate e poi scartate di nuovo.
All'inizio, Eno e Lanois lavorarono sui pezzi in maniera separata, alternandosi alle apparecchiature ogni due settimane circa.
Il loro metodo ricordava molto la tecnica poliziotto buono/poliziotto cattivo, con Daniel nei panni del facilitatore sensibile e Brian in quelli del provocatore dissenziente (Bono li chiamava Batman e Robin).
Come lo stesso Eno ebbe a dire, già ai tempi di "The Unforgettable Fire": "La presenza di Daniel mi aveva permesso fondamentalmente di ritagliarmi il ruolo del perfetto stronzo. Potevo sedermi e mugugnare frasi del tipo 'Mmm, questo non mi piace' oppure 'Non credo che questa cosa andrà lontano' o anche 'Questa è proprio una bellissima idea! Tagliamo via tutto il resto e vediamo cosa succede'".
Brian fece la spola tra Londra e Dublino fino a maggio, poi la band scomparve per imbarcarsi nel "Conspiracy of Hope Tour" di Amnesty International (sei date, tutte negli Usa). Lanois ne approfittò per dedicarsi alla produzione dell'esordio solista di
Robbie Robertson, sul quale gli stessi U2 al completo trovarono il tempo di partecipare (in "Sweet Fire Of Love" e "Testimony").
Nonostante il canadese non avesse finito il lavoro con Robertson, le
session di
"The Joshua Tree" ricominciarono all'inizio di agosto ai Windmill Lane Studios di Dublino.
La pausa non aveva prodotto alcun ripensamento nelle intenzioni, la band sembrava sempre più convinta dell'urgenza di raccontare la sua visione della tradizione musicale a stelle e strisce.
Lanois iniziò a prestare particolare attenzione alla sezione ritmica dei brani che avevano una struttura già definita, mentre Eno si concentrò su quelli in ritardo e sulle bozze, remixando, rallentando e accelerando il materiale a disposizione (oppure giocando col
reverse playback e con la solita cascata di effetti).
È stato grazie alla sua perseveranza che un paio di episodi abbandonati in precedenza come "Mothers Of The Disappeared" e "Bullet The Blue Sky" ritrovarono la loro strada verso l'edizione finale dell'album.
Sul primo, il produttore aveva innestato una sezione di batteria velocizzata proveniente da un altro brano, battagliando non poco per renderlo adatto al nuovo tempo metronomico e al testo di Bono (un omaggio ai dissidenti fatti sparire dalla Giunta militare del generale Videla dopo il colpo di stato in Argentina del 1976).
Il secondo era stato costruito invece a partire da un
riff di chitarra di The Edge e lavorato fino a far germogliare un altro testo di Bono, seriamente preoccupato per l'emergente guerra civile in El Salvador.
"Bullet The Blue Sky" fu poi oggetto di trattamento da parte di Lanois e del suo ingegnere Flood, che convogliarono l'audio della sola batteria in un grosso impianto di amplificazione nel magazzino accanto allo studio, ri-registrando quello che ne usciva. Il processo rese il suono dei tamburi più metallici e più aggressivi, introducendo una gamma media di frequenza che esaltava a perfezione l'
high hat (o
charleston) e la grancassa.
Nelle parole del canadese: "Il nuovo suono di batteria aveva attraversato la linea fisiologica oltre la quale si entra nell'astratto. È in quel territorio che i responsabili della registrazione a volte operano come degli illusionisti".
The Edge fu responsabile del passaggio musicale più suggestivo dell'album - il fischio etereo che introduce "With Or Without You" - grazie all'insistenza dei due produttori che spingevano per l'utilizzo dell'Infinite Guitar. L'effetto era un'invenzione bizzarra del musicista Michael Brook (lui, Lanois e The Edge erano proprietari degli unici tre modelli esistenti al mondo) e consisteva essenzialmente in una linea di ritardo digitale che permetteva alle singole note di dilatarsi in teoria in un
loop eterno.
La struttura della canzone era nata su una
drum machine Yamaha, in pratica l'unica base a disposizione di Adam Clayton per incidere la sua parte di basso (la batteria vera e propria venne aggiunta alla fine). Un fatto nuovo per il metodo di lavoro U2, nel quale Clayton era solito ripetere la registrazione ogni volta che qualcuno aggiungeva un particolare. Qui invece le sue semplici note, in linea con il minimalismo della
drum machine, ebbero l'occasione di rimanere tali e quali dall'inizio alla fine della lavorazione, sottolineando la sensazione di infinito dispensata dall'effetto di The Edge.
A fare la differenza, durante tutto il periodo ai Windmill Lane Studios, fu però la strategia di definizione del
mood operata da Eno.
Le sue
texture a base di DX7 (forse il synth più usato nelle produzioni pop anni Ottanta) contribuivano spesso a fornire una linea-guida e uno stato d'animo durante la fase creativa. L'esempio più sorprendente rimane "Running To Stand Still", dove tutto il contesto cinematografico distillato dal synth (di sponda a un testo che trattava il problema della droga a Dublino) venne rimosso sul
mix finale perché non adeguato alla necessità di ricreare la sensazione dell'aridità del deserto. Quest'opera di rimozione era un dato comune al
corpus delle collaborazioni U2/Eno, cosa che rendeva spesso il produttore una specie di presenza "assente", una sorta di piccola sbavatura di rossetto sul materiale finito.
"I Still Haven't Found What I'm Looking For" nacque intorno a una take di batteria recuperata da un provino ("Under The Weather") che Lanois insisteva per far diventare un episodio del disco.
The Edge, ispirato dalla traccia di Larry Mullen, elaborò una parte di chitarra acustica dalle forti influenze gospel. Si portò a casa una copia della registrazione e tornò il giorno dopo con l'elenco dei suoi dubbi, pronunciando una frase che divenne in pratica uno slogan: "Ma non ho ancora trovato quello che sto cercando". E quella fu la scintilla per i testi di Bono, i cori e tutto il resto.
Il suono americano di "The Joshua Tree" non era il frutto di un collage di tendenze in voga in quel momento e nemmeno un tentativo di scimmiottare i classici. Era piuttosto un modo per rileggere tradizioni musicali decisamente iconiche sotto una luce nuova.
Come Bono rifletté in seguito: "Uno dei problemi che abbiamo avuto è stato adeguare il feel di una vecchia melodia gospel alla nostra epoca, al momento in cui siamo. E forse ci siamo riusciti soltanto intrecciando parti di chitarra astratte".
Flood ricorda che "il tipo di suono su cui si lavorava era molto diverso da qualunque altra richiesta un produttore mi avesse mai fatto: apertura, ricerca di senso dello spazio, dell'ambiente. Non richieste normali".
Questo fu la chiave per concretizzare un ibrido tra la canzone convenzionale e la sperimentazione ambient; tra la tradizione e la modernità. L'America contrapposta all'Irlanda, le radici ("roots") all'estetica post-punk, l'avanguardia al nazional-popolare. Il tutto perfettamente in linea con il desiderio dichiarato da Eno di trovare nuovi territori.
Ma tutta questa meticolosità, tutto questo procedere senza compromessi di Eno, era anche all'origine di un evidente effetto collaterale, che si concretizzò durante la realizzazione di uno dei pezzi più venerati dell'album, "Where The Streets Have No Name".
Come gran parte del materiale, la canzone era stata inizialmente concepita su apparecchiature di home recording. Tradurre una demo dal Portastudio di The Edge in un equivalente su ventiquattro tracce si dimostrò un processo agonizzante e contorto.
"Probabilmente la metà del tempo della lavorazione dell'intero l'album è stato speso per quella canzone", confessò Eno nel documentario Bbc sul making of del disco.
"È stato un tremendo lavoro da certosino, quasi un incubo. I miei sentimenti erano che sarebbe stato molto meglio ricominciare da zero. Ero arrivato al punto di mettere in scena un incidente, così avremmo dovuto rifare tutto…".
Flood inorridì quando seppe quanto erano arrivati vicino a perdere la canzone nella sua interezza: "In sostanza, Brian era così agitato che quando Pat [McCarthy, l'altro ingegnere] uscì per farsi una tazza di tè, si avventò sul registratore multitraccia pronto a premere Record per sovrascrivere il nastro. Pat dovette abbandonare il tè, afferrare Brian e trattenerlo fisicamente. [McCarthy] era completamente fuori di testa; come membro più giovane della squadra stava attaccando il membro più anziano".
Bono: "'Brian ha cercato di cancellare il nastro di quella canzone. Sono sicuro che un sacco di persone sarebbero state più felici se l'avesse fatto. Lui amava la canzone, ma aveva cominciato a odiarla, perché ci stavamo prendendo un po' troppo tempo per completarla. Lui è un brontolone - un burbero del Suffolk".
Inoltre, The Edge aveva pensato a una parte sinfonica nell'introduzione, perfetta per settare l'atmosfera per resto del pezzo ma non facile da eseguire a causa della strana lunghezza delle misure sul pentagramma, che rendevano il processo molto più scientifico di quanto i musicisti avrebbero voluto.
Lanois: "Ricordo bene lo stare in piedi di fronte a questa enorme lavagna, come un insegnante di scienze, dando indicazioni su quando eseguire i cambi di accordo della intro".
Il delicato compito del mixaggio fu affidato alle sapienti mani di Steve Lillywhite, già produttore dei primi tre dischi della band. Proprio in virtù del rapporto di fiducia, Lillywhite ebbe parecchia libertà nel dare ulteriormente forma a quella imponente raccolta di materiale. L'unico vero aiuto lo chiese alla moglie (la compianta Kirsty MacColl) a proposito della sequenza delle tracce, che lei semplicemente elencò nel suo ordine di preferenza.
Pubblicato nel marzo 1987, "The Joshua Tree" surclassò immediatamente il suo predecessore nelle vendite, raggiungendo il disco di platino a meno di quarantotto ore dall'uscita e andando velocemente in cima alle classifiche inglesi e americane.
Mentre gli U2 avevano tutti i loro riflettori puntati sull'America (con l'apice di attenzione raggiunto nel successivo "Rattle And Hum"), il resto del mondo cominciava a guardare verso l'altra superpotenza. L'era dello scongelamento, della glasnost e della perestrojka era da poco incominciata sotto la guida del premier sovietico riformatore Mikhail Gorbachev.
Di lì a poco sarebbe crollato il muro di Berlino, e con esso tutta una serie di dualismi e contrapposizioni. Gli U2 si sarebbero fatti trovare pronti a inizio anni Novanta (sempre sotto l'egida di Eno e Lanois) per un altro affresco importante, chiamato "Achtung Baby".