STAIN - KINDERGARTEN EP (autoproduzione, 2021)
alt-pop
Gli Stain nascono a Bari nel 2016 tra amici delle superiori, inizialmente con ben tre batteristi. Dopo poco la line-up si stabilizza su Francesco Lagioia, voce, Michele Tangorra, chitarra, Dario Ladisa, basso, e Niccolò “n.i.c.h.o.” Mastrolonardo, batteria. Nel primo “Zeus” (2018) gli riescono tuttalpiù imitazioni: la melodrammatica “What Will Would Be”, praticamente dei Talk Talk senza synth, l’elettronica “Sunday X”, la ballata Goo Goo Dolls-iana “Saturday Song”, e un quasi-power pop, “The Compromise”. Bastava un Ep, e infatti per il successivo “Kindergarten” optano per il formato breve, sfrondando anche le sofisticazioni in eccesso come prova il “math-pop” altamente partecipato di “Clay”. Le canzoni si fondano non più tanto su modelli noti quanto su qualificazioni astratte, e su rallentamenti, fratture, intensificazioni, svarioni, tutto peraltro accentuato dalla post-produzione elettronica. “Swinging ‘till Boom” è sia danzante che catartica. “Merry Go Round” trova un buon compromesso tra registri innodici e modi svenevoli. “Thanks Mama” suona tanto tifonica e nevrastenica quanto eroica. La più solida, “Erik Woodman”, si alterna allucinogena e bombastica tra poesia lirica e richiamo della foresta. “Kindergarten”: come l’asilo dismesso nel quale è stato inciso e come, di concerto, la riuscita, felice giocosità con cui è stato concepito. In realtà è pure un approdo del complesso a una propria libera forma di maturità, sia pur spericolata, talvolta scattante in senso punk, talaltra vaneggiante alla maniera psichedelica. E “Nap” è un interludio da coccolone. L’autodefinizione spiega bene: musica “post-teenage”. “Erik Woodman” (anche singolo) si ispira a L. Bowery (1961-1995), drag queen, designer e performer da riscoprire. Presentato al Sziget Festival 2022 (Michele Saran, 7/10)ROBERTA GIALLO - CANZONI DA MUSEO (G-RO Dischi, 2021)
songwriter
Roberta Giallombardo, Senigallia ma adottata da Bologna, incarna una nuova autrice pop eccentrica multidisciplinare sulla scia di Petrina. Notata da Lucio Dalla in persona, la tastierista dà il via alla creatività con un “Autoritratto dinamico” (2014) improvvisato direttamente alla webcam, quindi sperimenta con le colonne sonore e gli spettacoli teatrali (notevoli quelli con Rampini e Assante), da cui il suo “L’oscurità di Guillaume” (2016) poi tramutato in un album eponimo (2017) che l’ha fatta notare alla critica al punto da spingerla a scrivere un romanzo sulla sua realizzazione, “Web Love Story” (2021). In “Canzoni da museo” spicca da subito il singolo “Fossi stato allevato dalle scimmie”, per canto di mondina, controcanti africani, tamtam tribale e piccole dissonanze di piano, mentre “Acqua, acqua, acqua di Sicilia” in sostanza replica quest’arrangiamento in maniera più soavemente rarefatta. Il cuore del disco è invece nudo, centrato sul suo piano, e qui il brano-cardine diventa “E’ questo andare che non è andare”, impreziosito da un pianismo assorto Satie-esco e una sordina Davis-iana. Le più patetiche “Ti ho creato padre” e “Amo il fiore della tua malinconia” danno prova della sua vocalità, ma “Il cielo contro cui Bologna” si fonda su un ameno scampanio e un’intonazione proprio alla Dalla. C’è anche una terza direttrice all’insegna della teatralità, soprattutto veicolata da un corrusco vaudeville in stile Amanda Palmer con finale acuto di soprano, “Parole”. Protetta, per i testi, da un drappello di poesie altrui (Giovanni Gastel, Davide Rondoni, e quelle inedite qui in esclusiva di Roberto Roversi), e aiutata dalla regia di Enrico Dolcetto, Giallombardo irrobustisce tecnica e scrittura e fa il suo miglior disco. Conciso equilibrio e un sapiente tocco tutto femminile che espande, approfondendolo e arricchendolo, quello stucchevole del “Guillaume”. Malavasi (tromba) e Berovski (violino) sono maestri, ma la vera sorpresa è il suo “vocal-painting” di sfondo in cooperazione con “Viviane” Severini. Preceduto da una raccolta di cover di De André, “Vicina vicina” (2020) (Michele Saran, 6,5/10)CACTUS? - ONE MORE FINAL EP (Costello’s, 2021)
dance
Quella dei tre vicentini Cactus? dell’Ep “One More Final” può sembrare una curva a gomito verso la pista da ballo, in realtà è solo uno dei possibili seguiti di “No People Party” (2019), finora il loro nadir, e dunque una dimostrazione di coerenza, per quanto contorta. Intitolati rozzamente “Track 1”, “Track 2”, “Track 3” e “Track 4”, i pezzi sono soprattutto accomunati da alcuni elementi costitutivi (altrettanto spavaldamente rozzi): autotune, battito techno vecchia scuola, tastiere ipersature. “1” (battito d’imitazione cartoonesca dell’industrial, andatura irruenta) sembra anzi un tentativo di cavare l’inno perfetto per le discoteche dell’era “non-binaria”. “2” si rimpinza di effetti elettronici. “3” aumenta il contrasto tra canto elettronicamente effemminato (o, meglio, di nuovo “non-binario”) e ritmo creativo (screziato, intermittente, brutale). “4” è un più deciso viaggio all’indietro all’epoca d’oro della techno. Dischetto più apolide che italiano fatto di ballabilità e cantabilità talmente povere e improbabili da segnare nuovi record di contagiosità. Coadiuvata da una sequela di singoli - “Shitdisco” (2020), “Blue Lips Cold Heart” (2020), “Broken Light Switch” (2020) e “Post Mortem Debugging” (2021) - la conversione elettro-danzereccia del combo non poteva essere più loro: kitsch esorbitante, toni sopra le righe, imperizia d’assalto. Volume a palla anche se non si vuole. Quasi ovvio: il rovescio della medaglia sta nella ripetitività (Michele Saran, 6,5/10)MICHAEL IT’Z - PERSONE (Veinte 33, 2021)
ambient-techno
Messi a segno “2020 Frames Of A Past Things” (2020) e “Plastika” (2021), Michael It’z prosegue imperterrito nel suo flusso creativo con “Persone”. Alcuni dei suoi numeri svettano per stile e classe: “Scusa - Mi”, un tifone che diradandosi svela una solenne melodia elettronica di grado Badalamenti, “Resonance”, un loop di battiti techno-industrial smaterializzato da cantillazioni persiane che non sfigurerebbe nel “Passion” di Gabriel, “Nocturne”, trambusto ferroviario veleggiato dal tema di Chopin in reverse, e “Inverno”, un coagulo di riverberi di enigmatiche trombe in sordina. Addendum è la prima parte di “Funeral Headplate”, un coro pseudo-gregoriano enfatizzato a rampa di lancio spaziale (che purtroppo non propelle alcunché). Sardo di Valledoria ma impiantato a Londra, Michael It’z (Michael Carria all’anagrafe) compone - forse più che altro dispone - col fare particolareggiato del miniaturista, o quello misterioso dell’alchimista, non del producer di convenzione. Un bel lusso: non pochi errori tecnici e di confezionamento. Nei pezzi in cui non funziona, la sua idea di base ritmica è discutibile. Edito dalla nuova interessante uruguagia Veinte 33 Records (Michele Saran, 6/10)ANNA BASSY - MONSTERS EP (autoproduzione, 2021)
songwriter
Veronese di origini nigeriane, Anna Bassy raccoglie i due singoli di debutto e altre tre canzoni nell’Ep “Monsters”. Con la sua voce elastica conduce “Could You Love Me” (2020), un salmo gospel, e “Wind Rain” (2021), un neosoul più convenzionale, poi un po’ rovinati dalla sezione ritmica. “This World” parte in maniera oscura ma finisce per fare il verso alle cantanti leggere da Mtv. Le sue radici africane si odono per bene nel ritornello di “Monsters”, forse la migliore. Prodotto da Francesco “Duck Chagall” Ambrosini dei conterranei C+C=Maxigross, arrangiato con Pietro Girardi (chitarra), Andrea Montagner (basso) e Pietro Pizzoli (batteria), è un r’n’b elegante nella forma e spazializzato nel suono ma pur sempre di maniera. Poco interrelato il surplus elettronico, non sempre restituisce pathos. Seguito del demo “Part Of Me” (2017). Premio Arezzo Wave Veneto 2021 (Michele Saran, 5,5/10)GIUMO - VOLUME I (Peermusic Italy, 2021)
emo-rap
Giuseppe Francesco Montemurno, in arte Giumo, nato in Puglia e punta di diamante del collettivo milanese Klen Sheet, prosegue il discorso inaugurato con l’Ep “Nebbia” (2020) con un lascito descritto come vero esordio ma di fatto ancor più breve dell’Ep: “Volume I”. Dal motto soul etereo dell’“Intro” all’ammasso di cupe distorsioni digitali dell’“Outro”, Giumo passa in rassegna pensierucci e idee sulla vita, sotto forma di filastrocche pseudo-polifoniche su basi house (“40-0”, “Come faccio”), e qualche ballata (“Pazienza”). La traccia più lunga (ma non dura nemmeno due minuti) è però un drum’n’bass placido, “Eat Your Noodles”. In perpetuo dondolio tra cantautore e produttore, Montemurno offre buoni sprazzi di palpitante sincerità, sia musicale che personale, ma asciugando tutto a undici e rotti minuti vieppiù segna un autogol. A parte una disperata “Brucia” che confluisce in “Che ne so”, un po’ pochino e troppo tardi, questi sono assaggi tronchi, non miracoli di concisione. Ospiti: Ngawa (Stefano Ngao) e il fonico Dexm (il compaesano Giovanni Pagliara). Presentato dallo showreel “In tre set” (2021) a cura di Francesca Stano, seguito dal singolo “Malditesta” (2021), già più consistente. Meglio “Words Of Dogtown” (2021) del compare Tanca (Michele Saran, 5,5/10)MATCH - MIRROR (Folderol, 2021)
jazz-rock
Il batterista jazz romano Giuliano Ferrari (Chat Noir, Piano Room) imbastisce i Match di “Mirror” in compagnia dei concittadini Giacomo Ancillotto, chitarrista (Sudoku Killer, Baap, Larix), e Federica Michisanti, contrabbassista per l’occasione convertita al basso elettrico. Il tema arabeggiante, lento e ponderoso, del pezzo eponimo si sfoga in una doppia improvvisazione, esageratamente slabbrata quella della chitarra, esageratamente virtuosistica quella della batteria. “Nine” importa stereotipi progressive e post-rock e “Shapeless” (unica scritta da Michisanti) importa stereotipi di backing-band dell’acid-rock storico, Experience e Big Brother And The Holding Company. Più spettacolarità emerge dalla fusion vagamente carioca di “Armadillo”. A questo neonato “power-jazz-trio” non manca nulla eccetto una valida idea per improvvisare. Oltre ai muscoli e qualche capriola ci sono solo ipotesi e pretesti scarsamente giustificati che danno risultati con poco fuoco e poco ampliamento. Già rodato con Økapi e O-Janà, Marco Contini offre una mirabile registrazione di qualità smunta (Michele Saran, 5,5/10)BOB ROCKET - ENCELADO (Sounzone, 2021)
ambient
La passione per le tastiere elettroniche di Ermanno “Bob Rocket” Capirone si saggia dapprima in “Soundtrack per viaggiare” (2019) e forse di più nelle piccole delicatezze new age di “Frame” (2020). Per ciascuno dei nuovi bozzetti elettronici di “Encelado” invece passa in rassegna fenomeni astrofisici e corpi celesti, stile “Planets” di Holst, pure includendo brevi spiegazioni parlate del divulgatore scientifico Amedeo Balbi, stile “Zodiac Cosmic Sounds” di Garson. Da qualcuno si estrae un po’ di polpa, sia pur derivativa, come il tema alla Sakamoto di “Saturn”, una “Crab Supernova” pulsante e oscura, il crescendo quasi-shoegaze di “Kepler”, il salterello Jarre-iano “Kepler Two”, fino alla meditazione di “Sun Sonification”. Torinese (Chivasso), laureato al “Ghedini” di Cuneo, possiede un tocco melodico e scenografico che per assurdo, ma in questo è complice anche il parlato, tende a perdere profondità. Va meglio se lo si considera come sussidiario audio in cui si imparano nozioni e le si espandono tramite l’evocazione, pure ben prodotto (Ale Bavo). Piazzare didascalie alla musica cosmica equivale, però, a mettere mutande alle piante (Michele Saran, 5/10)ROSELUXX - GRAND HOTEL ABISSO (Goodfellas, 2021)
alt-rock
Dopo Wedding Kollektiv, il secondo progetto del 2021 di Tiziana Lo Conte (romana, ex frontwoman dei Gronge), Claudio Moneta e Federico Scalas è il terzo disco a nome Roseluxx, “Grand Hotel Abisso”, successore di “Resti di una cena” (2013) e “Feritoia” (2017), e primo con un nuovo batterista (Marco Della Rocca). Difficile salvare qualcosa, a parte il poco di energia nel ritornello distorto di “Carver”, il quasi-metal che inframezza il racconto di “Netflixx” e lo slancio noise-rock di “Giorno crudo”. Gli intenti di critica sociale coeva, insufflati anche da Giorgio Antonelli alla scrittura dei testi, sono quasi annientati da una dilettantesca imprecisione e canzoni senza capo né coda. Lo Conte fa la sua figura di chanteuse mezza-arrabbiata con inflessioni alla Fossati e qualche effetto elettronico sparso, ma non si allaccia ai comprimari (né loro le vengono granché incontro). Cavoli a merenda con la bruttina cover italianizzata di “Song To The Siren”, “Canto alla sirena”. C’azzecca anche meno la chiusa, “Variazione Eldorado”, una creazione ambient-gaze a cura del fonico produttore “Lorenzer” Stecconi (Michele Saran, 4,5/10)SØREN - ULTIMA NECAT (Lost Generation, 2021)
gothic-rock
Il dark-punk di routine di “Ultima Necat” con finale assolo hard-rockeggiante a cura di D’Ascenzo e la soundscape elettro-chitarristica post-industriale di fragori malefici di “Terapia intensiva”. E’ quanto si può più o meno annoverare da “Ultima Necat”, capolinea dei Søren di Matteo Gagliardi dopo un già deludente “Bedtime Rituals” (2017). Uscito a sigla già sciolta, è una raccolta racconciata alla bell’e meglio in due parti, “When You’re Friends Are Foes” e “With A Little Help From Our Friends”, ossia abbozzi per un disco mai uscito allungati con i loro remix a cura di amici (Max Varani, Anna Soares, Gianluca Divirgilio). Fabio Fraschini, anche basso, fa da “genius” del caso. Nuove citazioni di Eliot (“Dead Land”) oltre al Seneca del titolo (Michele Saran, 4/10)