TWOAS4 - Audrey In Pain English (2012, autoprodotto)
alt-rock
Dietro la sigla twoas4 si celano le menti di Oscar Corsetti e Alan Schiaretti, due ex turnisti della scena indie italiana alla prima esperienza discografica in proprio. Dopo quattro anni di gavetta fra locali e sessions in studio improvvisate, la band arriva all'esordio ufficiale con questo “Audrey In Pain English”, che fa della ricerca e dell'ambizione un credo già a partire dal packaging. Abbandonate le classiche formule del jewel case e del digipack, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio scrigno da esplorare, contenente, oltre al disco, un album di ritratti a carboncino e un piccolo diario, in cui sono riportati i testi dell'album insieme a racconti e appunti. Musicalmente, il loro è un riuscito ibrido di post-punk e noise-rock registrato integralmente in presa diretta, dal quale emerge una particolare e corposa teatralità, enfatizzata da numerosi interventi narrativi. Lo strazio e la rassegnazione dominano in gran parte dei brani, fra cui l'iniziale “Not For Fun”, la disperata “Le nuvole di Quiz” e la lunga “So Captured”, probabilmente il brano più rappresentativo, il cui ciclo evolutivo passa attraverso muri di feedback e progressioni avvincenti. La forza di “Audrey In Pain English” sta proprio nella sua capacità di tratteggiare sfumature emotive per mezzo di un rock crudo ed immediato, capacità che sempre meno artisti possono vantarsi di possedere. Promettenti (Matteo Meda 7/10)
HERBA MATE - The Jellyfish Is Dead And The Hurricane Is Coming (2012, Blinde Proteus)
stoner-rock
Ci voleva l'intervento di Simona Gretchen, tramite la propria etichetta Blinde Proteus, per rifare un po' di luce su “The Jellyfish Is Dead And The Hurricane Is Coming”, piccolo gioiello pubblicato dai ravennati Herba Mate nel 2009, in regime di totale autoproduzione. Sul finire del 2012 la Blinde Proteus ha dunque ristampato, in 200 limitatissime copie su vinile, questo lavoro di puro stoner-rock firmato da Alessandro Trere (basso e voce), Andrea Barlotti (chitarra) ed Ermes Piancastelli (batteria). Riecheggiano, e non potrebbe essere altrimenti, i mostri sacri del genere (Kyuss, Queens Of The Stone Age, Fu Manchu), ma un conto è essere semplicemente derivativi, un altro è impugnare un genere e aggiungervi qualcosa di più: un tocco personale, ad esempio, come nel caso in questione. Tra riff pesanti come macigni (“Aragosta vs Panther”), derive psichedeliche (“Imargem”), deviazioni metal (“Bugs”), ammiccamenti funk (“1 to 65”) gli Herba Mate realizzano un disco eclettico e d'impatto. Una bella riscoperta (Fabio Guastalla 7/10)
RAINBOW ISLAND - Rnbw (2012, Flying Kids Records)
hypna-trip
Subito le coordinate: Animal Collective, Gang Gang Dance, Black Dice. La New York che conta, né più né meno. I Rainbow Island sono quattro ragazzotti della Roma-male/depressione-Veneto che segnano il debutto della Flying Kids Records. "Rnbw" suona essenzialmente spastico, coloratissimo. Involuzione digitale - un po' alla maniera dei Cadeo - che però riesce a misurare benissimo il come e il cosa delle cose. Quindi eccessi sì, ma con la giusta misura. Voyeurismi elettronici, negritudine quanto basta, cavalcate hypna e Sun Araw come se suonasse lontano dalla spiagge. Uno dei debutti del 2012, impossibile non recuperarlo nel 2013. Tutto il disagio della Roma est, dal Pigneto a Tor Bella Monaca, è qui (Alberto Asquini 7/10)
I DAVOLI - Greatest Hits (2012, A Buzz Supreme)
funk, psichedelia
Dopo due Ep, I Davoli si presentano con un Lp che diviene il compendio di quattro anni di musica ben architettata e suonata. Riccardo Mucci, Lorenzo Colzi, Francesco Bernardini e Gianluca Ingrassia (quest'ultimo membro anche dei Karl Marx Was A Broker) instaurano nelle tredici tracce un fitto dialogo tra gli strumenti e i generi, creando così un groove a suo modo atipico, capace di esaltare a tratti così come a rischio di risultare pesante altrove. Se il minimo comune denominatore sono il funk e la psichedelia, non mancano incursioni disco, rock, electro, dark e rigorose geometrie math. Un melting pot scandito dal mood danzereccio a cavallo tra Talking Heads e !!! di brani come “Switch On Pleasure” e “Somethingelse”, echi di A Certain Ratio in “Show Me”, ottimo funk psichedelico in “Purple Hills”. Da tenere d'occhio (Fabio Guastalla 7/10)
ELSA MARTIN - Verso (2012, Effettonote)
songwriting
Metti il friulano in musica. Elsa Martin è una giovane e talentuosa voce del nord-est che fa delle sue radici la base dalla quale partire per esprimersi. "Verso", in questo senso, raccoglie tutta l'eredità del un pop-folk più tradizionale, pur a volte eccedendo in virtuosismi. "La lûs" - luce in friulano - è esempio perfetto di come a deliziose aperture melodiche, si possa intrecciare un barocchismo forse eccessivo. Però lo sfondo quasi dreamy agisce e infonde ai 13 brani dell'album (tra cui una cover di "Ninna nanna" di Bruno Lauzi) una prospettiva particolarissima, che riesce a far dialogare le radici di una terra di confine con l'aspirazione alla modernità. Seppure album piuttosto di genere, "Verso" è entrato nella finale del premio Tenco come miglior opera prima. A pieno merito (Alberto Asquini 6,5/10)
FLORA & FAUNA – Flora & Fauna (2012, Iceforeveryone Records)
post-hardcore
E’ uscita da poco la ristampa del primo e finora unico album dei Flora & Fauna per l'etichetta Ice for Everyone degli Zen Circus, che si occupa, in maniera meritoria, di opere prime (fino ad oggi gli esordi di Zen Circus, Casanovas, Criminal Jokers e Fast Animals and Slow Kids). La band toscana nacque nei primi anni ’90, ispirandosi ai fasti del post-hardcore americano, con band di riferimento come Fugazi, Shellac, Jesus Lizard. In anticipo sui tempi (sugli anni zero) la decisione di abbracciare l’italiano: poche gruppi post-rock del nostro paese avevano il coraggio di mettersi alla prova con la nostra lingua, tranne la celebre eccezione rappresentata dai Massimo Volume (in parte richiamati nella traccia più narrativa del disco: “Giorni”). E questa sembra anche la ragione della ristampa di questi sette brani, di cui tre strumentali, che si muovono irriducibili tra tempi dispari, distorsioni e testi ermetici: provare a reinserirsi in un filone finalmente esplorato ed apprezzato sul suolo italico, vedi per esempio Il Teatro degli Orrori (anche se una delle carte vincenti del gruppo di Capovilla è la centralità dei testi, del lato “cantautoriale”) o la scena post-hardcore nella sua versione meno “fredda”, ovvero emocore (non è sempre una parolaccia): pensiamo, fra gli altri, agli ottimi Fine Before You Came. Visti in supporto agli Zen Circus hanno prodotto uno spettacolo tagliente e di sostanza e siamo curiosi di ascoltare il nuovo materiale a cui stanno lavorando. (Beniamino Cianferoni 6/10)
PAOLO ANDREONI – Un Nome Che Sia Vento (2012, Controrecords)
songwriter, world-blues, alt-country,
Nato dal contatto con la cultura africana, un rapporto costruito nell’esperienza e per questo delicatamente interiorizzato e non ostentato, “Un nome che sia vento” è il secondo lavoro di Paolo Andreoni, cantautore e chitarrista bergamasco. Se il country-blues dall’incedere glam di “Amore Amore Amore” ha un che di frivolo e non particolarmente fresco, se “Il carcere” rappresenta quello spoken word elettro-cantautorale un po’ “predicante” che obbedisce nuovamente a clichè dell’indie italiano (così come “Il ragazzo e la città” ha un po’ quella tentazione di pop sinfonico sanremese, seppur abilmente dissimulata), “Un nome che sia vento” sa mettere da parte le velleità e recuperare un po’ del suo candore, nella seconda metà, spesso lasciata da interpretare ai soli strumenti. “A Night At Holiday Inn” è sospesa, in preda a un incombente esotismo, in un coro di strumenti a corda che può ricordare Stranded Horse, ricordato anche nella bella title track, dal tono – e non l’unica – del De Andrè più funereo. Bello, per quanto didascalico, anche il country-blues desertico di “Sol major para comandante”: insomma, spezzando “Un nome che sia vento”, sembra di ascoltare due dischi diversi. (Lorenzo Righetto 6/10)
SILVEREIGHT - Silvereight (2012, Totem Schwan)
alt-pop
Già attivo in Jackie-O’s Farm e Radiotower, il chitarrista e multistrumentista Federico Silvi lancia il progetto Silvereight all’insegna di un dance-pop elettronico amatoriale. A partire dai sovratoni dark con seconda voce in lontananza di “Stop” l’album si divincola e si libra nella tiritera quasi-industrial di “The World Is Broken in Two”, e quindi nel pieno pop di “New Eyes”. Oltre a pièce standard come “Restless” (un remix gotico dei Violent Femmes), “Days” e l’anthem electro-ragamufin “Inside Outside” appaiono creazioni appena più complesse come la strumentale “Box”, persa in trame crepuscolari e beat sincopati, motivi semplicissimi che abbandonano in toto l’elettronica (“The Dreamer, The River”), e danze delta-blues (“Shit!”). Accompagnato da Andrea Pacchetti (campioni) e Daniele Catalucci (basso, voci). Per una volta l’esigua durata (neanche mezz’ora in tutto) e la pochezza del sound - che è comunque più voglioso di lied acustici che di forma-canzone - risaltano elementi che nelle grandi produzioni del pop italico invece annaspano, dalle voci (anche Chiara Pellegrini, Luca Carotenuto e Giacomo Vaccai), agli accordi limpidi (anche di tastiera, Claudio Laucci e armonica, Francesco Palazzolo), all’umore spesso contrito. Produzione a quattro mani Silvi-Pacchetti. Artwork a cura dello stesso Silvi e Francesca Crestacci (Michele Saran 6/10)
QUARZOMADERA – L’impatto (2012, Videoradio)
alt-rock
Dopo “Cardio & Psiche” e “Orbite”, la band lombarda torna con il terzo lavoro, quello dell’avvenuta maturazione. A metà strada fra scena indipendente contemporanea ed ingegnoso classic-rock, i Quarzomadera realizzano dieci nuove tracce (delle quali una strumentale) arricchite da opportuni inserti derivanti dalla tradizione cantautorale di casa nostra, da reminescenze sixties e da qualche germe di psichedelia che resta latente sullo sfondo. Il suono è ben strutturato, e sovente tende a certe rotondità alt-pop, come nel caso di “Incanto”, senza mai rinunciare all’impronta fortemente chitarristica (“Rimedi e speranze”). Si conferma la scelta per il cantato in italiano, con testi che si soffermano su tematiche mai banali, approfondendo interessanti riflessioni su rapporti interpersonali e problematiche sociali. L’attuale line up è composta da Davide Sar (voce, chitarre, tastiere e mente del progetto), Tony Centorrino (batteria e percussioni) e Simona Pozzi (cori); danno una mano gli amici Luca Urbani (archi sintetici e tastiere aggiuntive) ed Erika Zanotti (flauto). I Quarzomadera degli anni ’10 restano sospesi così, fra visioni di modernariato e sguardi vintage, con un disco importante che contribuirà a consolidarne la fama sul suolo italico (Claudio Lancia 6/10)
COMANECI – Uh! (2012, Madcap Collective)
slow-folk
Spingendo ancora di più che in passato sulla rarefazione, proponendo una liturgia blandamente “sperimentale”, torna la band ravennate con questo disco ombroso, a partire dall’ossessiva “Grasshopper” – ma è un’ossessione giocata su trame troppo prevedibili (lame chitarristiche lancinanti, armonizzazioni remotamente echeggianti; più o meno lo stesso che nella tremenda “The Fall”). Insomma un disco dall’ispirazione davvero carente, con queste labili trame atmosferiche a incorniciare il pantheon favolistico della band (gli intrecci di corde in “We Came When The Frog Started Talking”, lo straziante tentativo gotico di “Green Lizard”, l’elettronica rarefatta di “As A Spider”). Ingannevolmente elitario e inconsistente. (Lorenzo Righetto 5/10)
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