OLD FASHIONED LOVER BOY - The Iceberg Theory (2015, Sherpa Records)
dream-pop, songwriting
Dietro il moniker Old Fashioned Lover Boy si cela Alessandro Panzeri, cantante e chitarrista partenopeo con un passato nella band Abulico. "The Iceberg Theory" è il nome del suo album d'esordio, pubblicato a marzo 2015 per la Sangue Disken/Sherpa e prodotto da Stefano Bruno al Wami Lab di Napoli. Sin dalla prima traccia, Alessandro riesce a portarci in un'altra dimensione, in uno spazio ampio fatto di riverberi e chitarre folk, pochi suoni che però riecheggiano, si allontanano ma non si perdono. Il suo non è il sound del classico songwriter folk: è come se il primo Bon Iver fosse stato prodotto dai Sigur Ros di "Agaetis Byrjun". La scrittura e il cantato sono minimali ed emozionanti in tutte le loro forme, dalla urlata e rabbiosa "Burn" alle ballate "Your Song" e "Desolate", fino al pop-shoegaze di "Barracudas", unico pezzo in cui ci si allontana dalle coordinate sopracitate per virare su un sound a cavallo tra 80's e primi 90's. Manca solo un po' più di quantità: sette brani sono ancora pochi per farsi un'idea definitiva, ma possiamo senz'altro dire che, per questa prima di mezz'ora scarsa di musica, Old Fashioned Lover Boy è uno degli esordienti più interessanti di quest'anno (Cosimo Cirillo 7/10)
QUIVER WITH JOY - Ghost (2015, autoproduzione)
alt-rock
Se c'è un fantasma, in questo disco, potrebbe essere quello di Thom Yorke che aleggia nell'aria, e i Radiohead la principale fonte di ispirazione, sin dalle note di pianoforte che si diffondono dalla prima traccia, "Tonight", notturna e trasognata, e dall'impostazione vocale della successiva "Feel Alright". "Ghost" è il primo album dei Quiver With Joy, quartetto umbro di stanza in quel di Foligno, un disco che unisce atmosfere oniriche a ballate pop oblique, dal costante sapore malinconico. Fra un arpeggio di chitarra e un theremin (suonato dal polistrumentista Vincenzo Vasi, già con artisti del calibro di Vinicio Capossela e Mike Patton, e attualmente in pista nel duo Ooopopoiooo) le dieci tracce scorrono piacevoli e coinvolgenti, con le loro ambientazioni dilatate e la ricerca di atmosfere non troppo distanti da certo post-rock poco cervellotico. Scorgiamo persino sprazzi desertici, oserei dire morriconiani ("Landscape n. 1"), e verso il finale ecco "Cross The River", il brano che colpisce di più e al contempo il più complesso, con i suoi sette minuti tondi e un crescendo finale da brividi. "Ghost" è un lavoro delicato e convincente. L'ascolto è consigliato (Claudio Lancia 7/10)
NOVALISI - Animali (2015, Irma Records)
alt-rock
I Novalisi arrivano da Meduna di Livenza, e si sono fatti le ossa suonando dal vivo con The Niro, Dente, Meganoidi e Sick Tamburo. Dopo il primo lavoro "Per versi soli", concept album sulla solitudine prodotto da Matteo Dainese (Il Cane, Ulan Bator), arriva ora un'assai convincente fusione di felici intuizioni melodiche, energia grunge e architetture post-rock che guardano fuori dai confini nazionali. Registrato nel Mushroom Studio in Friuli, "Animali" contiene sette brani che ammiccano ora ai Verdena, ora (come nel singolo "Ma vecchio") ai Foo Fighters, e sono capaci tanto di scrutarci e mettere a nudo le nostre contraddizioni (siamo stanchi di sorbirci la "Solita minestra", "ma in fondo anche la novità del giorno dopo ci fa paura") quanto di parlare di sentimenti senza essere scontati. Da ascoltare e riascoltare le chitarre "spaziose" di "Temporale sopra i tetti" e lo strumentale "Ad occhi chiusi", affascinante ibrido tra i Mogwai e i primissimi U2. Un disco maturo, forse breve ma senza un minuto sprecato. Arrivati alla fine vi verrà voglia di premere di nuovo "play" (Alessandro Liccardo 7/10)
LA RAPPRESENTANTE DI LISTA - Bu Bu Sad (2015, Garrincha)
alt-pop
Dietro alla sigla La Rappresentante Di Lista vi è un duo siciliano formato da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, due attori di teatro girovaghi. Il primo "Per la via di casa" (2014) è il classico pop acustico zuccheroso tutto ukulele-glockenspiel-vocine soul. Solo "D.a.q.c.m." e "Non sostare" hanno veemenza, rispettivamente, di valzer e tango. Tutt'altra cosa è il secondo "Bu Bu Sad", che non a caso fa leva proprio su questi registri di danza. Primo singolo, e verace hit, è "Invisibilmente", un concitato bubblegum spagnoleggiante (nacchere, fanfare, battimani). Numeri space-age come "Bora Bora", "Guardateci tutti" e "Cosa farò?" sono più che altro flussi di coscienza il cui ritornello è un amuleto ripetuto ad libitum alla fine della canzone. "Cosa farò?", testimonia poi l'accresciuta potenza vocale di Lucchesi, in ruggiti gospel Loredana Bertè-eschi. Anche quando sembrano ripresentarsi gli stilemi del disco precedente, tutto fiorisce in intensità d'invocazione: "Non mi riconosci" è continuamente tallonata da boccacce e lamenti. Chiude la serenata aerea di "Un'isola", a metà mutata in samba elettronica. Tra verve strumentale, rifiniti elementi etnici e passionalità, è un'opera non dissimile dalle voraci inclinazioni sperimentali del Battisti maturo. Titolo preso e deformato dall'arcipopolare bubù-settete, con copertina a tema (l'analogo anglosassone del peek-a-boo, su disegno originale del disegnatore manga Shintaro Kago) (Michele Saran 6,5/10)
SOVIET LADIES - Soviet Ladies (2015, Dischi Soviet Studio)
post-punk, alt-rock
Riuscito esordio per i padovani Soviet Ladies, con un disco iconograficamente ben studiato, recante titoli che in maniera inequivocabile giocano sull'immaginario della Grande Russia ("Cyberia", "Transitaliana", "Kiev"). Dal punto di vista musicale ci aggiriamo dalle parti del post-punk, rivisto e corretto in chiave Interpol ("Graveyards") o lanciato in forme ballabili con la voce a ricordare il John Lydon dei P.I.L. ("Disco Pistols", altro bel giochino di parole sull'ex Rotten). Trascinanti in "Tropicana", perfettamente a fuoco in "Technical Life", le "signore sovietiche" chiudono questo lavoro omonimo con un bel trittico finale ("Asexual DJ", "San Salvador", "Animal Balls"). Dieci tracce azzeccate, registrate negli studi di proprietà e pubblicate per la label autogestita. Se vi piace la new-wave, così come gli Editors e i primi Killers, non lasciateveli sfuggire (Claudio Lancia 6,5/10)
DOORMEN - Abstract [Ra] (2015, autoproduzione)
post-punk
Terza prova in studio per The Doormen - Vincenzo Baruzzi, Luca Malatesta, Tommaso Ciuoffo e Andrea Allodoli -, "Abstract [Ra]" racconta il tentativo da parte del gruppo ravennate di ottenere uno stile più efficace e definito e, al contempo, di smarcarsi (almeno in parte) dalle sonorità che caratterizzavano i precedenti capitoli. Se nella ricetta sonora dei romagnoli persiste comunque, ancora, una vena new new wave che rimanda principalmente agli Editors ("My Vision", "Through My Bones"), l'immaginario si espande anche in altre direzioni, tutte comunque affini: l'epicità di "A Long Bridge Between Us" sa di post-punk come lo intendevano i Cult, il capitolo psych-garage "Kill Me Right Now" offre un'interessante variante sul tema, la lisergica ballad "It Could Be You" fa il paio con le atmosfere dilatate della conclusiva "Highway Again". Se amate queste sonorità, un ascolto piacevole (Fabio Guastalla 6,5/10)
KLUNE - Klune Ep (2015, Foolica Records)
pop, downtempo
Come suonerebbe la voce di Damien Rice sulle musiche di Chet Faker? La risposta ce la danno i Klune, trio di Padova composto da Alberto Pagnin (producer, già Bodwan), Giovanni Solimeno (voce) e Giulio Abatangelo (chitarra). Il loro omonimo Ep d'esordio mescola con successo melodie pop, songwriting sempre a fuoco, elettronica e una produzione veramente ottima che risalta le indubbie qualità del trio. Si apre con "Hope": piano profondo, voce che colpisce subito per la somiglianza con Rice, chitarre che sanno inserirsi con molta sapienza nel contesto elettronico - come in tutto l'Ep, d'altronde. "Woman" parte cupa e fredda, per poi virare sul pop nel ritornello: chitarra acustica molto presente e un ritornello accattivante. Per "Rainlow" e "Saturdays" si torna sui consolidati territori già esplorati dal sopracitato Chet Faker: cassa pulsante, downtempo ed elettronica protagonista. In "Cinnamon" c'è anche spazio per la collaborazione con il rapper canadese Emay, con risultati che ricordano un po' i nostrani M+A. Un trio da tenere d'occhio (Cosimo Cirillo 6,5/10)
XAYRA - Resilience Blues (2015, autoproduzione)
chamber-rock, slow-core
Un'altra band nata nel giro romano di Departure Ave. e Il Mare Verticale, gli Xayra pubblicano il loro Lp d'esordio, "Resilience Blues", che unisce grandeur chamber-rock anni 90 ("Bye Bye Myself") e uno spirito di libertà artistica percepibile - quello che si sente quando si ascolta qualcosa di fatto per il gusto di farlo. È quindi già un successo solo per questo, "Resilience Blues", che poi si destreggia con buona misura in ballate Farin-iane (la bella, appassionata "Worries+Faults", le suggestioni liquide, notturne di "Huge Empire Of Nonsense...", che sembrano ammiccare a Bark Psychosis e Talk Talk) e più esplicite strimpellate post-emo, con interpretazioni sempre di grande onestà ("Looking For An Aeroplane Full Of Hope"). Il suono sa anche farsi più muscolare, con oscillazioni di volume Kozelek-iane nel corso del disco ("Useless Escape From My Terrible Nowhere"), in un vero percorso di resistenza interiore al buio, alla solitudine, contro cui Massimiliano Speri si scaglia con i suoi titoli e testi ingenui e forse sottilmente autoironici (i pur non essenziali dieci minuti di "An Endless Aeon Of Silly Silly Sorrow"). In questo carattere fortemente digressivo del disco, anche nei piccoli intermezzi sguaiati e scherzosi del disco (il Johnston di "...And Then, The Sacrifice"), si capisce bene che il segreto del fare musica prima di tutto per se stessi è stato ben introiettato - non è ancora sufficiente per renderla del tutto interessante anche per gli altri, ma i primi passi sono stati fatti (Lorenzo Righetto 6,5/10)
NEWDRESS - Novanta Ep (2015, Believe)
alt, new wave
Li abbiamo conosciuti con "Legàmi di luce", un disco robusto che omaggia le sonorità new wave degli anni Ottanta e il rock italiano del decennio seguente. I bresciani Newdress sanno scrivere canzoni originali, ma stavolta hanno desiderato presentare al pubblico un tributo fatto col cuore ai propri maestri: oltre all'inedito "Sorride a tutti", infatti, ci sono quattro cover incise in compagnia con gli autori. Funziona la rilettura di "Senza vento" dei Timoria con Omar Pedrini, così come quella di "Grandi giorni" con la partecipazione di Garbo. "I Am Happy" (con l'ex Soerba Luca Urbani) diviene un synth-pop assai meno didascalico, ed è un piacere risentire Lele Battista in "Nero" dei suoi La Sintesi. La confezione è la stessa dei CD singoli, un jewel box sottile. Più anni "Novanta" di così... Un piacevolissimo Ep buono per ammazzare l'attesa del prossimo full length (Alessandro Liccardo 6,5/10)
SEC_ - Stalattite (2015, Archivio Diafonico)
avantgarde
Dopo un valido "Moscaio" (2012), il principale moniker del ricercatore partenopeo d'avanguardia Mimmo Napolitano annovera nuove composizioni, i bozzetti gelidi di "Outflow" (2013), i dodici minuti di "Errorvacuation" (2013) e i dieci dinamitardi minuti di "Running Dog" (2013), comparsi in uno split con Youniverse e Micromelancolié. "Stalattite", vero seguito di "Moscaio", si articola in due parti di dieci minuti l'una. La prima contrappone un fortissimo non-musicale a pause misteriose. Quindi passi in un silenzio horror danno via a un crescendo asfissiante, che muore rinasce come un vero incubo industriale, tutto colate e tonfi distorti. Nella seconda parte non si ritrova molto di questo sfacelo, vi è più un gioco di frequenze (anche gravi e gravissime) e battiti sfreccianti, che è più scenografia che sostanza. La via anti-sfarzosa ai power-electronics. Napolitano approccia con coscienzioso savoir faire un imperfetto gestualismo alla Gordon Mumma. Solo in cassetta (Michele Saran 6/10)