Max Fuschetto

Max Fuschetto

Tra classica moderna e melodie mediterranee

intervista di Valerio D'Onofrio

Max Fuschetto è il vincitore della classifica dei lettori di OndaRock del miglior disco italiano del 2022. Un traguardo certamente inatteso per un compositore non propriamente di facile ascolto, capace di superare il gradimento di musicisti ben più conosciuti al grande pubblico (cosa che ovviamente conferma la qualità dei lettori di OndaRock). Ma il successo di Fuschetto e del suo "Ritmico non ritmico" - pubblicato dall'etichetta NovAntiqua - ha assunto anche connotati europei con l'intervista su Radio France del giornalista Rodophe Bruneau-Boulmier che così lo ha presentato: "Un po’ di dolcezza per terminare questa stagione. Musica sorprendente, quella di 'Ritmico non ritmico', disco bellissimo, vi confesso che si ascolta un brano dopo l'altro. Ci stiamo librando in aria e scopriamo un compositore italiano, Max Fuschetto: musica contemporanea, jazz, musica da film, improvvisazione; è anche sassofonista, oboista e compone musica elettronica. È impossibile sapere da dove provenga questo musicista. Tanto meglio, peraltro, perché le sue collaborazioni sono innumerevoli. È difficilmente classificabile ed è per questo motivo che, in fondo, non si sa molto, perché non è collocabile in un filone preciso. Scrive musica a metà strada fra queste diverse influenze. Non riconosciamo più gli strumenti quando si ascolta la sua musica. È l’idea che domina ed ecco come, infatti, descrive la sua musica: 'La linea si forma, si deforma, è incrocio e contiguità, metamorfosi e soluzione, senza bordi, attinge al mistero, in equilibrio sui bordi. La musica ha ascoltato la notte'”.

 

Ciao Max, immagino che non ti aspettassi l'esito di questa votazione. Cosa hai pensato quando hai visto la classifica?
Vado un passo indietro e cioè al fatto di essere stato scelto dalla rivista tra i musicisti e i lavori da votare. OndaRock ha sempre prestato molta attenzione ai miei lavori e rientrare nella rosa, cosa che mi ha fatto molto piacere, ha confermato l'idea di una rivista sinceramente pluralista, attenta alle innovazioni e alla qualità messa in campo. Nel mio caso un'ottima presentazione del lavoro da parte di OndaRock e i lettori hanno fatto il resto dimostrando che nulla è mai scontato.

 

Molti lettori non ti conoscono, puoi presentarti? Quando hai deciso da giovane di diventare musicista? Hai studiato al conservatorio?
Non è stata una decisione ma un interesse. La musica mi appariva un universo dal mistero insondabile. Vedere da bambino una chitarra, un pianoforte demodé abbandonato in un angolo, gli ottoni in marcia nelle feste di paese mi dava la sensazione che capirne il funzionamento mi avrebbe portato dritto al cuore di quel mistero. La musica da allora è questo, un'avventura dell'intelletto tra le più alte, volta alla scoperta e alla meraviglia. Cosa c'è di più incredibile delle intricate polifonie e poliritmie dei Pigmei Aka del Centro Africa, così vicine alla musica di un Reich o un Riley, che risalgono all'alba dell'umanità?

fuschetto_max_by_fabiana_privitera_35La tua musica nasce come una confluenza di classica e pop, operazione che tanti musicisti hanno tentato negli anni anche con ottimi risultati. Credi che questi due mondi siano ancora così separati o che il confine sia sempre più stretto?
In realtà spesso l'ascoltatore e forse anche il musicista, ancor più chi vende, hanno bisogno di una comfort zone. Un qualcosa in cui riconoscersi che va al di là della musica. Dylan a Newport, inserendo la chitarra elettrica nel suo stile, sconcerta buona parte del suo pubblico. Tuttavia, soprattutto in ambito colto, attingere ai linguaggi (stili) popolari ha rappresentato spesso aggiungere linfa vitale. Nel tardo Medioevo e nel Rinascimento la melodia popolare L' Homme Armé è stata inserita nella Messa, quindi in ambito sacro, da quasi tutti i grandi polifonisti europei. E il rock ha fatto proprio, dalla seconda metà degli anni Sessanta, buona parte dello sperimentalismo dei compositori colti della decade precedente e coeva. Il minimalismo poi ha un debito più o meno importante verso la musica africana così come anche la popular music del Novecento, basti pensare al blues. Il movimento e l'innovazione abbattono le barriere erette qua e là da una mania classificatoria che in arte, luogo di universi e costellazioni, di voci originali, vive il tempo di una stagione.

 

Il tuo strumento principale è l’oboe, quando hai pensato a un album per pianoforte?
Il pianoforte rappresenta la sfida per eccellenza di un compositore, credo. Ha una letteratura sterminata in parte realizzata da menti geniali. Quindi, tirar fuori qualcosa di originale per questo strumento presuppone la possibilità piuttosto alta di un fallimento. Ho cercato di capire in quale territorio muovermi per poter dire una parola nuova. È nato l' album "Mother Moonlight", una sintesi della mia esperienza di studio della musica africana subsahariana. Il mio obiettivo era fare qualcosa di diverso dalle influenze che questa musica aveva avuto su compositori come Reich e Ligeti. Un passaggio della presentazione tedesca alla NDR Kulture di Amburgo di Robert Hauspurg mi ha confortato nei risultati: "La musica di Fuschetto non è immediata. I motivi e i ritmi cambiano costantemente. I singoli flussi si muovono del tutto indipendenti l'uno dall'altro. Non è stabilita una forma. Le ripetizioni quasi non ci sono". Ero così andato oltre alcune categorie, prima fra tutte il must ripetitivo della minimal music.

 

Quali sono i compositori a cui ti senti più legato? Vado a memoria, ricordo che nei tuoi album citi Bela Bartok e Arvo Part.
La lista sarebbe lunga. Ogni compositore originale ha aperto nuove strade. A seconda di ciò che desidero realizzare, scelgo un punto di riferimento a volte molto differente da un disco all'altro o addirittura da un brano all'altro. Avere dei punti di riferimento è per me solo vedere un oggetto da diverse angolazioni. Poi naturalmente inizia la mia esplorazione. Dei Beatles seconda maniera conservo la bellezza di trovarsi ogni volta di fronte a brani unici che danno ai dischi il mistero del non prevedibile. Di Bartok, Stravinsky, Debussy, l'importanza delle fonti popolari sia per rinnovare il proprio stile che per stare nel mondo. Part è un maestro della sottrazione e dell'uso di materiali sonori limitati: una scala, una sola armonia e, quando il risultato riesce, questa povertà di mezzi svela misteriosamente un mondo meraviglioso. Ma il mio compositore preferito è un pittore: Paul Klee, col suo muoversi tra figurativo e astratto è un modello di varietà e bellezza.

 

Per quanto riguarda il jazz invece?
Coltrane, Evans, Davis. "Africa/Brass" e "A Love Supreme", con la forza selvaggia delle percussioni, la presenza di lunghi bordoni armonici, le acrobazie melodiche dei sassofoni di Coltrane e l'urlo degli altri ottoni, il tutto immerso in una concezione filosofica e compositiva raffinatissima, dimostrano come il primitivo e le inquiete istanze del contemporaneo - politiche, razziali ed esistenziali - trovino lì, in quel suono complessivo, una sintesi unica.

Sei molto legato alla musica pop, ricordo che quando ho avuto la fortuna di parlarti in una pizzeria a Bergamo, mi hai citato di John Lennon la sua genialità in alcune idee di composizione. Puoi spiegarci meglio?
Lennon è uno di quei casi che dimostrano come dal Novecento in poi, in arte, la personalità sia più importante della tecnica. Nel periodo più intenso della produzione con i Beatles aveva sviluppato, insieme a McCartney, ma con risultati estetici più estremi, una sua personale metodologia che si poggiava sul caso. Componeva con la tv accesa o nel brusio di una conversazione, a volte sotto l'effetto di droghe, captando frammenti e inserendoli in un testo, ispirandosi per un incipit melodico fino ai collage di "Revolution Number 9", "I'm The Walrus", "Glass Onion". Un uso originale di un procedimento concettualizzato in quegli anni principalmente da John Cage.

La tua discografia inizia con “Popular Games”, “Sun Na” (forse il mio preferito) e svolta col recente “Ritmico non ritmico". Cosa è cambiato dal 2009 a oggi, che evoluzione hanno avuto i tuoi suoni e la tua idea di musica?
Io sono cambiato. E così anche la mia musica. Ho sentito sempre più forte il desiderio di unità. Rispetto a "Sùn Ná", "Mother Moonlight", è un disco monocromatico, essendo stato affidato per lo più al piano. Anche in "Ritmico non ritmico", pur nella varietà dei brani, domina un'idea complessiva unitaria di sospensione, di attesa: a dispetto del titolo, volutamente provocatorio, "Ritmico" consegna un'idea di staticità. "Midsommar Choral", ad esempio, col suo quartetto d'archi fatto di suoni tenuti e armonie accostate in maniera insolita, è una opalescente nuvola grigia sospesa come un satellite naturale sopra i cieli del Nord.

 

Oggi nella musica contemporanea ci sono vari versanti, dal minimalismo/post-minimalismo alla musica da camera legata all'avanguardia. Tu ti ritrovi in alcune di queste definizioni o ne preferisci altre?
Fermo restando che l'idea di Berio che "tutto è Musica" sia quella che spazza il campo dai recinti, la definizione più adatta al mio lavoro potrebbe essere quella coniata da Girolamo De Simone ovvero musica di frontiera. Artisti come Brian Eno, Ryuichi Sakamoto, Jim O'Rourke, il loro sperimentare inclusivo è di sicuro un porsi ai confini.

 

C'è stato un musicista che da ragazzo ti ha fatto pensare che avresti voluto fare occuparti di musica nella tua vita?
Come dicevo prima, è stata la musica come universo misterioso che mi ha attratto in modo invincibile. Da bambino non è che sapessi chi suonava o cantava alla radio, nelle sigle televisive o al cinema nei commenti sonori. Tutto quello che mi piaceva mi dava semplicemente una forte emozione. Era anche una questione di sonorità, ad esempio i flauti iniziali di "Annarè" di Pino Daniele li trovavo magici, chissà dove mi avrebbero portato insieme al flauto di canna di "The Fool On The Hill" e alle magnetiche armonie di "Scarborough Fair": l'Oceania in una vibrazione. Potrei fare mille esempi ma sarebbe la musica quello definitivo. Ecco a me interessava entrare alla sua corte.

 

Proprio qualche giorno fa su OndaRock abbiamo pubblicato la classifica delle colonne sonore originali per film e i Popol Vuh sono stati tra i più votati. Te lo dico perché a volte sento un legame con la tua musica. E vero? C’è qualche disco in particolare che preferisci?
Qualche tempo fa un gesuita commentando "Sùn Nà", il mio lavoro del 2015, mi ha stupito perché mi ha raccontato di averlo trovato molto spirituale. Sono andato a rivedere una tua recensione di quell'anno e anche tu, con dono anticipatorio, definisti questo lavoro dotato di una carica spirituale e lo accostasti a "Hosianna Mantra" dei Popol Vuh. Benché io lo abbia ascoltato solo successivamente, trovo che oltre alla dimensione spirituale i due lavori, quello dei Popol Vuh molto bello, condividono una disorientante mistura timbrica - archi, voce, chitarre elettriche, l'oboe, il tutto molto fluttuante - che conduce a una dimensione psichedelica e visionaria che è quella che amo di più in arte: Fellini, Klee, Van Gogh, Pollock.

 

Hai mai ricevuto offerte per soundtrack?
La mia musica è stata utilizzata per numerosi docufilm - l'ultimo in ordine è "La Sposa nel vento" (2022) di Giovanni Coda - e benché io la trovi troppo strutturata per finire sotto le immagini, i registi la pensano diversamente. In questi giorni invece mi trovo a scriverne una originale per un docufilm di Cristiana Lucia Grilli, “Sniper Alley - To my brother”, che racconta la storia di un uomo, all’epoca bambino, sopravvissuto a suo fratello ucciso, mentre si trovavano in strada a giocare, da un cecchino durante l'assedio di Sarajevo. Il documentario è girato tra Italia e Bosnia Erzegovina, e sono coinvolti fotoreporter di guerra pluripremiati, giornalisti italiani e bosniaci, testimoni sopravvissuti all’assedio e artisti di fama internazionale.

 

Ci parli dei tuoi prossimi progetti?
A breve, fine aprile, verrà pubblicato il video "Planet e nostalgia", su testo di Alexander Gerst "Message To My Grandchildren", con Valerio Mastandrea alla voce e coreografie del corpo di ballo contemporaneo degli Eko Dance Project diretti da Pompea Santoro e Paolo Mohovic con Cosimo Morleo alla regia. A giugno sarò invece a Venezia per la presentazione di Viral Human a cura di Mirn Art, col patrocinio del Ministero della Cultura, dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e di altre istituzioni, come il Conservatorio Benedetto Marcello: un’installazione sonora diffusa virtualmente sull’Isola di Venezia che viaggia parallelamente tra due epoche storiche, la peste e il Covid. Un altro appuntamento importante sarà la presentazione di alcuni miei lavori alla Fondazione Morra- Archivi d’Arte Contemporanea a cura di Konsequenze, sempre a giugno, al Festival Percussioni 2023 come compositore in residenza.





Discografia
 Popular Games (Hanagoori, 2009)
Sun Na (Hanagoori, 2015)
 Mother Moonlight (Italian World Beat, 2018)
 Ritmico non ritmico (Novantiqua, 2022)
pietra miliare di OndaRock
disco consigliato da OndaRock

Streaming
Portami con te
(videoclip da Popular Games, 2009)
Fase Rem
(videoclip da Popular Games, 2009)
Return To A.
(videoclip da Sun Na, 2015)
Les Roses D’Arben
(videoclip da Sun Na, 2015)
Qem Ma Tia
(videoclip da Sun Na, 2015)
Danzando nel buio
(videoclip da Mother Moonlight, 2018)
Max Fuschetto su OndaRock
Recensioni

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(2022 - NovAntiqua)
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(2018 - Italian World Beat)
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(2015 - Hanagoori)
Un ponte reale tra mondi diversi e culture lontane, firmato dal talentuoso compositore e oboista