Styrofoam

Pop ed elettronica in cameretta

intervista di Alessandro Biancalana

Raggiungiamo Arne Van Petegem per farci raccontare tanti ricordi di una carriera colma di aneddoti. Fra nostalgia dei tempi andati e tanta speranza per un futuro con una ritrovata voglia di fare musica.

Ciao Arne, come stai? Com'è tornare dopo otto anni? Sapevi che poco più di dieci anni fa vidi un tuo concerto a Bologna? Sembra passata un'era geologica, almeno musicalmente...
Tutto molto bene. È davvero speciale tornare con un nuovo disco dopo così tanto tempo. Non che io sia stato in questi otto anni senza fare niente, anzi, ho impiegato tutto questo tempo a produrre la musica di altri artisti oltre a insegnare musica elettronica in un istituto locale (Arne vive e insegna ad Anversa, ndr), cosa che faccio anche adesso. Ricordo vagamente quel concerto a Bologna, anche perché credo sia stato uno dei miei ultimissimi concerti prima di fermarmi.
Credo che le cose, già dal mio penultimo album (“A Thousand Words”) abbiano iniziato a uscire fuori dal mio controllo a livello musicale e di label management. Ho impiegato un po’ di tempo per capire le mie necessità di condividere la mia musica. Ad un certo punto tutto è diventato molto difficile da gestire con una sorta di negatività associata alla situazione. Produrre la musica di altri mi ha permesso di continuare ad attingere dalla mia creatività senza essere obbligato a espormi in prima persona e dover affrontare tutti i problemi annessi a ciò.
Nonostante non abbia mai smesso di produrre la mia musica, in qualche modo non ho più avuto, da un certo momento in poi, l’urgenza espressiva che mi imponeva di condividere con qualcuno le cose che producevo. La spiegazione più logica è che probabilmente non avevo niente da dire musicalmente.
Il primo seme che mi ha permesso di tornare a pubblicare qualcosa è stato piantato quando George (Mastrokostas, ndr) dietro l’etichetta Sound In Silence - che ha realizzato una versione cd limitata di “We Can Never Go Home” - mi ha chiesto se volevo fare un album con loro. È venuto fuori che lui, oltre a essere un mio fan di lunga data a partire dalle mie cose pre-Styrofoam a nome Tin Foil Star, ha sempre seguito le poche tracce che ho pubblicato sul mio profilo Soundcloud.
Inizialmente ho iniziato a scavare fra tutte le ore e ore di musica che avevo assemblato nel corso di questi anni e iniziare a comporre una tracklist, ma gradualmente ho preferito resettare il tutto e produrre completamente da zero il materiale. Per la prima volta dopo tanto tempo ho avuto una visione chiarissima di cosa volevo fare musicalmente, quel qualcosa che avevo perso negli anni precedenti. Volevo un album totalmente strumentale, elettronico e analogico, senza tentare di essere qualcosa che non sono, musica creata nel mio studio seduto davanti alle mie macchine nel tentativo di esprimere la mia essenza senza pressioni.

Mi sembra di capire che il tuo distacco sia stato un processo davvero complesso. Sono anche io un grande fan delle tue produzioni e in effetti negli ultimi due album avevo notato anche io una sorta di snaturazione rispetto ai tuoi standard. Chiaramente qualche ottima canzone c'era, ma qualcosa non tornava... Ascoltando "We Can Never Go Home", sembra di tornare indietro di quasi vent'anni con canzoni come "Off Is Not A Speed".
Solo di recente mi sono accorto quante somiglianze ci siano fra i brani di “We Can Never Go Home” e i miei primissimi lavori. Mi ricordo che quando l’album è stato completato e masterizzato, mi sono chiesto: "Quale dei miei precedenti dischi assomiglia di più a questo nuovo?". È molto strano perché le condizioni di produzione attuali sono molto diverse rispetto a quelle di quasi vent’anni fa. Al tempo avevo pochissime possibilità e i miei strumenti si riducevano a un sintetizzatore, una drum-machine e un registratore a quattro tracce. Adesso ho uno studio molto ben equipaggiato, fra synth modulari, registrazione digitale e tantissimi attrezzi che prima potevo solo sognarmi. La somiglianza credo che sia tutta nell’assenza di aspettative nei confronti della musica, solo me nella mia stanza con qualche strumento nel tentativo di trovare l’ispirazione, la giusta atmosfera, il giusto feeling per produrre qualcosa che sentivo davvero.
Lo so che può sembrare una tipica affermazione fatta da un artista, ma a un certo punto ho rinunciato a chiedermi che tipo di musica avrei dovuto fare nel 2018 e come ciò si relazionava sia a cosa avevo fatto prima, sia a cosa viene prodotto adesso. Non sono un grande sostenitore del concetto di “arte come espressione della personalità”, ma in questo momento il mio stato è molto vicino a questa affermazione come mai prima. Allo stesso tempo, non mi sento di ripudiare ciò che ho fatto in passato, sono un grande fan del pop e a un certo punto ho cercato di far conciliare questo approccio con i miei suoni bizzarri. Credo che la brusca interruzione della mia carriera sia dipesa principalmente da problemi di budget, ma anche dalla mia natura: non mi sento e non sarò mai un frontman. Ricordo che nel tour che abbiamo fatto come band poco dopo l’uscita di “A Thousand Words”, le persone iniziavano a battere le mani e a cantare tutte le canzoni a memoria con un entusiasmo incredibile, la cosa mi ha parzialmente terrorizzato e divertito.

Credo che la somiglianza sia tutta nel suono, c'è una genuinità di fondo che ho ascoltato nei tuoi primi album. L'atmosfera che più ti si addice è quella intima e non le impennate di ritmo in tracce come "Extra Careful" o "Get Smarter" (non sto dicendo che queste siano brutte canzoni), ma questa è solo la mia opinione. Questo cambio di suono per caso è coinciso con l'abbandono della tua "casa" Morr Music?
Credo che il cambio di suono sia qualcosa che è maturato più gradualmente, eccetto magari “Disco Synthesizers & Daily Tranquilizers”, dove ho fatto un salto più azzardato. D’altro canto, è qualcosa che ricordo volessi fare davvero in quel momento, produrre qualcosa di più estroverso, magari con un approccio più rabbioso. È molto difficile pensare alle motivazioni, è passato davvero tanto tempo!

Raccontaci come è nata la tua musica fin dagli inizi come Tin Foil Star.
La mia prima vera band in cui ho suonato è stata quando avevo 17 anni. Ci chiamavano “Kosjer D” e suonavamo una sorta di emo-hardcore vecchia scuola. Publicammo un album e due singoli e facemmo molti concerti in giro fra Belgio, Olanda, Germania, Francia e Uk. Avevamo anche una buona parte del nostro fanbase di provenienza italiana che viaggiava per seguirci nei nostri live! Il nostro più grande concerto è stato quando abbiamo aperto per i Fugazi in uno spettacolo completamente sold-out in Belgio (il 19 maggio 1995 a Gent, ndr). Credo che su YouTube si trovino le registrazioni di quella serata.
Dopo la fine di quella esperienza ho suonato la chitarra e cantato in un paio di band con un suono vicino a una sorta di indie-rock/noise/dream-pop. Ero veramente contagiato da band come My Bloody Valentine, The Wedding Present, Yo La Tengo. A un certo mi sono stancato di suonare in una band e ho acquistato un registratore a quattro tracce ed è così che è nato Tin Foil Star. Attraverso i miei esperimenti con questo nuovo mondo ho iniziato a interessarmi sempre di più alla produzione ed esplorazione del suono, usando percussioni elettroniche, synth, campionatori primordiali ed effetti fra i più disparati.
Ricordo che in quei tempi tutto sembrava super-eccitante, là fuori stava uscendo tantissima musica eccezionale, un incrocio fra la registrazione casalinga lo-fi e la musica elettronica (Isan, Broadcast, Boards Of Canada). Tin Foil Star gradualmente diventò Styrofoam nel momento stesso in cui presi contatti con Thomas Morr, il quale stava lanciando la sua etichetta e che distribuì lo split fra Tin Foil Star e Isan. Attraverso Atomic Recordings - nel cui negozio lavoravo come commesso - aiutai a pubblicare questa piccola uscita e da lì nacque tutto. Originariamente i miei due progetti dovevano coesistere, l’idea all'inizio era di farli continuare e pubblicare su due etichette diverse. Poco dopo cambiai idea e fusi tutto il materiale nel primo album come Styrofoam e chiusi il progetto Tin Foil Star.

Nella tua musica ci sono molte influenze e stili. Hai sperimentato con il pop elettronico, l'hip-hop, alcune linee di guitar-folk e con l'elettronica strumentale. Da dove vengono tutti questi componenti?
A un certo punto ho iniziato ad allontanarmi dalle solite cose indie e mi sono interessato a una grande varietà di musiche, cosa che faccio anche adesso. Sono un grandissimo fan di molto hip-hop vecchia maniera e credo sia anche la più eccitante e interessante musica che si possa ascoltare. A parte questo, ascolto molto afrobeat anni 70, soul, funk, rocksteady e dub, oltre a tantissimo altro. Cerco anche di mantenermi aggiornato sulle nuove cose, ma è più una mera curiosità di verificare se c’è ancora qualcosa di interessante più che un vero interesse. È inevitabile quando si inizia a invecchiare, la sensazione che prevale è quella di voler tornare alle origini di certi suoni, riscoprendo più cose di qualche decennio indietro piuttosto che seguire pedissequamente tutte le nuove uscite. Nonostante abbia una nutrita collezione di cd e vinili, sono un grande estimatore dell’ascolto digitale, tanta della musica che ascolto è sul mio cellulare e l’ascolto quando viaggio in treno o in aereo.
Un altro aspetto che condiziona il mio modo di ascoltare, oltre a obbligarmi a mantenermi aggiornato sull’attualità musicale, è il mio lavoro da insegnante. Ho una cattedra come insegnante di musica elettronica in un college in Belgio e con questo percorso abbiamo coperto tantissimi generi e buona parte della storia del pop mainstream, stimolando anche me ad ascoltare con grande attenzione tantissima musica. Anche per questo motivo ho iniziato a entrare nei meandri della musica soul e afrobeat, per esempio. In questo modo sono riuscito a creare un collegamento fra l’attualità e la storia, permettendomi di creare una connessione fra me e i miei studenti, che sono molto più giovani di me.

Quale album o artista ti ha influenzato di più? Riguardo le cose più recenti, cosa ti senti di consigliare?
Penso che più che un disco nello specifico, ciò che mi ha più influenzato sia stata un’attitudine all’espressione della musica (mi viene in mente John Coltrane). Un disco che mi ha mostrato una nuova strada o mi ha aiutato a scoprire qualcosa di me - forse perché risuonavano a livello emotivo dentro di me - è stato “Zen Arcade” degli Hüsker Dü, oltre a tutti i progetti paralleli di Bob Mould. Il mio cantante preferito è e rimarrà per sempre Otis Redding. Non so in che modo la sua musica possa avermi influenzato, dal momento che sarai d’accordo con me sul fatto che il mio suono non assomiglia per niente al suo.
I miei ascolti spaziano tantissimo a livello temporale, così riesco ad ascoltare un nuovo disco per una settimana intera e poi passo a qualcosa di veramente vecchio per un mese intero. Una volta ho ascoltato per due mesi di seguito solo Herbie Hancock, mentre la settimana scorsa per un giorno intero solo e soltanto “Daydream Nation” dei Sonic Youth, oltre ad aver recuperato l’ultimo dei Jungle Brothers “Raw Deluxe”, che pensavo di aver trascurato dando troppa importanza alle loro primissime cose.
Mi sento di consigliare le nuove tracce pubblicate su XL dal duo Overmono, come c’è tantissimo ottimo indie-rock proveniente dall’Olanda, provate a scoprire i Pip Blom o gli Amber Arcades, per esempio. Il nuovo disco dei Low è davvero eccezionale, li avevo persi un po’ di vista, ma questo è davvero una grande sorpresa. Sono anche un grande estimatore di Frank Ocean, non riesco a smettere di ascoltarlo.

Torniamo alla tua carriera. Non c'è dubbio che tu sia stato uno dei nomi più significativi dell'era d'oro della Morr Music, quando ogni materiale rilasciato da quella etichetta era un marchio di fabbrica. Com'è stato far parte di quella famiglia? Hai qualche aneddoto da raccontare?
Quei tempi sono stati davvero speciali. Quel periodo mi ha permesso, con la mia musica prodotta in camera con una strumentazione limitata, di ottenere attenzione e la possibilità di fare concerti in Europa, America e Giappone. Ho molti ricordi di quel periodo ed è davvero difficile sceglierne uno. I primissimi giorni dopo aver firmato per l’etichetta sono volato a Berlino per completare la masterizzazione del mio primo vinile (la mia prima volta in aereo!), in quei giorni sono stato catapultato in una realtà incredibilmente stimolante, sono uscito insieme ai componenti dei Mùm e altri artisti Morr, abbiamo visto concerti, ho vissuto nell’appartamento di Thomas Morr e ho avuto la possibilità di scoprire il quartiere Prenzlauer Berg dove si trovava l’abitazione.
Il mio primo concerto americano è stato al Knitting Factory di New York (allora era un posto leggendario), un live organizzato da Tood Hyman, lo stesso che poi realizzò l’esordio degli Animal CollectiveHere Comes The Indian” su Paw Tracks, una sublabel della ben più famosa Carpark Records. Non erano ancora arrivati i macbook, dunque ho viaggiato da solo con 50 chilogrammi di equipaggiamento da un aeroporto all’altro con bagagli senza ruote. Ricordo un giorno in cui fui costretto a una corsa incredibile per raggiungere il treno che mi avrebbe portato a Philadelphia, il tutto con quel peso al seguito!
Un altro grande momento fu quando mi fu chiesto di suonare nella line-up dei Notwist dopo che uscì il loro album “Neon Golden”. Fui chiamato da Thomas Morr per capire se potessi accettare e poco meno di una settimana dopo presi un volo per Monaco. Provammo per due giorni per poi iniziare un tour in tutta la Francia, seguì poi una serie di concerti in America in un contesto assurdo, Bush aveva invaso da poco l’Iraq e noi arrivammo in un’atmosfera “bellica” davvero molto strana. L’estate seguente aprimmo per due sere di seguito per i Sonic Youth, furono due giorni incredibili. L’ultimo concerto suonato con i Notwist fu in qualche festival estivo italiano con i Broadcast nella stessa serata. Nel 2004 feci un lungo tour nord americano di Styrofoam con tanti alti e bassi. Ripensare a quei giorni mi fa ricordare uno dei componenti di quella band che mi seguì in quella avventura: il compianto Alias (storico rapper Anticon scomparso il marzo 2018, ndr).

È stata davvero una tragedia la sua perdita, "Misguided" è una delle tracce più belle della tua carriera e il suo apporto è stato essenziale. In "Nothing's Lost" hai collaborato anche con una vera "indie superstar" come Ben Gibbard. Com'è stato lavorare con lui?
Alias ha contribuito alla realizzazione di alcuni beat in “Couches In Alleys” e “Make It Mine” oltre a varie altre cose. Lui e Ben Gibbard volarono a Bruxelles per una settimana intera in cui ci immergemmo nella lavorazione di “Nothing’s Lost” nella mecca della musica belga, l’Ancienne Belgique. Era il 2004 e fu una settimana davvero divertente. Conobbi Ben due anni prima, quando andai a Los Angeles in vacanza. Quando i Death Cab For Cutie suonarono a Bruxelles poco dopo la pubblicazione di “Transatlanticism”, ci rivedemmo e gli chiesi se voleva contribuire al disco che è chiaramente risultato fantastico. Ho dei ricordi emozionanti del lavoro fatto per quel disco e sono ancora molto grato con chi ha accettato di partecipare a quella operazione. Mentre lavoravamo a “Make It Mine”, abbiamo notato un piano disponibile sul palco della sala principale (noi eravamo in un'altra stanza dall'altra parte della strada), dunque abbiamo applicato dei microfoni sul piano e abbiamo lavorato con Ben attraverso una connessione video: è stata un'esperienza lavorativa davvero bizzarra! L’unica cosa di cui mi pento sul risultato finale di quei giorni è l’uso eccessivo dell’autotune in “Make It Mine” e “Couches In Alleys”.

Spero che tutti questi ricordi ti permettano di tornare a fare musica e concerti con lo stesso spirito di un tempo. In ogni caso, hai intenzione di farlo? O questo ultimo album è un caso isolato?
No, non voglio che sia un caso isolato. Ho in piano di realizzare nuovi album e ci sto lavorando duramente. Uno di questi è un disco fatto di sole cover, un progetto che sogno da sempre ma che non ho mai avuto la possibilità di realizzare. Ho anche intenzione di tornare a fare concerti, sto prendendo accordi con alcuni locali della mia città. Saranno spettacoli totalmente strumentali, dove suonerò tutto “We Can Never Go Home”. A parte questo, non ho piani per realizzare tour più vasti, ma prenderò in considerazione qualsiasi proposta mi verrà fatta.

Ti ringrazio per il tuo tempo e spero tu possa tornare in Italia: nonostante sia passato tanto tempo, ci sono ancora molti fan che ti aspettano.
Grazie! Spero di poter tornare un giorno.



Discografia

TIN FOIL STAR
Mort Aux Vaches(Mort Aux Vaches, 1999)6
Too Late Then, Too Late Now (Noise Museum, 1999)6
STYROFOAM
The Point_misser (Morr Music, 2000)7
A Short Album About Murder (Morr Music, 2001)7
EP2 (Rocket Racer, 2001)6
Dntel Split (7", Rocket Racer, 2001)7
To Simply Lie Here And Breathe (7", A Number Of Small Things, 2002) 6,5
A Heart Without A Mind EP(EP, Morr Music, 2003)7
I'm What's There To Show That Something's Missing(Morr Music, 2003)8
Anything (singolo, Morr Music, 2004)6
Nothing's Lost (Morr Music, 2004)7,5
Live (Morr Music, 2005)6
The Same Channel(con Fat Jon, Morr Music, 2006)6,5
The Same Channel EP (EP, con Fat Jon, Morr Music, 2006)6,5
A Thousand Words (Nettwek, 2008)6,5
Disco Synthesizers & Daily Tranquilizers (Nettwerk, 2010)5
We Can Never Go Home (Sound In Silence, 2018)7
Pietra miliare
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