Visconti

Il ragazzo di ferro

intervista di Claudio Lancia

Sono trascorsi due anni e mezzo dalla pubblicazione di “DPCM”, l’album che ha segnato l’esordio discografico di Visconti, nato dopo il drammatico periodo della pandemia e ispirato dai tragici eventi di quei mesi. In occasione dell’uscita del secondo capitolo, "Boy di Ferro”, abbiamo incontrato il musicista lombardo, giusto un paio di giorni prima della prima data del tour promozionale, programmata a Roma nell’ambito della rassegna ALTRNTV, prevista nel cartellone di MarteLive.

Ciao Valerio, piacere di conoscerti. Tanto per iniziare, raccontaci cosa è successo da “DPCM" ad oggi…
Buongiorno, beh, direi che sono cambiate molte cose. Mi sono stabilito ufficialmente a Milano per concludere gli studi e iniziare a lavorare, mi fa strano perché in qualche modo mi sembra di aver ripreso a vivere una vita che non credevo più potesse trascorrere così velocemente dopo lo stop pandemico.
Ho suonato molto e approfondito “il lato pratico” di “DPCM”, incluse tante belle esperienze live che vorrei fossero molto più all’ordine del giorno. Alcuni mi dicono che prima della pandemia era diverso, che c’erano più posti e i tour erano più lunghi. Mi piace credere che sia così.

Nel 2022, dopo il disastro del Covid, il comparto della musica live è riuscito a ripartire, pur fra mille difficoltà, ma sempre più spesso leggiamo di artisti, anche di un certo rilievo, costretti a cancellare tour per via dei costi insostenibili. Com’è la situazione attuale per i giovani emergenti del circuito indipendente?
Quando ho iniziato a girare in tour per promuovere “DPCM”, ho dovuto affrontare un sistema le cui regole di sopravvivenza erano tramandate oralmente, e ho capito che dopo una data solo i più risoluti riescono ad andare in positivo, grazie anche a una buona qualità del loro merchandising, che riesci magari a vendere al banchetto. Ho capito in fretta che è tutto un grande compromesso e, dopo qualche cantonata, adesso inizio a venirne a capo, cercando di seguire i consigli di quelli che fanno i musicisti da più tempo di me. Credo di aver compreso la scorsa estate, insieme alla mia band, che gestire bene i soldi durante un tour è importante quasi quanto suonare bene, e in un momento in cui le unghie piantate a fondo nella realtà sono il vero motore per il funzionamento della scena musicale, non mi è rimasto che osservare e imparare il più possibile. È difficile, questo è quello che mi sento di dire, ma la fotta è l’unico vero rimedio, insieme all’educazione a fruire della cultura, che per ora non è ancora responsabilità dei musicisti.

Pensi che le rassegne e i Festival musicali, sempre più diffusi e frequentati, possano davvero costituire un’opportunità per i musicisti emergenti della tua generazione? Che poi immagino sia tutt’altro che semplice riuscire a essere presi in considerazione, vista l’enorme quantità di artisti a caccia di date e i pochi luoghi disponibili per suonare…
Io credo che dipenda dal tipo di progetto. Nel mio caso, ho sempre deciso di puntare molto sul live come vera esperienza catalizzatrice di Visconti e so che suonare molto in giro è il modo migliore per affermarsi e tenere viva la fiamma del progetto. In altri casi la natura delle cose può predisporre maggiormente agli streaming sin dall’inizio. Ovunque andiamo noi conosciamo persone nuove e credo non esista modo più bello di vivere la musica, anche se è un dato di fatto che per una band del Nord Italia è veramente difficile andare a suonare al Sud: questo sembra essere il nostro vero limite per ora. L’opportunità più bella per me è poter vivere attivamente la mia musica, suonandola, e i pochi spazi rimasti e una stagionalità che impone inverni freddi senza più club è la cosa che mi spaventa di più in un futuro.

In questi giorni sei nel cartellone di ALTRNTV, la rassegna musicale inserita all’interno di MarteLive, a Roma, prima tappa del tuo nuovo tour. Come ti stai preparando?
Siamo molto carichi, è la prima vera data dopo il secret party che abbiamo fatto a Milano per l’uscita di “Boy di Ferro”. E' il 30 ottobre, perciò puntiamo a festeggiare Halloween travestiti sul palco. Per il resto abbiamo una scaletta nuova che prevede dei pezzi del disco che non abbiamo mai suonato e una voglia irrefrenabile di galvanizzarci con l’alto volume del Monk. Il resto del tour non credo che muterà molto in termini di atmosfera festaiola e voglia di riscatto. Abbiamo una new entry in band che è Fight Pausa, con cui ho collaborato per il disco. Per me è un onore.

Quando ascoltai il tuo esordio restai sorpreso dai tantissimi riferimenti presenti all’interno delle canzoni. Mi colpirono quelle chitarre così Strokes in “La morte a Venezia”, mi arrivò un non so che di Federico Fiumani fra le pieghe di “Narcisi sbagliati”, mi inebriarono le atmosfere retrò che caratterizzavano “Le idi di marzo” (che mi facevano pensare ai Baustelle, anche se c’entrano poco col tuo stile). Alcune di queste rifrazioni sono degli omaggi, oppure ti sono uscite in maniera inconsapevole (magari qualcuno di questi artisti non lo hai mai neanche ascoltato)?
Le reference musicali per me sono quasi sempre esclusivamente internazionali, anche se in quel caso in effetti avevo qualcosa di “baustelliano” che mi girava in testa e non mi sono precluso l’esplorazione e l’ispirazione molto naufragante tra i cimeli dell’indie storico italiano e del post-punk. Credo che in quel caso gli “omaggi” italiani siano stati fuoriuscite inconsce di cose lontane, sentite molto tempo prima, mentre per gli Strokes e tutti i progetti in cui riecheggia quel tipo di sinfonicità lo-fi ho un debole e subisco una perpetua e interminabile fascinazione.

Ma la traccia per me davvero pazzesca era proprio “DPCM”, perché mi schiudeva un portone gigante su alcune delle mie band preferite degli anni Ottanta e Novanta. Quando urli “Un concetto di socialità”, oppure alzi i toni nelle frasi conclusive, sembri uno strano ibrido fra Giovanni Lindo Ferretti e Manuel Agnelli. Una canzone che poteva stare benissimo in “Germi” degli Afterhours, secondo me. Detto questo, quali sono stati i tuoi ascolti formativi?
A parte un’infanzia catechistica a base di Led Zeppelin e Jimi Hendrix, ho impugnato seriamente il mio libero arbitrio grazie a YouTube verso i 12 anni e le estati alle medie le ho passate a guardare i live dei Queens of the Stone Age.
Dal liceo in poi, non mi sono più scollato dal post-punk e dall’hardcore, includendo tutte le derive più sperimentali ed elettroniche. Tra le influenze italiane ho avuto molti gruppi storici come Afterhours, CCCP e Teatro degli Orrori.

Invece oggi cosa ascolti prevalentemente?
Ultimamente sto ascoltando per la prima volta molta musica elettronica, specialmente Idm e jungle. Al contempo ho un occhio molto attento per questa nuova rinascita di shoegaze e punk elettronico che sta avvenendo negli Usa.

Nel nuovo album “Boy di ferro”, noto un cambio di rotta: non più un ventaglio di influenze molto eterogeneo, ma maggiore uniformità, maggiore focalizzazione. L’intenzione è stata quella di restringere il tuo campo d’azione per caratterizzarti in maniera più netta?
Decisamente, è un disco in cui ho delle consapevolezze diverse tra cui quella di volermi autodeterminare.

Ora spero di non essere insultato, ma “Boy di ferro” lo trovo un disco post-punk molto potente, ma un post-punk come avrebbe potuto concepirlo Achille Lauro (dal mio punto di vista vuole essere un complimento, ci tengo a precisarlo). Lo sento tantissimo, ad esempio, in un ritornello dalle evidenti aperture pop come quello di “Wandervogel”...
Ahaha, no, non lo prendo come un insulto! Sono affascinato dalla musica pop come da quella ostica e sperimentale e mettere insieme queste cose per me è stato il grande incipit di questo album. Sono felice che il risultato sia questo!

C’è comunque anche molto altro, come certe influenze bossanova nell’incipit di “Ascendente”, oppure i breakbeat ballabili di “CTIPP”…
Sì, mi hanno dato la possibilità di sperimentare anche con liriche e metriche molto differenziate.

Dicevamo il post-punk. Ti ritieni influenzato dalla scena più recente, quella guidata da band come Idles e i primi Fontaines Dc, oppure i tuoi riferimenti restano i gruppi che determinarono le caratteristiche del genere fra gli anni Settanta e Ottanta?
Credo di avere un forte germe proveniente dalle sonorità più grezze del genere, che siano antiche o contemporanee ma sempre defilate e underground. Ho guardato a Idles e Fontaines Dc con grande interesse fin dai loro esordi, per poi stufarmi un po’. La torcia dell’ispirazione illumina la mia ricerca in territori sonori più rotti e caustici, tanto alla fine la lingua italiana ammorbidisce tutto.

Nei tuoi testi rintraccio riferimenti alla Maya Vestita/ Maya Desnuda, a Picasso, sei un appassionato di arte spagnola?
No, in realtà no, per l’arte figurativa sono esattamente un poser, ahah. Mi piacciono i simboli e come rivestono i momenti salienti della mia vita.
Maya mi ricorda la mia ragazza, mentre in quell’altro caso avevo appreso in un corso all’Università che Picasso aveva condotto sull’orlo della pazzia molte sue partner e l’immagine era vivida nella mia testa ed esplicativa di cose che sentivo all’epoca.

So che non ti dispiace parlare di politica. Vuoi regalarci un paio di flash sull’attuale situazione italiana?
Non saprei cosa dire. È un momento oscuro, di forte crisi sociale e repressione di idee. Io lavoro con la musica e, anche se non è politicizzata, è anche l’arma che ho disposizione per contrastare il corso delle cose per come stanno adesso, arriverà presto il momento in cui non sarà più abbastanza.

Ti va di fare il nome di qualcuno dei tuoi colleghi musicisti italiani che stimi maggiormente, magari spiegandocene i motivi?
Stimo fortemente i Post Nebbia, con cui c’è una forte affinità elettiva e una comune voglia di seminare il terrore, oltre che l’intero vessillo “sotterraneo” comune per entrambi. Stessa cosa vale per Jesse The Faccio, che è stato come un papà nel momento in cui ho iniziato a diventare Visconti. Al di fuori di Dischi Sotterranei, sono molto legato a Generic Animal e al suo ultimo album che per me è uno dei migliori dischi di quest’anno: abbiamo stretto una bella amicizia e condividiamo molte visioni sulla musica, oltre al fatto che lo accompagnerò come chitarrista in tour nel 2025. E Montag, assieme ai Giallorenzo, che mi hanno adottato appena sono arrivato a Milano.

Invece un paio di artisti internazionali con i quali ti piacerebbe collaborare…
Bel domandone! Faccio una lista senza motivazioni: The Garden, Porches, Sword II e Powerplant.

Domanda finale di rito: quali sono i progetti futuri di Visconti. Ora c’è un tour alle porte per promuovere il nuovo album. Poi cosa succederà? Progetti nel cassetto?
Beh, non saprei. Sono vuoto e stracolmo allo stesso tempo, ora che è stato pubblicato “Boy di ferro”. Anche se tra non molto uscirà qualcosa di un nuovo progetto a cui lavoro da tempo assieme a Giulio Patarnello (Post Nebbia, Pants are yellow), ma non posso anticipare altro. Per il resto ho già parecchi pezzi nuovi su cui inizierò a mettere le mani, ma non prima di qualche mese.

(Novembre 2024)

Discografia

DPCM (Dischi Sotterranei, 2022)7
Boy di ferro (Dischi Sotterranei, 2024)7
Pietra miliare
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