La prima settimana
È volata via veloce, la prima settimana di Biennale Musica. La rassegna, curata da Lucia Ronchetti, ha presentato per questa edizione un programma sontuoso, a cavallo tra avanguardia e sperimentazione, musica dal futuro, grandi vecchi. L’edizione si è aperta lo scorso 16 ottobre come meglio non si poteva, con uno dei pionieri della musica elettronica: Morton Subotnick. La prima assoluta del suo live – al Teatro Le Tese, epicentro di questa Biennale diffusa – intitolato “As I Live And Breathe” vibra tra le mura in mattoni, e con gli sfondi visuali del solito Lillevan, uno degli artisti visivi più in voga tra i musicisti per i loro a/v (si pensi, ad esempio, a Fennesz, cui spesso si accompagna). Tra spoken word accennato, respiri che diventano ora lievi ora pesanti, amplificati dall’elettronica che riempie e svuota continuamente lo spazio, il live di Subotnick è un inno a una elettronica forse un po’ ingessata e stantia, nella quale però si respira il peso del tempo.
Sempre a proposito di grandi classici, la sera successiva, nello splendido Teatro Malibran, va in scena uno dei live più attesi: “Cbm 8032 Av”, di Robert Henke. Una delle figure chiave dell’elettronica degli ultimi 30 anni – che sia techno, sperimentazione, droni, ambient, poco importa – mette in scena una sorta di orchestra per cinque computer, al centro della quale Henke – conosciuto anche come Monolake – rappresenta un vero e proprio direttore d’orchestra. La configurazione di questo spettacolo è presto detta: Henke, a questi computer che non emettevano suoni, ha “donato” una scheda audio, permettendo loro di elaborare dei veri e propri input sonori. Dialogano tra loro, quindi, questi cinque pc, in un fluttuare fatto di glitch, di timbri secchi, quasi in 4/4, a tratti. In un immaginario da retrofuturo, si intersecano questi sfondi in modalità Raster-Noton, con un visual ipnotico, fatto di codici come fossero immersi in "Matrix". Anche qui: saliscendi come se piovesse, in un live che da un lato impatta quasi fisicamente sul pubblico (la tentazione del ballo, pur seduti, si respira), dall’altro lo fa con un tocco elegante e geometrico.
A ribadire una edizione di Biennale Musica in bilico tra passato e presente, arriva – un uggioso venerdì pomeriggio in una splendida austera Cattedrale – il live di Kali Malone, ormai signora degli organi di mezz’Europa, suo marito Stephen O’Malley – emblema della sperimentazione degli ultimi 30 anni con i Sunn O))), per citare solo uno dei suoi progetti – e la violoncellista Lucy Railton. Dopo il monolite edito a gennaio, il trio torna qui con un progetto speciale, "Trinity Form", per organo, chitarra acustica e violoncello. Il risultato sono 45 minuti di purissima stasi, da viversi in religioso silenzio: un mantra incessante e a tratti quasi silenzioso che si dipana per le navate di San Pietro in Castello. Pare di vedersi davanti questo mare catramoso liscio come fosse olio, con questi sibili severi che si espandono in ogni angolo dello spazio, fino a esaurirsi in un silenzio totalizzante.
La notte del venerdì è poi curata da Sonic Acts, organizzazione di Amsterdam dedita alla ricerca artistica, alle sperimentazioni sonore e visive, con una parata di elettronica sghemba, immaginifica, visionaria. Oltre ogni cosa, i live di S280F ed Emme sono vere e proprie performance psico-sonore, dove il suono ha un ruolo che non è centrale, ma di contorno rispetto alle contorsioni degli artisti: vocalizzi, grida ultraterrene, corse a perdifiato in tutto il Teatro alle Tese. Il tutto estremamente scenografico, grazie anche al progetto luci e design di Theresa Baumgartner. In tutto questo pandemonio sonoro, la chicca della serata – Emme, coi visual creati da Mfo – picchia a tratti a 160bpm, rallentando all’occorrenza col suo spoken word luciferino e una buona dose di hardcore zuccherata. Ci si aspettava forse più, ma si può andare a dormire soddisfatti: il giorno dopo ci sarebbe stato Brian Eno. Questa però è un’altra storia.
La seconda settimana
Come per "Before And After Science", anche la Biennale Musica ha vissuto il suo prima e dopo Brian Eno. Arrivato esattamente a metà della rassegna veneziana, il live di Eno ha incantato - come vi abbiamo raccontato - E ha tirato una riga su quello che è accaduto prima - di valore assoluto il concerto di Kali Malone, per citare il vero highlight della prima settimana - e quello che accadrà.
La settimana inizia subito con quello che è considerabile ormai un decano della sperimentazione europea, Marcus Schmickler che porta on stage un concerto straniante: "Glockenbuch IV": echi di campane e campanili lontanissimi, modulati da field recordings ed elettronica lunare, creano questo silenzio eterno che fluttua. Col suggestivo aiuto del light design di Mfo (al lavoro, tra gli altri, con Roly Porter e Caterina Barbieri), l'opera di Schmickler pare non finire mai, non conoscere perimetri e si spegne nello stesso nulla dal quale era emersa.
E se degli Autechre al buio diremo in seguito e se in Schmickler era il silenzio a dominare, nel live di Loraine James a emergere è l'esatto opposto. L'ex-astro nascente dell'elettronica europea, che ha da poco pubblicato il suo "Gentle Confrontation", mette in fila un live muscolare, spezzato, fatto di Idm, di grime, di Uk bass, molto diverso da certe morbidezza cui ci aveva abituati. Il Teatro alle Tese vibra in un tutt'uno con le spigolature drill che fanno breccia, per un'ora di vivida tensione dei corpi. La Londra di Brixton, quella più fumosa e nera, emerge qui dirompente, aggredendo letteralmente lo spazio. Quella di Loraine James è stata sicuramente la performance più sorprendente dell'intera Biennale Musica, per piglio, per rabbia e per quel senso di svuotamento e libertà che, a luci spente, si rilascia in tutto il teatro. A lei segue il compito da maestro recitato da chi quei suoni li ha istituzionalizzati: Kode9, fondatore di Hyperdub. In un dj-set forse un po' confuso ma tremendamente on point, Kode9 mette in fila tutto l'abc di quel suono.
Al sabato, c'è Radio3 che infila una tripletta di nomi da stropicciarsi gli occhi. Parte JJJJJJJerome Ellis, in attesa di pubblicare il suo secondo album "Compline In Nine Movements". Tra elettronica lugubre, spoken word, nu jazz, minimalismo e ambient austero, Ellis parla di discriminazione, di comunità nere, di divinità lontane, di natura, in live coinvolgente ma forse troppo ingessato.
A seguire, il personale highlight della serata, Lamin Fofana, che presentava in anteprima assoluta "Shatfs Of Sunlight". L'ambient mutante di Fofana, forse più sound-art e sound design che musica da cuffia, si muove in una continua risacca, modulando queste onde di suono (e di luci) che vibrano. Nonostante la durata forse eccessiva (un'ora), Fofana erige una cattedrale di nebbia, con talvolta qualche accenno dub che si perde in questo grigiore, per una delle performance più "da Biennale" che ci siano state. Il risultato è sinceramente soprendente.
Infine, Jace Clayton aka DJ/rupture che coglie nuovi chiavi sonore e di significato rielaborando l'opera del compositore gay e afroamericano Julius Eastman, tra minimalismo, jazz che sfiora lo spoken word e forti venature politiche, in questo fitto dialogo tra elettronica e due pianoforti con David Friend e Emily Manzo.
Prima John Zorn e il "The Hermetic Organ", nomen omen, verrebbe da dire, e poi la conclusione cinematografica con l'inedito duo Becker e Rober Aiki Aubrei Lowe aka Lichens per due settimane che sono volate. Ci s'allontana col treno, dal ponte della Libertà, con Venezia che scompare. Alla prossima, Biennale Musica!