22/07/2023

Blur

Lucca Summer Festival, Lucca


Sono le 21,30 in punto quando gli ottoni kitsch di "The Debt Collector" risuonano, inconfondibili, sul palco. Eccoli, pochi momenti dopo, Alex James, Graham Coxon, Dave Rowntree e Damon Albarn: salgono sul palco a capo chino, imbracciano gli strumenti, sorridono. Il pubblico li accoglie con gioia delirante tra urla e applausi. Albarn alza le braccia al cielo, compiaciuto, per poi cimentarsi, con voce ancora fredda, nella disordinata "St. Charles Square", secondo singolo tratto dal recente lavoro "The Ballad Of Darren", che dal vivo suona meno compressa rispetto alla versione studio. E l'influenza del Bowie di "Scary Monsters (And Super Creeps)" è più forte che mai.
 
A riportarci, subito dopo, nel passato sono le chitarre baggy di "There's No Other Way", con ogni probabilità il primo instant classic inciso dai Blur e secondo singolo estratto da quel "Leisure" che, nel 1991, ha segnato l'inizio di una delle carriere più folgoranti della scena alternativa britannica e non solo. Quando "Leisure" venne pubblicato avevo poco più di un mese. Non ho pertanto vissuto gli anni della cosiddetta "battle of britpop" tra Blur e Oasis, né il successo commerciale del rock alternativo; tutto mi ha travolto molti anni più tardi con impeto sorprendente e inaspettato. Il pubblico intorno a me sembra invece appartenere alla generazione che tutto questo l'ha vissuto sul campo, ma non c'è posto per la nostalgia viziosa, per il titillamento di ciò che è stato, fine a se stesso. È solo una grande, bellissima festa, in cui trovano posto la furia di "Popscene", i rimandi alla Xtc di "Tracy Jacks", i chiarori freddi della meravigliosa "Beetlebum", intonata a una sola voce da Albarn e dal pubblico a soli venti minuti dall'inizio del concerto, nonché i suoni anestetizzanti e i deliri onomatopeici di "Trimm Trabb", che costituisce - ahimè - l'unica concessione al versante più sperimentale di "13".

Ci sono poi i loser anthem, come la sorprendente "Villa Rosie", tratta da "Modern Life Is Rubbish" (il disco più presente in scaletta, insieme a "Parklife") e l'immancabile "Coffee & Tv", cantata con tenera ritrosia da Coxon.
La magia sembra spegnersi per un attimo a causa di problemi tecnici. Laddove in molti avrebbero dato di matto, i Blur sorridono, complici, tra di loro e trovano il modo per intrattenere il pubblico mortificato, tra le solite goliardate condite di humor british dell'istrionico Albarn ("credo che l'audio se ne sia andato perché stavamo spingendo troppo") e una "Intermission" improvvisata senza drammi.  

Purtroppo, a questo punto, è necessario fare un passo indietro e aprire una parentesi sull'organizzazione dell’evento. Se è vero che lo scintillio negli occhi dei presenti la dice lunga sulla gratitudine dei fan italiani nel poter finalmente vedere i Blur nel Belpaese dopo 10 anni di attesa, ciò non basta a giustificare una lunga serie di problematiche che hanno accompagnato quest'evento. I posti in piedi sono stati suddivisi in area Pit (80 euro a biglietto) e parterre (60 euro a biglietto). Se chi, come me, ha potuto dall'area Pit godere grosso modo di quanto accadeva sul palco - in un'ottica settaria invero poco affine a un evento comunitario come un concerto - cercando di sorvolare sull'audio gracchiante e sulle diecimila persone ammassate in un contesto che ne prevederebbe poche centinaia, non si può dire lo stesso per coloro che si si trovavano nel parterre, probabilmente più vicini a Pistoia che ai Blur. Ciliegina sulla torta: palco e schermi troppo bassi e una torre audio centrale a coprire la visuale. Chi ha invece optato per le tribune ha dovuto lottare per un posto a sedere; a causa dell'overbooking di uno dei due settori, infatti, molti sono rimasti in piedi, tra cui persone con disabilità. È doveroso far presente a gran voce tali problematiche, inammissibili per un evento di tale portata.

Tornando, invece, al concerto, a far sobbalzare i pochi eletti che ne hanno potuto godere appieno, sono i grandi classici quali "End Of A Century", "Parklife" (senza Phil Daniels, purtroppo), "Country House" e, soprattutto, "Song 2", su cui si accende un timido pogo. Su "Oily Water" la voce di Albarn, filtrata attraverso un megafono, suona pasticciata, ma il quartetto si fa perdonare grazie a un Coxon in gran forma, che nella coda strumentale attinge allo shoegaze più rumoroso. "The Narcissist" e "This Is A Low" dipingono uno splendido momento di intimità col pubblico prima di una breve pausa, durante la quale vengono richiamati sul palco dal pubblico festante che intona "Oh my baby, oh my baby, oh why oh my" a ripetizione.

"This song is from the new album", sibila Albarn prima di intonare "Barbaric" al pianoforte, unico brano a non smuovere particolarmente gli animi degli astanti, che avrebbero, con ogni probabilità, preferito emozionarsi con la contemplativa "Out Of Time". Ma è solo un momento di pigrizia: sorridente come un bambino la notte di Natale, Albarn indossa l’iconica giacca della tuta Fila e si tuffa tra il pubblico delle prime file intonando "Girls & Boys", facendosi abbracciare, baciare e addobbare con sciarpe colorate e un paio di occhiali da sole di dubbio gusto. Peccato per l'iconica linea di basso, gommosa e imprevedibile, di Alex James, che suona poco nitida per i già citati problemi tecnici. 

L'arduo compito di chiudere la serata, quando i cuori sono ormai traboccanti di gioia, spetta al trittico composto da "For Tomorrow", brano che forse, più di tutti, incarna ciò che è stato - e che è - il britpop, l'attesissima "Tender", con tanto di bacio sulla guancia schioccato da Albarn a Coxon, e la calda melodia distopica di "The Universal", che dal 1995 in poi ha acceso speranze e malinconie nei cuori di almeno due generazioni di fan. E che, a distanza di 28 anni, non è invecchiata di una virgola, anche se siamo invecchiati noi.