Nel corso della loro multiforme carriera i Dead Can Dance, ovvero Brendan Perry e Lisa Gerrard, hanno trasceso i confini dei generi musicali da loro esplorati per coniare uno stile espressivo e dalle influenze variopinte. Già protagonisti della nutrita scena darkwave, di cui hanno rappresentato la frangia più eterea ed esotica, hanno progressivamente fatto confluire nella loro formula le svariate influenze della world music, dalla liturgia medievale al folklore tribale.
Il perno di questa evoluzione va ricercato nel loro album "The Serpent's Egg", uscito il 23 ottobre 1988, ben trentacinque anni fa. Un disco semplice ma profondo, uno spartiacque che con fluidità traghetta le sonorità sviluppate nei dischi precedenti verso una nuova dimensione spirituale, intrisa di influenze etniche.
Il disco è, come di consueto per il duo anglo-australiano, infarcito di simbolismi, anche oltre le apparenti intenzioni. L'immagine di copertina mostra la foto di un fiume nella foresta pluviale visto dall'alto. Così ne parla Perry: "In molte fotografie aeree della Terra, se la vedi dall'alto, come un organismo gigantesco, un macrocosmo, puoi vedere che la forza vitale della natura, l'acqua, scorre in un modo serpentino". Questa foto si sposa a un titolo che si presta a più riferimenti. Innanzitutto, è una citazione dal "Giulio Cesare" di William Shakespeare, che nell'atto secondo mette in bocca a Bruto un movente per l'assassinio che sta preparando ("E poiché/ l'accusa non trova appigli in quel che egli è ora/ mettiamola così; che quel che è ora, crescendo/ arriverebbe a questi e questi altri estremi/ e perciò pensiamolo come uovo di serpente/ che, covato, diverrebbe malefico, come da sua natura/ e uccidiamolo nel guscio").
Questa citazione venne poi ripresa da Ingmar Bergman nel film omonimo del 1977, che colpì Perry per la sua rappresentazione della follia: nella storia, un folle medico drogava e filmava di nascosto le vittime dei suoi esperimenti per mettere alla prova i loro limiti e sondare di cosa fosse capace l'uomo. "Era davvero un film strano e il titolo mi è rimasto sempre impresso - ha raccontato Perry - Nell'immagine di un fiume che si apre in un estuario si possono vedere i banchi di sabbia sott'acqua, quello è l'uovo per me. Ma a volte le cose sono davvero subliminali, dato che non c'è una vera ragione per cui l'ho scelto. Mi piacevano il titolo e l'immagine. Ma adoro il modo in cui si può passare dai dettagli microscopici di una giungla a quelli macroscopici, guardando dall'alto verso il basso, osservando i fiumi come le arterie di un corpo, mentre portano portano energia e forza vitale... è come se la tua mente si espandesse per raggiungere l'immensità dell'universo. Si riferisce anche a noi che ci affacciamo al mondo e alla musica tradizionale, assorbendo diverse influenze dal Sudamerica e dall'Africa".
L'immagine citata da Perry è quella scelta per la copertina, per l'appunto. Il gruppo con "The Serpent's Egg" cerca quindi di rievocare queste sensazioni tramite una musica particolareggiata, in parte ambient come approccio, che prende in prestito influenze da varie tradizioni musicali per darne un'inerpretazione moderna, in cui a far da padrone è l'immaginario idealizzato della natura incontaminata e primitiva, unito alla sacralità e alla soggezione per l'ultraterreno. Questa rappresentazione, poi sviluppata in modo ancora più approfondito nei successivi dischi, avrebbe procurato al duo alcune critiche di "esoticismo". Si legga in tal senso il saggio "Medievalism and Exoticism in the Music of Dead Can Dance" dell'etnomusicologa Kirsten Yri pubblicato nella rivista accademica Current Musicology nel 2008, in cui viene approfondito il concetto di "altro" nella cultura occidentale, e di come sia stato utilizzato negli anni per semplificare, spezzettare e appropriarsi di elementi delle culture differenti.
Nel frattempo, comunque, "The Serpent's Egg" rimane un gioiello di passionalità e un delizioso esercizio di stile, realizzato tramite arrangiamenti minimali che però colgono appieno melodie emozionanti e solenni, così come più delicate.
Per comprendere meglio come si fosse giunti a questo lavoro, ripercorriamo brevemente la traiettoria seguita dal duo anglo-australiano.
Nel loro omonimo disco esordio del 1984, e nel successivo Ep "Garden Of The Arcane Delight", i Dead Can Dance rientrano ancora nel novero delle formazioni gothic-rock anglosassoni, ma con un gusto maggiormente ricercato e atmosferico, financo aperto a sperimentazioni sonore che evocano il senso dell'esotico, delle terre lontane e del selvaggio (si pensi a brani come "Frontier" o "Flowers Of The Sea").
Assieme a gruppi affini, che partono da radici simili e le sviluppano in modo parallelo, come gli scozzesi Cocteau Twins, vengono inseriti dalla critica all'interno del filone della cosiddetta "ethereal wave", l'ondata di gruppi dai suoni eterei, spesso sotto l'egida dell'etichetta 4AD, che l'avrebbe cristallizzata nel progetto This Mortal Coil con il contributo di numerosi artisti della scuderia (compresi gli stessi Perry e Gerrard). Ma se i Cocteau Twins svilupperanno poi questo approccio in modo più terreno e sognante, portando alla nascita del cosiddetto dream-pop, i Dead Can Dance si orienteranno verso una musica più mistica e ancestrale. I risultati si intravedono già nella pietra miliare "Spleen And Ideal" del 1985, stupefacente album di transizione che presenta ancora gli elementi tipici del gothic-rock e la strumentazione convenzionale del genere con chitarra, basso e batteria, ma lasciando affiorare anche le orchestrazioni strumentali con ottoni, archi, amplissimo uso di tastiere e altri strumenti non convenzionali, oltre che arrangiamenti ancora più ricercati e orientati verso la stratificazione atmosferica.
Nel successivo imponente "Within The Realm Of A Dying Sun" del 1987 il duo si concentra interamente sulle tastiere e sulle orchestrazioni, consolidando il proprio stile in un gioiello di atmosfera, in perenne equilibrio tra il dramma e il senso di immensità. La critica musicale conierà il termine neoclassical darkwave per descrivere questa enorme evoluzione compiuta dal gruppo in soli due dischi.
Arriviamo dunque a "The Serpent's Egg" nel 1988, con la musica dei Dead Can Dance che si poggia su quanto realizzato in precedenza per prendere l'abbrivio verso qualcosa di nuovo e inedito. I confronti vanno fatti soprattutto con il disco precedente, per identificare affinità e divergenze, trattandosi di due lavori al tempo stesso congruenti e complementari per forma e contenuti.
A differenza di "Within The Realm Of A Dying Sun", che suonava tetro e gelido, ma con sporadiche esplosioni sonore in grado di lasciare attoniti, "The Serpent's Egg" suona molto più caldo e intimista, pur senza rinunciare all'intensità emozionale. I titoli appaiono in contrasto: da un lato l'idea di un Sole morente che comunica la fine di un'era, mentre dall'altro l'idea di un uovo, simbolo dell'inizio di una nuova vita, di un ciclo. Se nella copertina dalle tinte oscure del primo lavoro campeggiava una statua della tomba di famiglia dello scienziato François-Vincent Raspail presso il cimitero di Père-Lachaise, a Parigi, in quella a tinte luminose del secondo si cerca di catturare lo scorrere della vita in una foresta pluviale, uno dei polmoni della Terra. Da un lato, quindi, il lutto e la morte; dall'altro, la vita, la (ri)nascita, il fluire dell'energia attraverso tutti gli esseri viventi e gli ambienti del pianeta. Per i Dead Can Dance l'accompagnamento visivo e l'estetica grafica sono componenti essenziali di quel che intendono trasmettere con la loro musica, tutto fa parte di un pacchetto complessivo. In entrambi, i casi si affronta il tema della spiritualità, che però con "The Serpent's Egg" diventa un tutt'uno con quanto vi è di materiale e organico.
L'ultimo brano del disco del 1987 era "Persephone (The Gathering Of Flowers)", un lento crescendo di tensione psicologica in cui la voce di Gerrard risuonava mistica ed eterna, mentre gli archi e le tastiere raggiungevano un climax drammatico prima di aprire a una lunga coda spettrale, quasi funerea, come nel mito greco di Persefone, in cui l'inverno sopraggiunge quando lei viene rapita da Ade e portata nel suo regno dell'oltretomba.
Il disco del 1988, invece, viene aperto da "The Host Of Seraphim", un bagliore di pura luce angelica nel cielo dell'Empireo del Paradiso dantesco. Una sola nota di organo scandisce l'aria, prima di introdurre la voce imponente di Gerrard. Questo tipo di introduzione, con note basse e continue, è ispirato dalla musica barocca, come dichiarato dallo stesso Perry. Non ci sono parole, nel canto da contralto di Gerrard, solo un'intonazione di sillabe senza un significato - la glossolalia, di cui lei fa sempre ampio uso nei suoi dischi. Nel suo stile espressivo non è tanto importante comunicare un messaggio preciso, quanto suggestioni, umori, per evocare scenari e tempi distanti, reali o ultraterreni, primitivi o celestiali.
In questo caso si avverte l'influenza del canto balcanico nelle note vibranti e dissonanti della sua ugola, in particolare quello presentato dal Coro Femminile della Televisione di Stato della Bulgaria nel 1975 con l'album "Le mystère des voix bulgares" (ristampato nel 1986 proprio dalla 4AD, la casa discografica dei Dead Can Dance) e poi dal Trio Bulgarka.
La loro tecnica canora, fatta di dissonanze, diafonie e contrappunti, al crocevia tra religiosità, folklore, modernità, tradizionalismo e medievalismo, rappresenta una fonte d'ispirazione importantissima per Gerrard, come ha spiegato lei stessa in un'intervista al New York Times: "Se c'è qualcuno che è stato profondamente cambiato dai loro modi, quella sono io. [...] Quando le conobbi mi ero appena trasferita a Londra con Brendan Perry e avevamo firmato con la loro stessa etichetta, la 4AD. Mi cambiarono la vita in un momento in cui la musica era tutta orientata al post-punk dei Joy Division e cose simili. Non mi sono mai veramente sentita in sintonia con quel lato oscuro e depresso del lavoro col quale Brendan, invece, si trovava perfettamente a suo agio. Ero pronta a rinunciare, ma le bulgare furono la mia salvezza perché amavo la loro gioia e la loro luce pura, che colpivano dritte in pancia".
Si odono poi in lontananza tenui canti gregoriani d'accompagnamento, che conferiscono un sapore liturgico al brano. Gli archi subentrano prima che la voce si stagli in un acuto emozionante e memorabile. Si tratta di un brano monumentale, che comunica il senso del sublime togliendo il fiato. Qualcosa di unico, immenso, irraggiungibile. Il regista Ron Fricke l'avrebbe scelta per la colonna sonora del suo documentario "Baraka".
I suoni sono modellati su di un'altra colonna sonora, scritta dallo stesso duo, quella di "El niño de la Luna", film di Agustí Villaronga che sarebbe stato pubblicato l'anno successivo. La storia è quella del giovane David, un orfano dotato di poteri eccezionali, e della sua fuga, con l'aiuto di Georgina, interpretata da Lisa Gerrard stessa. Uno degli attori, David Navarro Sust, è stato invitato a partecipare alle registrazioni di "Orbis de Ignis", quasi interamente vocale, con giusto qualche campana di accompagnamento. Gerrard sembra guidare una processione religiosa in un monastero, in cui i canti di sottofondo assecondano le sue note. Le voci ricordano il canto gregoriano ma senza seguire un vero testo in latino come nel titolo. Il brano è breve, giusto un minuto, e rappresenta una parentesi in cui la spiritualità medievale e le tonalità moderne dei Balcani si fondono.
Bisogna a questo punto chiarire un equivoco: la musica dei Dead Can Dance non è "tradizionale", pur rifacendosi anche a musica tradizionale, nel senso che i due artisti non stanno qui proponendo temi musicali storici, bensì attingendo a determinate sonorità, riproponendole in composizioni inedite. Il duo vuole creare una musica senza tempo, con riferimenti riconoscibili, assemblati in una foggia del tutto nuova.
"Severance" vede subentrare Perry alla voce con il suo timbro baritonale, affrontando i temi del distacco e del cambiamento attraverso la metafora del volo degli uccelli e la nostalgia delle proprie origini. Un'altra delle differenze con "Within The Realm Of A Dying Sun" è nell'equilibrio delle parti vocali. Nel precedente disco vi era una netta separazione: la prima metà affidata a Perry, diretto e tagliente, la seconda a Gerrard, sacrale e impalpabile. In "The Serpent's Egg", invece, i due si alternano e rimescolano, anche nei timbri e negli umori interpretati, conferendo al disco un'aura di maggiore organicità e rendendo i brani un flusso continuo. "Severance" mostra un Perry apparentemente distaccato, ma in realtà intenso. Il suono riempitivo di tastiera è semplice ma straordinariamente imponente. Persino un gruppo storico come i Bauhaus ne inciderà in seguito una cover, impressionato dalla scarna bellezza e dalla rusticità del brano.
La stupenda "The Writing On My Father's Hand" riporta il microfono in mano a Gerrard, prima delicata e malinconica sui tenui rintocchi di tastiera che emula un clavicembalo, poi sovrapposta ed eterea. I suoni sono un crogiolo minimale tra folk, ambient, darkwave ed elettronica. Il misterioso titolo lascia tutto all'immaginazione dell'ascoltatore, attraverso il solo ricordo nostalgico di una figura di riferimento amata. Gli arrangiamenti, salvo alcune eccezioni, esaltano le singole componenti nella loro unicità, piuttosto che stratificandole come nei precedenti dischi.
Perry ritorna al microfono nella bellissima "In The Kingdom Of The Blind The One-Eyed Are Kings". La tastiera ripete anche qui un motivo malinconico, ma con più vigore, sfociando in un climax imponente nello stile di "Spleen And Ideal", in quello che forse è il picco di drammaticità del disco. Il testo è ancora una volta ermetico: Perry sembra criticare la mancanza di comunicazione tra le persone che si nascondono dietro delle maschere per opportunismo e per accidia. Di questo brano verrà realizzata una cover da parte degli Ulver, meno riuscita.
"Chant Of The Paladin" è una litania in ostinato, guidata da Gerrard, in cui si aggiungono sempre più elementi a evocare, come in precedenza, una processione liturgica, ma attraverso gli strumenti di una fiera nel borgo: si nota soprattutto l'hurdy-gurdy, uno strumento a corda suonato da Perry. I suoni sono imponenti, ma anche ossessivi. Alcune percussioni ricordano vagamente la musica indiana a ulteriore riprova della duttilità del gruppo. Il tutto appare come un misto di dolce e amaro, fuoco e acqua: un pezzo allucinato e allucinante che risuona di un misticismo austero.
"Song Of Sophia" è nuovamente un breve intermezzo di sola voce a cappella che si rifà in parte ai canti balcanici, in parte alla musica malinconica di Ofra Haza, trovando un punto d'incontro con i suoni levantini. La solitudine strumentale di Gerrard, unita alla malinconia della sua voce, sembra voler quasi rappresentare un canto d'amore infranto.
Anche "Echolalia" è breve, ma qui Gerrard che Perry duettano, sovrapponendosi e intrecciandosi, mentre tenui percussioni in lontananza dettano i tempi. I due sembrano come chiamarsi e rispondersi a vicenda, dipanando così il ritornello. Tra i due, all'epoca legati anche affettivamente, traspare un'intesa che trascende la semplice collaborazione musicale. Proprio dopo la pubblicazione di quest'album, tuttavia, si separeranno, mantenendo comunque un sodalizio professionale, nonché l'idea di comporre e suonare assieme come una sorta di catarsi: "Registriamo dischi perché abbiamo molti demoni da esorcizzare - hanno raccontato - traiamo diletto dalla natura terapeutica del fare musica ed è attraverso questo godimento che vogliamo esprimere quella gioia e comunicarla alla gente. È la nostra fonte più grande di terapia e il nostro più grande mezzo di espressione". Il brano mostra anche un abbozzo delle influenze della musica araba e nordafricana nei Dead Can Dance.
Giunti a questo punto, si potrebbe discutere anche di un piccolo neo del disco: la brevità di ben tre brani su dieci, per un album di soli 35 minuti, suggerisce l'idea che si sarebbe potuto espandere il lavoro, ma questa parziale incompiutezza viene compensata dall'originalità compositiva e dall'estro emozionale delle tracce.
La quasi strumentale "Mother Tongue" è il pezzo più ritmato e dinamico dell'album: fortemente influenzata dalla musica tribale sub-sahariana ma filtrata e trasfigurata in ottica post-punk, ricorda alcuni dei pezzi più vecchi del gruppo, come "Frontier" sull'esordio. La voce di Gerrard subentra, come uno spettro terrificante, nella coda finale, in cui le percussioni si rarefanno e in prominenza giunge una tastiera dark-ambient. A questo punto il brano funge da raccordo tra il gusto estetico per l'esotico e quello per le sonorità oltretombali. I Dead Can Dance dipingono degli scenari lontani e misteriosi, cercano di separarsi dalla modernità (pur facendovi ricorso per visualizzare e rappresentare questi luoghi) a favore di un incontro con culture diverse da quella occidentale.
Infine, il commiato di "Ullyses": un'intensa ballata, elegante giostra di archi e tastiere, come una danza rinascimentale diretta da un Perry spettacolare, che alterna vocalizzi nello stile di Gerrard (ma col suo timbro acido) a un canto profondo, dolce e avvolgente.
Da questo momento in poi i Dead Can Dance non saranno più associati (solo) alla darkwave, ma anche alla world music, soprattutto con gli album successivi, che espanderanno in modo più soffuso e schematico molte delle idee introdotte con questo album.
Nel successivo "Aion", pubblicato nel 1990, il gruppo anglo-australiano si concentrerà sulle influenze medievali e rinascimentali europee, reinterpretando in particolare pezzi storici della musica romanza con strumenti d'epoca, seppur dando l'idea di raccogliere spunti e idee senza approfondire ulteriormente. Questa volta tali spunti saranno irruentemente portati in primo piano, anziché essere una delle componenti del tutto. Come nel caso della transizione da "Within The Realm Of A Dying Sun" a "The Serpent's Egg", il passaggio tra quest'ultimo e "Aion" mette in luce tanto le similitudini quanto le differenze d'approccio. L'evoluzione progressiva del loro sound, in ogni caso, porterà i Dead Can Dance a non suonare come in precedenza: ogni gradino sarà prodromo del successivo e conseguente al precedente.
Nel 1991 arriverà la summa stilistica di quanto sperimentato fino a quel momento con "Into The Labyrinth", un amalgama di influenze etniche dall'Africa all'Australia, tessiture ambientali, partiture orchestrali neoclassiche e medievaleggianti, sonorità dark e spunti folk tradizionali, che regalerà al gruppo il successo commerciale, ma che suonerà anche più manieristico e meno innovativo dei dischi degli anni 80. Si tratta dell'album che più di tutti ha contribuito a stabilire i Dead Can Dance come band che reinterpreta e rimescola le tradizioni musicali di molte culture presenti e passate. In confronto, "The Serpent's Egg" suona in superficie molto meno esotico e tribale, ma i semi erano già stati tutti sparsi in precedenza e le radici di questa identità sonora affondano soprattutto nell'opera di sintesi che il gruppo ha attuato nel 1988.
Infine, con "Spiritchaser" nel 1995, il duo si farà ispirare fortemente dalla musica new age, che aveva esso stesso contribuito a influenzare negli anni precedenti, in un lavoro più elettronico e ritmato, ma meno ispirato quanto a composizioni. Sarà l'ultimo atto, prima dello scioglimento. Ma la rottura sarebbe durata solo fino al 2012, con l'uscita di "Anastasis", cui farà seguito poi "Dionysus", in cui il gruppo affinerà ulteriormente il proprio stile, esaltando le influenze balcaniche e bizantine accanto a quelle africane, mediorientali e aborigene australiane.
La musica dei Dead Can Dance avrebbe negli anni influenzato molte formazioni di settore, come In the Nursery, Black Tape For A Blue Girl, Lycia, Unto Ashes, Faith and the Muse, Arcana, Aurora Sutra, Love Spirals Downwards, Autumn's Grey Solace; oltre a questo filone, anche i primi Gathering, Loreena McKennitt, gli Ulver di metà carriera e, con le dovute proporzioni, persino gli elettronici Enigma e Lamb hanno certamente tratto ispirazione dalla musica del duo anglo-australiano. Una musica eterna, come recita una delle loro canzoni. Trascendentale.
18/11/2023