Se gli anni 80 sono stati anche gli anni del metal (dal quello classico al thrash, sino ai primi vagiti del metal estremo) e del post-punk che diventava sempre più oscuro, quindi del gothic, gli anni 90 sono stati quelli in cui i due filoni hanno trovato quel definitivo comune denominatore, lasciando intendere a tutti che un nuovo genere, il gothic-metal, stava emergendo dalle tenebre. È chiaro che un tassello fondamentale di questa ibridazione è rappresentato dai Type O Negative, in particolar modo dal loro stupefacente esordio del 1991 "Slow, Deep And Hard", una pietra miliare in cui a una componente metal predominante vengono accostate atmosfere e un senso di decadenza tipicamente dark, elementi che si accentuarono sempre più nei lavori successivi, quei "Bloody Kisses" e "October Rust" considerabili a pieno titolo gothic-metal.
Un anno prima, nel 1990, i Fields Of The Nephilim pubblicavano "Elizium", un'altra pietra miliare che faceva convivere scenari tipicamente dark con marcati elementi psichedelici, ripresi tra gli altri dai Pink Floyd. È probabile che siano queste le due band che hanno dato il via al diluvio gothic che dalla prima metà degli anni 90 ha inondato la scena metal con band provenienti da ogni angolo del globo. Dai portoghesi Moonspell ai britannici Anathema, Paradise Lost, My Dying Bride, agli olandesi The Gathering e agli svedesi Tiamat, l'ondata gothic-metal era pronta a invadere il mondo.
Di questo contesto affollato e sfaccettato, i Tiamat di Johan Edlund rappresentano da tanti punti di vista una punta di diamante, affluendo alla scena peraltro dopo un principio più prossimo al black metal e, va da sé, al death metal svedese. Il percorso della band verso il gothic giunge al suo culmine nel 1994 con "Wildhoney". Non soltanto il vertice indiscusso della produzione della band, ma anche uno tra i punti di arrivo di un panorama, quello gothic-metal, giunto a quel punto a piena maturazione.
La grandezza dei Tiamat, in particolare, è consistita nell'aver tramutato le esperienze metal in qualcosa di più, mediante la personalità del cantante Johan Edlund, un uomo capace di infondere nei testi una visione personale di vita, morte e religione, nonché di fare della sua forza e della sua fragilità il viatico di una pregnante proiezione artistica. A corredo di un mondo lirico oscuro e del canto disperato di Edlund, in "Wildhoney" troviamo certamente i riff metal tipici della scena svedese, così come un apparato di tastiere propriamente gotico, ma a renderlo davvero speciale e difficilmente eguagliabile vi è una varietà di soluzioni, che spaziano dalla psichedelia floydiana al prog, dalla musica da camera all'ambient, adoperate sempre in maniera funzionale alle urgenze espressive di Edlund.
Se quindi "Wolfheart" e "Irreligiuous" dei Moonspell rappresentano la sintesi perfetta tra heavy metal e gothic-rock, "Wilhoney" dei Tiamat invece già declina il neonato genere in una sua variante più sperimentale.
In realtà, più che un punto di arrivo, per i Tiamat "Wildhoney" è una ripartenza. Dopo il superbo "Clouds" (Century Media, 1992), che pur già tempestato di orpelli gothic chiudeva di fatto una trilogia all'insegna del death e del doom metal, Johan Edlund sentì che quel percorso era arrivato al capolinea e che con quella band non avrebbe potuto muoversi verso le direzioni che la sua espressività gli imponeva di esplorare. La rifondazione della band vide così rimanere al fianco di Edlund soltanto il bassista Johnny Hagel. A entrare furono Magnus Sahlgren alla chitarra, Lars Sköld alla batteria e Waldemar Sorychta alle tastiere. È forse l'apporto di quest'ultimo, uno sperimentatore impagabile con il pallino per l'ambient atmosferica, quello che avrebbe maggiormente influenzato il nuovo corso dei Tiamat – basti ascoltare i due minuti di "25th Floor", o quel bozzetto ambient sotto la pioggia intitolato "Kaleidoscope", per rendersi conto dell'apparato elettronico imbarcato dalla band con il suo arrivo.
Contento degli esiti di "Wildhoney", alla cui composizione hanno partecipato tutti i membri della band, a partire dal successivo "A Deeper Kind Of Slumber", per molti un lavoro di egual portata, Johan Edlund avrebbe considerato sé stesso come l'unico membro stabile dei Tiamat, facendo di fatto ruotare sempre di più gli altri membri e sobbarcandosi quasi interamente il ruolo di autore e compositore.
Schiacciare play su "Wildhoney" è come aprire la porta su un mondo nascosto pronto a incantare e tramortire i suoi avventori, una sorta di armadio di Narnia oscuro e nefasto. Tra intensi friniti e cinguettii e poi lugubri rintocchi di tastiere dal sapore antico, l'introduzione omonima sembra tirarci dentro un sottobosco fosco quanto magico. È in questo scenario che fa irruzione il primo riff del disco, un monolite doom lento e inarrestabile che detta il ritmo a "Whatever That Hurts", che per varietà e potenza immaginifica potremmo considerare il brano simbolo della rivoluzione di "Wildhoney". Edlund ringhia visioni indiscernibili dalla realtà, canta come dal cuore di un incubo psicotropo causato dalle sostanze reali o fantasiose più disparate, che elenca a ritmo messianico: Jimsonweed, Honey Tea, Psilocybe Larvae, Honeymoon, Silver Spoon, Psilocybe Tea… Il brano non è però tutto un infuriare di riff di chitarra e growl. Gli intermezzi atmosferici dominati dalle tastiere eteree sono di eguale impatto e, prima di abbandonarsi a un intreccio di assoli death metal, le chitarre si impegnano persino in fughe di ispirazione arabesca.
Senza possibilità di tirare il fiato, il riff di "Whatever That Hurts" si trasforma in quello più scattante e impetuoso di "The AR", debitamente raddoppiato da cori femminili che gli conferiscono una forza ieratica. Nei consueti intermezzi atmosferici sentiamo battere un cuore nero e tintinnare scacciapensieri funerei trafugati da "Treasure" dei Cocteau Twins.
Se fino a questo punto del disco a predominare è un incrocio originale di death metal e gothic rock dalla forte dimensione onirica, dopo l'intermezzo "25th Floor" entrano in gioco, altrettanto forti, le ispirazioni e le aspirazioni progressive e psichedeliche di Edlund. La meravigliosa ode a madre natura intitolata "Gaia" pesca a piene mani dai Pink Floyd quanto dai Procol Harum. Si apre con un organo elettrico in fanfara, svela un retaggio metal soltanto nel cantato epico di Edlund e nei cambi di ritmo di Lars Sköld, per poi lanciarsi prima in un solo gilmouriano e in seguito in una cavalcata di pianoforte dal sapore modern classical. È decisamente influenzata dalla psichedelia dei Pink Floyd anche la lunga suite conclusiva "A Pocket Size Sun", in cui il canto ormai ammansito di Edlund incontra uno spoken word femminile.
Se tutti i testi del disco sono di Edlund, non si può dire lo stesso per le composizioni, che pur vedendo nel frontman il principale timoniere hanno coinvolto a turno tutti i membri della formazione. Un lavoro sinergico e una creatività a quel punto della carriera illimitata portarono alla realizzazione di ulteriori capolavori, sempre segnati da un'imprevedibilità e un'illimitatezza di soluzioni incredibile.
Nella super-elettrica "Visionaire", Edlund veste ad esempio i panni di un dio malevolo che usa i colori oscuri della notte per nascondersi da un'umanità lasciata a brancolare nel buio, mentre Magnus Sahlgren lancia assoli come saette; "Do You Dream Of Me?", sostanzialmente un brano dream-pop, viene invece sezionato in due parti da un intricato intreccio di chitarre spagnoleggianti. In entrambi i casi, osserviamo una band non soltanto capace di utilizzare molteplici linguaggi musicali e numerosissime influenze, ma anche di farli coesistere in un tutt'uno nuovo e organico.
Registrato dai Tiamat ai Woodhouse Studio (dove hanno inciso tra gli altri anche The Gathering, Moonspell e i nostrani Lacuna Coil) e pubblicato da Century Media il 1 settembre 1994, "Wildhoney" diventò presto uno dei più grandi bestseller della rinomata etichetta metal tedesca, superando gli ottimi risultati di band come Grave e Unleashed. Un successo ottenuto anche grazie alla grande immediatezza di un disco che fu accolto inevitabilmente come un oggetto misterioso ma indiscutibilmente unico e segnante, pronto ad aprire nuove porte ai metal head dell'epoca, ma anche quelle del gothic metal ad ascoltatori dediti ad altri lidi, come quelli dream-pop o psichedelici.
20/08/2023