Hugo Largo

Hugo Largo - Il post dream-pop

Misconosciuti, ma depositari di una sorta di dream-pop da camera molto importante sulla successiva evoluzione del (post?) rock, gli Hugo Largo della vocalist Mimi Goese sono una delle incarnazioni più suggestive dell'indie-rock degli anni Ottanta

di Antonio Ciarletta

Gli Hugo Largo sono uno dei gruppi più misconosciuti della storia del rock. Apparvero all'improvviso sulla scena indipendente americana, e all'improvviso scomparvero senza lasciare traccia, se non due album di straordinario valore e bellezza. Intorno alla metà anni 80 circa, l'indie-rock a stelle e strisce stava vivendo un momento di grande rinnovamento, se non di rivoluzione. New York trainava il carro del nuovo rock alternativo proponendo una serie di band che fecero del rumore artistico la propria ragione d'essere; Sonic Youth prima, Royal Trux e Cop Shoot Cop poi riuscirono a rappresentare in musica le nevrosi, le ossessioni e le alienazioni della vita metropolitana, così come i Velvet Underground qualche decennio prima. Contestualmente i Jesus Lizard a Chicago, i Minutemen da Los Angeles e i Fugazi da Washington (ma ce ne sarebbero ancora altri) dettarono le coordinate del post-hardcore, che si sarebbe poi evoluto in post-rock. All'opposto, gli Hugo Largo sembrarono proporre un sound quieto e onirico, corrispettivo americano del dream-pop, isolato e senza radici o relazioni, per questo tanto affascinante quanto ininfluente, ma non fu esattamente così.

La formazione si presentava innovativa già nella strumentazione: due bassi, Tim Sommer, critico musicale collaboratore di Glenn Branca, e Adam Peacock, quindi Hahn Rowe (poi con Tod Ashley nei Firewater) a disegnare tenui melodie di violino. Al canto Mimi Goese, discepola di Joni Mitchell e Tim Buckley, sirena ammaliatrice dello stampo di Elizabeth Fraser e Lisa Gerrard. La voce della Goese, elegante ed evocativa, è vero strumento aggiunto, capace di essere tutt'uno col flusso sonoro, mentre la chitarra sarà presente in alcuni pezzi, anche se quasi sempre in secondo piano.
Il fascino e l'originalità della musica degli Hugo Largo nasce in realtà da un forte contrasto tra le varie componenti che vanno a formare la tessitura sonora della band, tra il rombo dei bassi e i tintinnii di chitarra (a volte) da una parte, l'algida eleganza del violino e la calda vocalità di Mimi dall'altra.
Tanto i primi, tramite una timbrica robusta, ingabbiano il sound in una dimensione terrena, richiamando direttamente l'immaginario della rock band new-dark wave, tanto il canto della Goese cerca di trascenderla, elevando il suono a stati d'estasi mistica, così il violino si accorda allo strumento voce con crescendo d'intensità metafisica. Da questa continua lotta, da questa commistione di elementi "corporei" e soprannaturali (esemplificata in "Screm Tall", per dirne una), di ritocchi minimali e digressioni celestiali, dai Velvet che spingono a terra, da Joni Mitchell e Tim Buckley che guardano al cielo, che nasce la peculiarità della musica degli Hugo Largo, un po' atmosferica e un po' austera, spirituale, ma anche immanente. E' la differenza principale tra la band di New York e le compagini del dream-pop (Cocteau Twins, This Mortal Coil, Slowdive), fautrici di un sound appositamente studiato per evocare atmosfere oniriche e surreali, al confine con la musica ambientale.
Molto più vicini ai Popol Vuh di "Hosianna Mantra" sono invece gli Hugo Largo, per quell'approccio alla composizione che sembra prendere le mosse dall'improvvisazione. Si parte da una linea melodica appena accennata, usualmente una robusta frase di basso che imposta la ritmica conferendo linearità al pezzo, mentre la voce e il violino gorgheggiano liberi, alla ricerca di un approdo nella volta celeste. La Goese, in particolare, articola la propria interpretazione canora in una serie di variazioni di registro suggestive, con intonazioni che mutano di continuo, ma sempre armonicamente rispetto al resto dell'impianto sonoro. L'alea pervade queste composizioni, come nella miglior consuetudine dell'avanguardia rock.

Drum è del 1987 così come "White-Out Conditions" dei Bel Canto, mentre "Spirit Of Eden" dei Talk Talk esce l'anno dopo.
Drum, prodotto da Michal Stipe dei Rem, è vertigine emotiva allo stato puro, disorientamento nel flusso sonoro, eleganza maniacale ed evocazione di un'epica antica rivolta alla ricerca dell'insondabile, dell'assoluto, un canto gregoriano per rock band (un po' come i Dead Can Dance). "Grow Wild" parte con una serie di variazioni minimaliste che si ripetono in modo circolare, sino all'entrata degli archi che cullano sofficemente l'errabonda meditazione della Goese. "Eskimo Song" prosegue sulla medesima falsariga tra rintocchi di basso e scampanellii, che immergono il canto in un atmosfera cupa e angosciosa, come nelle migliori litanie di Nico.
La cover di "Fancy" (Kinks) mostra il legame che unisce gli Hugo Largo ai Dead Can Dance, nei termini di un folk trans-globale impregnato di misticismo orientaleggiante. Progressioni e iterazioni alla Velvet Undergound pervadono "Screm Tall", con arpeggi di chitarra in lontananza che si incastrano con discrezione, mentre voce e violino cercano disperatamente di affrancare il sound dalla dimensione corporea. I pigri intrecci strumentali di country rendono gli Hugo Largo il corrispettivo dream-pop dei Galaxie 500, mentre la marziale staticità di "Second Skin", movimentata dagli acuti della Goese, accentua le somiglianze con il sound dei posteriori His Name Is Alive di "Livonia". Disco praticamente perfetto, Drum rivela un nuovo modo di fare musica rock: rock del flusso di coscienza, con melodie, arrangiamenti e solistiche che fluttuano liberi (seppur in brani dallo standard medio di 4-5 minuti), nella psicologica ricerca di uno spazio-tempo ancestrale.

Due anni dopo, gli Hugo Largo pubblicano Mettle, album per certi versi persino superiore all'esordio. Le canzoni incedono con una maggiore lentezza, meditabonde, e intessute in una filigrana ambientale che sa di new age. Splendida la "Turtle Song" con cui si apre il disco, pezzo movimentato (sulla scia di "Screm Tall"), testimonianza della dicotomica contraddizione presente nel sound degli Hugo Largo, un po' atmosferico, un po' terreno. Con "Hot Day" inizia il viaggio in una dimensione che fatica a identificarsi nella forma-canzone. Se nell'album precedente si percepivano (seppur a malapena) strutture pop, le armonie di Mettle si reggono sull'incastro di caligini sonore e vagiti celestiali, mentre è il solito basso a conferire linearità, impedendo al sound di collassare su se stesso. Testimonianza ne è la maestosa "Halfway Knowing", dove l'afflato spirituale dei Popol Vuh flirta con la glaciale marzialità dei Dead Can Dance; straniante e sognante è la "Song To The Siren" degli Hugo Largo. In "Brothers" è la chitarra a menare le danze, con una melodia lieve e struggente, mentre gli archi materializzano ectoplasmi sonori, d'intensità crescente verso la fine del pezzo, quando il canto della Goese diventa più alto. Altro vertice del disco è "Jungle Jim", commovente e assorta, intensa ed elegante allo stesso tempo. Mettle riesce nell'impresa di raggiungere le vette qualitative di Drum, aggiungendo elementi di originalità a un sound già altamente personale.

A questo punto l'avventura della band giunge al capolinea, e per ascoltare un album riconducibile agli Hugo Largo bisogna aspettare il '98, quando la Luaka Bop licenzia Soak, disco solista di Mimi Goese, prodotto da David Byrne, con la collaborazione di Hector Zazou e Hahn Rowe. Neanche minimamente paragonabile alle delizie del gruppo maggiore (per sonorità e qualità), e pur essendo nel complesso un buon disco, Soak si scopre eccessivamente succube dei suoni alla moda in quel periodo, in particolare trip-hop e affini.
La classe canora di Mimi non si discute, ma integrata in un sound da evo post industriale perde un po' del suo fascino, così come in "Milky Way", in cui sembra di ascoltare una versione appena più eterea di Bjork.
Muscoli ben in evidenza in "Piece Of Cake" e "I spy", come dei Nine Inch Nails in overdose da arrangiamenti lussureggianti, senza spigoli, con chitarre rotonde e inoffensive. Suadente, invece, "Fire And Roses", con suoni elettronici che si materializzano dal nulla, e il recitare cantilenante di Mimi a indurre in uno stato di narcolessia. Psichedelia notturna ed elettronica jazzata infarciscono "Believer", mostrando una versione, se possibile, ancora più ipnotica dei Laika. Mentre "Watch" è pop cristallino con arrangiamenti appena sussurrati, l'album regala l'ultimo pezzo significativo con la cover di "Black Hole Sun" dei Soundgarden, in cui Mimi recita sotto vuoto spinto, rendendo allucinata una canzone già abbondantemente visionaria nella versione originale.

Se Dead Can Dance e This Mortal Coil (nelle sue diverse incarnazioni) hanno incentrato la loro sperimentazione nella ricerca di una perfezione stilistica che ha nella forma l'elemento predominante, gli Hugo Largo sono invece partiti dal contenuto, nelle vesti di una narrazione sonora potente, esploratrice del subconscio, volta a far emergere sensazioni ancestrali, per pervenire successivamente a quell'esteriorità sonora adatta a veicolarle.
La musica quasi cameristica degli Hugo Largo ha avuto influenza su quelle formazioni (Rachel's, A Silver Mt. Zion, Black Tape For A Blue Girl etc.) che hanno cercato di travalicare il confine del canonico formato di canzone rock implementando strumentazione e metodi di composizione riconducibili alla musica classica. Post-rock prima che il post-rock fosse istituzionalizzato, troppo in anticipo sui tempi, troppo raffinati per essere completamente decodificati, troppo bravi per essere trascurati. Due album, diciassette canzoni in tutto, bastano per affermare che l'evoluzione della musica rock deve qualcosa anche agli Hugo Largo.

Sciolti gli Hugo Largo, Tim Sommer resta nel mondo della musica collaborando con artisti dalla variegata estrazione stilistica, da Duncan Sheik ai Beastie Boys, producendo anche le prime incisioni dei Kara’s Flowers ben presto più famosi sotto il nome di Maroon 5.
Anche Hahn Rowe prosegue con successo la carriera di musicista, collabora al disco solista di Mimi Goese Soak, con Bill Laswell, Antony and the Johnsons, Yoko Ono, prima di dedicarsi alla composizione per cinema e teatro.
Mimi Goese dopo l’unica prova solista inizia a collaborare con altri artisti, fino a quando incontra Ben Neill creando un sodalizio artistico interessante.

Il primo progetto in duo arriva solo nel 2011, Songs For Persephone, un album che mette insieme musica, arte visuale e teatrale con coraggiosi incroci tra dream-pop, jazz, lounge e hip-hop.
Per il seguito purtroppo bisogna attendere ancora una volta un lungo periodo, nove anni passano infatti prima che Ben e Mimi ritornino in scena con un nuovo album, Life You Are, che ad una minore verve sperimentale fa corrispondere una più omogenea solidità dream-pop e chamber-folk con una splendida versione di “Ocean Rain” degli Echo & The Bunnymen e raffinate ed eteree ballate folk-jazz in chiave chamber-pop, arrangiate con dovizia dal fido Ben Neill e il suo mutatrumpet e da un ospite d’eccezione, David Van Tieghem.

(Contributi Marmoro Gianfranco "Songs For Persephone", "Life You Are")

Hugo Largo

Discografia

Drum (Opal, 1987)

8

Mettle (Opal, 1989)

8

Mimi Goese: Soak (Opal, 1998)

6,5

Mimi Goese And Ben Neill:Songs For Persephone (Ramseur 2011)
Mimi Goese And Ben Neill: Life You Are (Blue Math 2020)
Pietra miliare
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