Sessantadue anni di vita, quasi quaranta di carriera solista, numeri impressionanti quelli del loner canadese che, tra le edizioni di vecchi concerti (“At Fillmore East” con i Crazy Horse e l’immaginifico “Live At Massey Hall, 1971” in solitaria), pubblica questo “Chrome Dreams II”, figlio nel titolo di quel “Chrome Dreams” che Neil Young progettò dopo “Zuma” senza però mai pubblicarlo e le cui canzoni (una tracklist da favola, per inciso..) finirono su album successivi.
Un nuovo disco di un dinosauro del rock, come si usa dire per simili colossi, spinge a tante considerazioni. Certo, gli ultimi tempi non sono stati granché per il cantautore canadese, la sua carriera non ha brillato e da più parti si pensa che la pensione sarebbe cosa buona e giusta.
Certo, quando hai pubblicato “Everybody Knows This Is Nowhere”, "After The Gold Rush", “Harvest”, “On The Beach”, “Tonight’s The Night”, “Rust Never Sleeps” e via dicendo, come vuoi fare ora, anziano e acciaccato, a regalare ancora emozioni? Eppure…
Eppure i primi tre pezzi di “Chrome Dreams II” sono cose che i suoi giovani successori pagherebbero per saper scrivere e interpretare.
Prendi “Beautiful Bluebird”, ballata per armonica e lap steel, una di quelle canzoni per cui il sottoscritto baratterebbe buona parte del nuovo revival folk di oggi; dipinto di grano e sole, strade solitarie e ingenui amori.
Colonna sonora ideale per il viaggio di Richard Farnsworth nel lynchiano “Una storia vera”, orgoglio e pace interiore fatta di cose semplici, azzerate le distanze temporali, “Harvest” non è poi così lontano.
"If heaven had a window here the sun came shinin’ through / like a beautiful bluebird, I’d come flying back to you”. E buonanotte a tutti gli Iron & Wine e M Ward..
Ricordi più recenti (ma non di molto) sollevano la polvere e il banjo di “Boxcar”, ancora America rurale, western di perdenti e lavoratori, gente vera, gente comune; “Ordinary People”, allora, l’inaspettata energia di questo vecchio cavallo pazzo che ci regala diciotto minuti di elettricità come quando furoreggiava con i Crazy Horse: stavolta sono i BlueNote a fornire appoggio informale con sax, cornette e fiati vari, ma c'è quella chitarra inconfondibile a ricordarti chi stai ascoltando.
Diciotto minuti di svisate e assoli con Neil a cantare come ai vecchi tempi, populista forse, prolisso, magari, ma tant’è.
Poi, purtroppo, l’uomo di Toronto ritorna quello degli ultimi anni e ci rifila “Shining Light” e “The Believer”, due ballate melense incrociate con pop e soul che fanno quasi svanire il fresco ricordo del trittico iniziale.
Non è finita, però, perché il vecchio leone ha ancora qualche ruggito in serbo: si risolleva con “Spirit Road” e “Dirty Old Man”, tutte grinta, poi, tra l’innocuo country di “Even After” e la trascurabile ballata finale per piano e fanciullesco coro “The Way”, si rilancia ancora in un’ultima cavalcata.
“No Hidden Path”, gemella di “Ordinary People” ma meno multiforme, è un altro pezzo di quasi quindici minuti in cui la chitarra elettrica si libra in voli d’improvvisazione che ci ricordano un’altra fetta della carriera del buon Neil.
Diviso tra i fan che lo accetteranno e difenderanno come ogni scampolo di musica del loro idolo e i detrattori che non vedono l’ora di avventarsi su ogni passo falso come avvoltoi, “Chrome Dreams II” è lì, nel mezzo, con i suoi pregi e le sue debolezze.
Sicuramente confrontato con l'intera opera di Young risulterà una nullità, ma possiede dei colpi che lo fanno brillare in confronto a quello che il cantautore canadese ha creato negli ultimi(ssimi) anni, almeno del periodo dal 2000 in avanti.
Non fosse altro che per il trittico iniziale, la sufficienza se la merita ampiamente.
28/11/2007