Detachments

Detachments

2010 (Thisisnotanexit)
synth-pop, dark wave

In anni di revival imperante, forse quello che ancora può e deve fare la differenza in maniera decisiva è la qualità del songwriting di una band e il gusto personale che essa riesce a mettere in gioco nel riplasmare un suono di per sé già ben definito e consegnato all’ufficialità non ritrattabile della storia. E se la condizione di partenza naturale per ogni band contemporanea è inevitabilmente quella di avere di fronte a sé l’enciclopedia di tutte le epoche della musica popolare, schiacciate in un unico istante sincronico, senza la benchè minima scansione o gerarchia temporale tra un prima e un dopo, i londinesi Detachments non fanno di certo eccezione a un simile assunto. Partendo infatti, in maniera poi non molto diversa dai fortunati colleghi Hurts, da un codice spiccatamente synth-pop, questo quartetto capeggiato dallo stilosissimo Sebastien Marshall ha finito con l’assemblare una raccolta di pregevolissime canzoni che potrebbero tranquillamente essere state scritte e registrate oggi come trent’anni fa. Funzionando alla perfezione in entrambi i casi.

La band è figlia di quel milieu londinese che già ha saputo svezzare in tempi recenti nomi di notevole interesse come Horrors, XX e Big Pink. Nonostante referenze di alto bordo (l’album è prodotto dall’ambitissimo taumaturgo del nuovo britpop James Ford, e la band può peraltro vantare il supporto di nomi autorevoli come Peter Hook, Andrew Weatherall e Tim Goldsworthy, questi ultimi due anche nelle vesti di collaboratori diretti), il disco in questione non ha riscosso consensi troppo sostanziosi. Il che dispiace non poco anche perché, al di là di parrucchieri estrosi e trench neri della giusta lunghezza, la band dimostra di possedere soprattutto un’eccellente sensibilità compositiva e una padronanza davvero fluida e invidiabile del lessico post-punk.

Con stile asciutto e una controllata economia di forme e variazioni cromatiche, la band passa infatti una mano di smaliziato malessere postmoderno sulle geometrie puntiformi dei vari Human League, Ultravox, Fad Gadget, Omd, Depeche Mode e New Order, traendone deliziosi motivetti dalla presa pressoché immediata (le apprezzabili “I Don’t Wont To Pay” o “Holiday Romance” ne sono un esempio perfetto), il tutto senza poi disdegnare accenni di dark o un più marcato concettualismo elettronico in odore (soprattutto nella seconda metà del lavoro) di astrazioni industrial, come la doppietta “Tred Along”-“Fear No Fear” a suo modo ben dimostra. E se “Words Alone” non può che dissotterrare dalle polveri della memoria fotogrammi smangiati di “Decades” dei Joy Division, “Art Of Viewing” potrebbe essere senza eccessivi imbarazzi un brano dei Visage, attraverso un libero gioco di richiami e contrappunti stilistici che portano via via a sbattere la testa contro la sostanza estetica (esaltata da una produzione a tratti davvero magistrale e attenta al dettaglio) di hit fatte e finite come “You Never Know Me”e “H.A.L.”, gelide e marziali quanto basta per raccontare l’ansia paranoica e la solitudine “siberiana” dei deserti metropolitani odierni, non troppo dissimili in fondo da quelli ormai remoti dell’era new-wave.

Alfieri di una personale e nuova glaciazione dell’anima, i Detachments avanzano, assieme a Hot Chip, Late Of The Pier e in attesa dei Mirrors (altra compagine da tenere sott’occhio nei prossimi mesi), una candidatura tutt’altro che bisbigliata per la leadership di una via tutta britannica al pop sintetico che non da segni di debolezza o arrendevole cedimento. Staremo a vedere dunque. Nel mentre, occhio alla ghost-track.

10/02/2011

Tracklist

1. Audio Video
2. I Don’t Want To Play
3. Art Of Viewing
4. Holiday Romance
5. You Never Knew Me
6. Sometimes
7. H.A.L.
8. Circles
9. Tread Along
10. Fear No Fear
11. Words Alone

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