Tu giurami che noi
Non moriremo mai
(da "Grande")
Gli
Afterhours sono una delle poche formazioni del movimento alt-rock italiano anni 90 che, con il passare del tempo, è riuscita ad affermarsi ben oltre la nicchia d'appartenenza. I continui rimpasti nella
line-up ne hanno assicurato un flusso sempre rinnovato di idee e contaminazioni, e oggi sono divenuti una vera e propria
all star band, forti della presenza di
Xabier Iriondo,
Roberto Dell'Era (entrambi protagonisti di autorevoli progetti paralleli ormai consolidati) e Rodrigo D'Erasmo, uno dei più richiesti polistrumentisti italiani.
Con Fabio Rondanini dei
Calibro 35 al posto del batterista storico Giorgio Prette e il funambolico
Stefano Pilia (
Massimo Volume,
In Zaire e tanto altro) che ha sostituito alla chitarra Giorgio Ciccarelli, siamo al cospetto con tutta probabilità della migliore formazione degli Afterhours di sempre.
In questo contesto, florido di tecnica e idee, nasce "Folfiri o Folfox", un disco torrenziale (parliamo di un doppio con ben diciotto tracce), complesso, ambizioso, che non assomiglia a nulla di ciò che gli Afterhours hanno prodotto in passato (segno che l'apporto dei singoli membri ha un peso specifico rilevante), e al contempo che mette in campo un approccio volutamente sperimentale.
Nei giorni che hanno anticipato la pubblicazione del disco,
Manuel Agnelli ha rilasciato alcune dichiarazioni, presentandolo come un
concept su morte e rinascita e come un lavoro che intende spostare in là i limiti della scrittura e della ricerca sonora degli Afterhours.
La morte è quella del papà di Manuel, evento che permea l'intera opera sin dal titolo: Folfiri e Folfox sono due protocolli medici riguardanti la cura del tumore al colon. Il ricordo del padre affiora sin dalle prime parole (urlate con rabbia) della toccante "Grande", strappalacrime racconto di una promessa non mantenuta, quella di un'unione che nelle intenzioni sarebbe dovuta sopravvivere per sempre.
I riferimenti all'accaduto sono fortissimi nelle trame elegantemente
jazzy per voce e piano di "L'odore della giacca di mio padre", nella
title track, incentrata sui protocolli sanitari prima citati, nella rotonda "Ti cambia il sapore", amaro resoconto riguardante le alterazioni provocate su psiche e fisico dai cicli di chemioterapia.
La volontà di spingersi musicalmente oltre conduce a un lavoro impegnativo, con risultati spesso egregi (la strumentale
jam free-form quasi stoner "Cetuximab", dal nome di un farmaco antitumorale), ma anche con qualche inevitabile cedimento ("San Miguel", l'unico episodio davvero trascurabile).
Il primo brano a colpire per immediatezza, il più orecchiabile e accessibile, il vero
instant classic del lotto, è "Non voglio ritrovare il tuo nome" (corredato da un videoclip diffuso a fine maggio), una sorta di nuova "
Non è per sempre".
Ma i registri utilizzati sono molteplici: si passa da momenti grintosi ("Il mio popolo si fa", "Qualche tipo di grandezza", "Fa male solo la prima volta", "Fra i non viventi vivremo noi") ad altri più rarefatti ma sempre ricchi di tensione ("Lasciati ingannare") e drammaticità ("Il trucco non c'è").
Completano il quadro
midtempo ispirati dalla disillusione ("Oggi"), fragili parentesi acustiche ("Noi non faremo niente"), blues desertici ("Né pani né pesci") e strumentali dove il violino di D'Erasmo si erge a protagonista ("Ophryx", piante appartenenti alla famiglia delle orchidee, quelle ritratte sulla copertina del disco).
Per lunghezza ed eterogeneità della proposta, "Folfiri o Folfox" potrebbe essere vagamente accostato a un "
Hai paura del buio?" privo degli inni generazionali che lo resero immortale (qui non troverete traccia di nuove "Male di miele"), dove al
cut-up e al furore post-adolescenziale si sostituisce l'acquisita maturità che consente di affrontare temi seri e fortemente aggreganti.
C'è una grande verbosità che anima i nuovi testi, con Agnelli che continua a permeare di sé il lavoro dell'intera band, travasando le proprie esperienze, il proprio vissuto in elaborazioni in grado di ancorare lo sviluppo dell'album a un'idea forte. I dischi degli Afterhours inevitabilmente continuano a parlare di lui.
Meno immediato rispetto a qualsiasi pubblicazione precedente, ma enormemente appagante nel momento in cui ci si appropria delle giuste chiavi di lettura, "Folfiri o Folfox" cresce in maniera esponenziale con gli ascolti e si impone come un lavoro destinato a resistere al tempo, come un vero classico contemporaneo, ideale continuatore di
evergreen quali "
Quello che non c'è" e "
Ballate per piccole iene".
La chiusura è affidata alla corale "Se io fossi il giudice", sorprendentemente programmatica nell'anticipare il prossimo ruolo di Manuel, quello di chiacchieratissimo giudice di X-Factor: ma questa sarà una nuova, ennesima storia, tutta da scoprire, per un personaggio che non smette(rà) mai di far parlare di sé, nel bene e nel male.
Scava sotto i buoni
C'è un cadavere
Sotto i cattivi un angelo
Ucciso da un'idea
Dicevi che la gente ha ciò che merita
E tu eri mia
E noi soli non
Saremmo morti mai
(da "Non voglio ritrovare il tuo nome").
10/06/2016