Il parere è abbastanza unanime: se i Sault invece di pubblicare cinque dischi tutti assieme avessero operato per una meno ambiziosa selezione di 15/20 tracce, raccolte magari in un doppio, probabilmente avrebbero dato vita al loro capolavoro. Il generoso progetto, diluito in ben 56 canzoni inedite, rischia invece di diventare dispersivo e far perdere il giusto focus sull’enciclopedico materiale.
Ma è pur vero che il reale intento del collettivo guidato dal producer Inflo sembrerebbe quello di provare a incrinare le regole del music business, lanciando messaggi forti, non solo a livello di marketing, e di colpire in qualche modo l’immaginario dell’ascoltatore, ben oltre gli aspetti meramente musicali. I Sault non si esibiscono dal vivo, ci consentono di scaricare tutto in free downloading (sì, ok, tanto i dischi non si vendono più…): lecito domandarsi cosa ci possano mai guadagnare da tutto questo.
Anche perché i musicisti che ruotano intorno alla costellazione Sault restano tuttora coperti dal più totale anonimato, eccezion fatta per le presenze accertate, più o meno continuative, di Little Simz, Cleo Sol, Michael Kiwanuka e Kid Sister. Per “11” (finalmente una copertina colorata, studiata su un rosso acceso di sfondo, dal quale emerge soltanto il numero del titolo), entrano in scena dal punto di vista stilistico (va ricordato che i cinque nuovi dischi sono rigorosamente tematici) nu-soul, funk e afrobeat, spostando il calendario indietro in maniera decisa verso raffinati riferimenti ripescati dagli anni Ottanta e Novanta. Un album dal songwriting solido, che riprende il caratteristico mood sin qui praticato dai Sault, con diversi momenti che saranno ricordati.
Nella prima parte del lavoro, in particolare in corrispondenza di “Fear No One” e “Morning Sun”, spicca quel meticciato che riporta alla mente i primi Massive Attack, seguito dall’irresistibile groove funk-blues di “Together”, dal seventies soul di “Higher”, dall’avvolgente r&b da camera da letto di “Fight For Love” ed "Envious". E ancora: il consueto omaggio al Prince più malinconico in “River”, chitarre in wah-wah dentro “In the Air”, il santino dei Soul II Soul rincorso nell’iniziale “Glory”.
“11”, fra l’altro, prosegue la sequenza numerica (“7”, “5”, “Nine”) che contraddistingue uno dei filoni della discografia dei Sault, arricchita di recente anche da “10”, traccia diffusa singolarmente poche settimane fa, con durata pari a 10’10’’. L’altro filone è quello degli album “Untitled” (“God”, contemporaneo di "11", arriva dopo “Black Is” e “Rise”), ma ragionare sull’organizzazione del materiale architettato dai Sault è faccenda che rischia soltanto di far prendere grandi cantonate. Si stanno divertendo i ragazzi, e continuano a “regalarci” – è davvero il caso di dirlo – grande musica, aggiornando lo stato dell’arte della black music agli anni Venti. Mettetevi comodi…
06/12/2022