Justice

Hyperdrama

2024 (Genesis/Because)
electropop, synthwave

Formula che vince non si cambia - al massimo la si arricchisce di qualche coloritura in più, cinque o sei ospiti, un paio di incursioni in territori ancora inesplorati, un po' di strati in più di sfarzo e grandeur, progressioni impreviste, riferimenti più o meno sfacciati ai propri modelli di ieri e di oggi... Insomma, sì: il nuovo album dei Justice è un sovrabbondante circo allestito a uso e consumo dei propri fan storici, destinato a non attrarre un solo ascoltatore in più rispetto agli innamorati di "Cross" e agli assai meno numerosi seguaci dello strabordante "Audio, Video, Disco". Con ogni probabilità, anzi, "Hyperdrama" riuscirà ad alienarsi qualche altro discepolo, speranzoso che l'abbuffata prog del secondo album fosse giusto una sbandata passeggera, rientrata con il più danzante "Woman". "No no - pare voler rimarcare il duo Gaspard Augé-Xavier de Rosnay, facevamo sul serio, e beccatevi ora - in pura salsa Justice - un altro carico di sfavillante nostalgia settantiana". Cui va aggiunta, a scompigliare un poco le carte, qualche doverosa sorpresa.

Una sfilza di collaborazioni porta con sé il tentativo di rinnovare il suono o, in qualche modo, di omaggiare la propria storia? È Kevin Parker, il leader dietro agli australiani Tame Impala, a emergere sin dalle prime battute. "Neverender" parte con impeto, trasportandoci nelle atmosfere sognanti di un viaggio senza ritorno verso l'hipsterland, preludio alle ambizioni di "Hyperdrama". "Generator" ci riporta con abilità allo stile classico del combo francese, attraverso toni sintetici al vetriolo figli delle incursioni nella techno acida di Joey Beltram e dei belgi T99 (celebri per la loro "Anasthasia"); il sound è potente e minaccioso, ma viene mitigato dal campionamento di una sezione d'archi che aggiunge un tocco cinematografico - quasi action - al massimalismo sonoro del duo francese.
La voce di Kevin Parker riemerge in "One Night/All Night", ma è con "Dear Alan" che l'operazione di remix/remake raggiunge l'apice: il brano si apre con un jingle ripetitivo che ricorda il sottofondo di una trasmissione meteorologica, mentre l'amalgama di riferimenti al French Touch costituisce un omaggio evidente al caro amico e leggendario produttore Alan Braxe, noto per la sua rivoluzionaria raccolta "Upper Cuts" (in collaborazione con il bassista Fred Falke) e per il progetto "Stardust", due nomi sicuramente cari ai fan della musica dance mondiale.

"Incognito" è, invece, plasmata da un basso elettronico e da un riff di synth tagliente. Il suono digitale si evolve da una sinfonia inizialmente fluorescente, per poi immergersi nel sovraccarico elettronico tipico della synthwave, di cui i Justice sono senz'altro fra i capostipiti. L'abilità del gruppo risiede nell'equilibrare gli arrangiamenti barocchi - alcuni parlerebbero di progtronica - con le tavolozze sature dell'elettronica più pomp in circolazione. Oltre che nell'eloquente Wurlitzer del singolo uscito a marzo, il contatto col lato più rigoglioso dei Seventies è palese nelle armonie camaleontiche di "Mannequin Love": fra stratificazioni vocali zuccherine e una delle svariate progressioni non banali del disco e della carriera (in questo caso un "pendolo piccardo" VI-V-IV-II), il rimando sembra quasi andare alle tarde mutazioni del sunshine pop che si avvicina all'Aor, da qualche parte fra Boston e Blue Öyster Cult versante melodico. Se "Moonlight Rendez-Vous" sarebbe stata tranquillamente credibile come episodio soffuso di "Rain Dances" dei Camel (magari uno con lo zampino di Eno), "The End" pensa bene di chiudere con l'ennesimo featuring d'alto bordo, questa volta con il portabandiera del basso hyperfusion Thundercat, qui evocato solo per un contributo vocale.

Un gran guazzabuglio, verrà da credere. E invece le tredici tracce del disco sono forse il sunto più rappresentativo dello spirito Justice, un viaggio in cui le molteplici anime che hanno alimentato la storia della band si intrecciano attraverso un'attenzione alla scrittura superiore rispetto a buona parte degli episodi precedenti. Mancano, questo è vero, bangers davvero irresistibili: non una lacuna di poco conto, visto che la fortuna del progetto di è basata finora sull'efficacia dei cavalli di battaglia. Ma chi ha imparato, anno dopo anno, ad apprezzare le sfumature nello stile dei francesi - superando l'iniziale stereotipo di "validi supplenti" dei Daft Punk, per abbracciarne invece l'adorabile magniloquenza - troverà nel disco le sue soddisfazioni. Per darci dentro con gli anthem a cassa dritta si potrà senz'altro assistere all'attesa performance al Nameless Festival, che vedrà la coppia sul palco venerdì 14 giugno.

06/05/2024

Tracklist

  1. Neverender
  2. Generator
  3. Afterimage
  4. One Night/All Night
  5. Dear Alan
  6. Incognito
  7. Mannequin Love
  8. Moonlight Rendez-Vous
  9. Explorer
  10. Muscle Memory
  11. Harpy Dream
  12. Saturnine
  13. The End


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