La magniloquenza trova sempre un suo pubblico. Quell'enfasi sfacciata, senza limiti, il genere di pomposità roboante che ha animato Queen, Muse e rispettivi emuli. "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate": "Haven", sesto album degli emo-rocker canadesi Marianas Trench, è un ottovolante di invenzioni melodiche e orchestrazioni elettronico-orchestrali che non teme alcuna accusa di kitsch o ampollosità. E a ragione: con notevoli risultati commerciali in Canada la scorsa decade e un seguito Spotify oggi stabilmente attorno ai 700mila ascoltatori mensili, la band si trova in una posizione che consente non solo di perseverare, ma anzi di spingere ancor più in là il proprio stile opulento e ruffiano.
La prima chiave dell'efficacia di "Haven" è la vocalità di Josh Ramsay. Istrionico e versatile, il cantante sa muoversi tra registri e stili con la disinvoltura di chi conosce a fondo non solo le regole dell’emo-rock, ma anche quelle del pop d’alta classifica. È proprio questa familiarità, affinata negli anni con collaborazioni di successo come "Call Me Maybe" di Carly Rae Jepsen, a permettere alla band di portare arrangiamenti ambiziosi verso una sorprendente accessibilità.
Il sound dell'album è un melting pot postmoderno, assieme futuribile e nostalgico, che mescola decenni e influenze come se fossero una cosa sola.
L’apertura "Lightning And Thunder" parte da un arpeggio sintetico alla "Baba O’Riley" e si catapulta verso la grandeur di Killers e fun., atterrando tuttavia su un rutilante power-pop virato Aor, figlio dimenticato degli anni Settanta americani. "I'm Not Getting Better" osa intrecciare armonizzazioni vocali, smargiassate synth-rock e chitarrine disco in un connubio tanto brillante quanto sfacciato, che riesce a canalizzare positivamente l'estro di riferimenti assai rischiosi: Queen, Walk The Moon, perfino Imagine Dragons.
Stomp-rock anni Dieci e teatralità settantiana, insomma, riletti tuttavia attraverso una lente emo-pop-punk che infonde grinta e immediatezza alle melodie. E una chiara passione per i suoni eighties, che emerge più che in ogni altro pezzo in "Remember Me By", dove il funk pulsante di "Sledgehammer" si riappacifica al pop sintetico dei Genesis era Banks-Rutherford-Collins. Per non essere da meno in fatto di rimandi, il groove nella coda di "Into The Storm" si butta palesemente sui Police, mentre "Ancient History" pesca a piene mani dai Toto per costruire un ritornello fra i più energizzanti in un disco tutto ritornelli energizzanti.
Altrettanto artificiosa e disinvolta è la tavolozza sonora messa in campo, che lascia in secondo piano le chitarre, mettendo invece al centro orchestrazioni midi dal carattere avvolgente e deliberatamente posticcio. "Worlds Collide", con il suo sviluppo da musical cinematografico, è l'esempio più calzante di come questo audace approccio timbrico possa rivelarsi, in mano ai Marianas Trench, un azzardo vincente.
D'altra parte, è proprio nel giocare grosso che l'album eccelle. Come un funambolo su un filo sottilissimo, "Haven" rischia costantemente di precipitare nel baratro degli eccessi, ma danza - e ne scampa - con disarmante maestria.
21/11/2024