Tempo di (ri)fiorire: un concetto di rinnovamento che i Tiger! Shit! Tiger! Tiger! hanno abbracciato con la loro quarta opera “Bloom”. Il trio di Foligno, il cui nome aveva ricevuto il plauso su Twitter perfino dallo scrittore Stephen King, torna sulle scene a sette anni da “Corners”, dopo aver effettuato un lungo lavoro di ricerca in sala prove, al fine di conciliare melodia, profondità e potenza di suono. Citati tra i progetti da tenere d’occhio nel 2008 dalla rivista Spin, nel corso della loro carriera Diego Masciotti (chitarra e voce), Giovanna Vedovati (basso) e Nicola Vedovati (batteria) hanno fatto tesoro di numerose esperienze tra Italia, Uk e Usa, fra le quali spiccano due partecipazioni al CMJ di New York e innumerevoli al SXSW di Austin (l’ultima avvenuta proprio in questi giorni).
Registrato, mixato e masterizzato completamente in analogico da Filippo Passamonti (in passato in studio con Kurt Vile per “Bottle It In”), il nuovo lavoro del gruppo umbro include influenze che viaggiano tra la seconda metà degli Eighties e i Nineties, mescolando noise-rock, grunge, e shoegaze, attraverso una formula personale che porta alla mente la valida operazione compiuta dagli October Drift, mentre dell’artwork si è occupata Keeley Laures, visual designer di Brooklyn nota per aver collaborato con band come My Bloody Valentine, Ride e Lemonheads.
A ingranare lentamente sono le chitarre della plumbea “Memory”, dove aleggiano echi dei Drop Nineteens controbilanciati da pesanti passi di memoria grunge, spostando leggermente il focus verso i My Bloody Valentine con i paesaggi sonori evocati dai riff e dalle strofe lontane di “Stones”. “Dark Thoughts” porta in primo piano basso e batteria e funge da anticamera per la più lunga “Endless”, la cui oscurità rimanda alle atmosfere di alcune produzioni dei Sonic Youth, dei Lilys e in piccola parte perfino agli Alice In Chains di “Would?”. A spiccare all’interno del lotto sono le invettive dal gusto sonicyouthiano della tagliente “Empty Pool” e i tornadi elettrificati di “Blanket”, a cui fanno seguito i ritmi concitati di “In Between”, che includono note post-punk e arie gothic che richiamano i Church di “Priest = Aura” e i Jesus And Mary Chain.
Il trittico conclusivo è composto da “Hands Down”, che oscilla tra furia nirvaniana e il mood noise dei primi Dinosaur Jr., dalla vorticosa “Afterwards” e dai riverberi di “Melting Forest”, che oltre a strizzare l’occhio ai soliti noti di matrice shoegaze, volge lo sguardo ai Cure di “Disintegration”.
Accantonato quasi completamente il passato dedito alle sghembe e furibonde stilettate lo-fi, con "Bloom" i Tiger! Shit! Tiger! Tiger! rifioriscono in una veste più matura e complessa, a tratti forse leggermente ridondante nella seconda parte del percorso, ma che pesca e rielabora un buon carnet di influenze in maniera coerente e abbastanza personale, spalancando ulteriori possibilità per le prossime mosse del trio.
16/03/2024