Fra i giganti del rock progressivo, Emerson Lake & Palmer sono a tutt'oggi i più incompresi. Molti ne criticano la freddezza, la pretenziosità, l'eccessivo virtuosismo. Anche in un'epoca in cui i classici del passato vengono riveriti con umiltà, gli Elp faticano a trovare il proprio spazio.
Il problema non affligge il resto del rock progressivo, genere ancora oggi influente che incanta gli ascoltatori più esigenti con i suoi toni fiabeschi, pastorali e romantici. Negli Elp queste tre componenti - senza dubbio quelle che emanano un calore immediato a livello emotivo - sono del tutto assenti. Ciò non significa però che la loro musica sia algida, semmai che il trio è meno rappresentativo del rock progressivo rispetto a quanto viene creduto, almeno sotto questo punto di vista. Se ovviamente le strutture e l'approccio ci sono tutti, le atmosfere che prevalgono negli Elp sono atipiche, almeno fra i nomi di richiamo del genere.
Prima di tutto il senso di sfida fra i tre musicisti. Mentre nelle altre band gli strumenti cooperano per creare un sound che trascenda i singoli componenti, negli Elp le caratteristiche di ogni membro rimangono bene in evidenza, come a voler sopprimere le altre. Emerson suona parti eccentriche e velocissime, Palmer riempie ogni spazio possibile con la sua batteria, Lake ci mette la voce, cercando di mantenersi in equilibrio fra gli altri due. Ognuno appare insomma slegato dagli altri e questo rende la proposta piuttosto difficile da fruire per il pubblico attuale, che si ritrova a dover seguire più linee in contemporanea.
Altro loro elemento quasi del tutto assente nelle altre band prog è l'ironia, su cui i loro critici sono soliti sorvolare: sarebbero altrimenti costretti a ritrattare le accuse di accademismo. I tre erano compositori e arrangiatori di grande intelligenza, ma anche compagnoni a cui piaceva piazzare sempre un pezzo idiota nei dischi, per stemperare l'atmosfera. E, come si vedrà, anche nei brani più seri c'erano momenti grotteschi che miravano a creare contrasti e a suggerire che, evidentemente, di quella musica si poteva anche ridere.
Infine, l'iconoclastia. Gli Elp erano in sostanza tre anarchici. Se si passa l'ossimoro, erano i punk del rock progressivo: il loro approccio era dissacrante, chiassoso, distruttivo. Nel corso della loro carriera hanno riletto brani di Tchaikovsky, Mussorgsky, Bartók, Janáček, Copland e Ginastera, in bilico costante fra l'omaggio e lo stravolgimento. I brani di quei compositori venivano dilaniati da distorsioni, con le tastiere spinte al limite delle loro possibilità tecniche e le percussioni pestate senza pietà. Ci sono punti in quelle interpretazioni che rasentano il rumore puro, musica fra la più assordante di un decennio - i Settanta - che di musica assordante ne ha generata non poca. È anche da ciò che si capisce come gli Elp non fossero frigidi virtuosi: non avrebbero altrimenti mai accettato di sporcare il timbro dei propri strumenti fino a quel punto, arrivando a sfociare con disinvoltura nelle cacofonie più bizzarre.
Tutto ciò che interessava loro era spingersi oltre e sfidare le convenzioni. Questo tono costantemente sovraeccitato, nevrotico e assetato di stupore, sposato a una complessità narrativa estrema che sfrutta le dinamiche di classica, jazz e sperimentazione elettronica, rende di fatto la loro musica snervante alle orecchie inesperte.I prodromi degli Elp risalgono al 1969, quando i Nice (con Keith Emerson alle tastiere) e i King Crimson (in cui milita come bassista e cantante Greg Lake) si esibiscono insieme in alcuni show.
I Nice hanno già avuto qualche risultato a livello commerciale, ma sono conosciuti più per i loro spettacoli selvaggi, una vetrina per Keith Emerson, considerato un mago delle tastiere e in particolare dell'organo Hammond. I King Crimson sono esplosi letteralmente dal nulla, muovendosi in un paio di mesi dall'oscurità dei club allo status di star. L'album di debutto della band, "In The Court Of The Crimson King", aveva ottenuto un notevole successo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
Keith Emerson (2 novembre 1944, Todmorden, Lancashire) comincia a suonare il piano all'età di quattro anni. Prende le prime lezioni a otto anni e a quattordici già suona nelle sale da ballo e nelle sale di bingo, accompagnando le lezioni di ballo di una sua zia. Debutta a diciannove anni con il cantante britannico di rhythm & blues Gary Farr e i suoi T-Bones, insieme ai quali gira Germania, Francia e Gran Bretagna.
Inizialmente Emerson è influenzato da grandi jazzisti come Fats Walzer, Art Tatum, Wynton Kelly, Oscar Peterson e Jack McDuff, ma presto anche i compositori classici diventano fondamentali per la sua crescita artistica: Johann Sebastian Bach, Aaron Copland, Sergei Rachmaninov e Béla Bartók su tutti. Nel 1965 fonda, con alcuni musicisti in seguito confluiti negli Spooky Tooth, il gruppo The Vips, mentre nell'agosto 1967 entra a far parte della band di supporto del cantante soul statunitense P.P. Arnold e il successivo ottobre anno fonda i Nice. Con questi ultimi per la prima volta le tastiere diventano il punto focale di una rock band togliendo alla chitarra il suo tradizionale ruolo di protagonista.
Greg Lake (1948, Bournemouth, Gran Bretagna) milita nei Gods e, in seguito, nei King Crimson.
I Nice e i King Crimson si incrociano in un paio di occasioni: la prima il 10 agosto 1969 al Jazz & Blues Pop Festival di Plumton e la seconda il 17 ottobre dello stesso anno alla Fairfield Hall di Croydon, in occasione della prima della "Five Bridges Suite" dei Nice.
Riguardo al suo primo incontro con Emerson, Lake racconta: "Eravamo al Fillmore West di San Francisco. I King Crimson stavano cominciando a disintegrarsi, Ian [McDonald] e Michael [Giles] non volevano proseguire il tour e stavano facendo pressioni sul resto della band. Così sul palco, al soundcheck, incontrai Keith: stava suonando qualcosa al piano. Non ricordo cosa fosse, un brano jazz. Mi sono avvicinato e ho suonato con lui".
Emerson conferma: "Greg eseguì una linea di basso mentre io suonavo il piano e zap! Era fatta!". Lake continua: "Così dopo il soundcheck avemmo la consapevolezza che potevamo fare qualcosa di grande insieme. Il suo manager, Tony Stratton-Smith, venne da me e disse 'Possiamo parlare di qualcosa di personale?' - 'Certo', dissi io, poiché non avevo nessuna intenzione di continuare con i Crimson. Keith era preso dalla musica classica, e io anche, in qualche modo. Lui era un tastierista e io un cantante. Era una situazione di bisogno reciproco. Questo fu l'embrione della situazione e poi ovviamente completammo la band con Carl Palmer".
L'ultima esibizione dei King Crimson originali ha luogo il 16 dicembre, dopodiché la band torna in Inghilterra. Hanno però ancora degli obblighi contrattuali e Robert Fripp cerca disperatamente di riformarli, con Greg Lake ancora in prima linea. Ricorda ancora Lake: "Bob voleva che io restassi con la band e che mettessimo insieme una nuova formazione, ma io non ero per niente entusiasta dell'idea. Avevo già in mente di lavorare con Keith Emerson, ma accettai di aiutarlo a terminare il secondo disco".
Un tour programmato per gennaio e febbraio viene cancellato per l'indisponibilità di McDonald e Giles, così Fripp e Lake tornano in studio utilizzando altri musicisti. L'album viene chiamato "In The Wake Of Poseidon" e vede Lake cantare in cinque brani. L'album esce nel marzo del 1970 e poche settimane dopo, il 4 aprile, il New Musical Express pubblica il titolo "Keith Emerson e Greg Lake formano un nuovo gruppo".
Dall'improvvisata jam del Fillmore, Emerson e Lake non avevano più suonato insieme fino alle audizioni per trovare un batterista, nell'aprile del 1970. Vengono ascoltati e presi in considerazione diversi batteristi, tra cui Jon Hiseman dei Colosseum, Ginger Baker dei Cream e Mitch Mitchell della Jimi Hendrix Experience. Quest'ultimo, nel cui potenziale Emerson e Lake credono molto, è seriamente intenzionato ad aggiungere Jimi Hendrix alla formazione, sebbene Emerson voglia restare fedele alla sua idea di band basata su tastiere-basso-batteria.
Lake: "Sì, questa storia ha in effetti un fondo di verità. Mitch Mitchell aveva parlato a Jimi di noi e lui aveva intenzione di esplorare l'idea. Anche dopo che Mitchell era uscito di scena e noi avevamo stabilizzato la formazione con Carl, l'idea di lavorare insieme andò avanti. Volevamo andare insieme in tour tra agosto e settembre del 1970, ma lui morì prima che potessimo farlo."
Il nome di Carl Palmer (1947, Birmingham, Gran Bretagna) viene suggerito dal manager dei Cream, Robert Stigwood. Palmer ha solo 20 anni, ma ha già suonato con gli Atomic Rooster, Arthur Brown e Chris Farlowe.
"Keith e io cominciavamo a disperare di riuscire a trovare il batterista giusto" - continua Lake - "Stavamo per andare in America per sentirne altri, ma appena abbiamo sentito Carl suonare abbiamo subito capito che avevamo trovato il tipo giusto. La chimica era perfetta: gli Elp erano nati".
Le prime sessioni del nuovo gruppo avvengono agli Island Studios di Londra in giugno. Vengono provati due brani dei Nice - "Rondo" (basato sul "Blue Rondo à la Turk" di Dave Brubeck e contenente passaggi di Bach durante l'assolo d'organo) e "America" (rivisitazione dell'omonimo brano dal musical "West Side Story", composto da Leonard Bernstein) - e "21st Century Schizoid Man" dei King Crimson, che però viene subito scartata.
"Take A Pebble" è la prima canzone originale degli Elp. Le registrazioni ufficiali per l'album cominciano nel luglio del 1970 con Lake alla produzione. "I King Crimson avevano autoprodotto i loro album" - afferma Lake - "e io ero quello che aveva la maggiore esperienza in studio. Inoltre, produrre è una cosa che mi è sempre piaciuta".
Benché comunemente si ritenga che il debutto dal vivo della band sia avvenuto al Festival Pop dell'Isola di Wight il 29 agosto, in realtà il loro primo concerto si svolge sei giorni prima alla Plymouth Guildhall, davanti a tremila persone. Lo show che gli Elp portano sul palco a Wight è spettacolare. Emerson suona l'organo Hammond, il piano e il sintetizzatore Moog, ma rompe tutte le regole che vogliono il tastierista immobile dietro il suo strumento e, quasi un moderno Jerry Lee Lewis, colpisce il pubblico col suo pirotecnico virtuosismo scenico (in un preciso rituale, sul palco regolarmente pugnala le proprie tastiere). Benché il loro primo album non sia ancora uscito e il pubblico non abbia familiarità con la loro musica, il riscontro mediatico è enorme.
La band esegue "Rondo" e "America", nonché una prima versione di "Pictures At An Exhibition" (trasformazione rock di "Quadri di un'esposizione", suite di Modest Mussorgsky), che diventerà un loro cavallo di battaglia.
Racconta Emerson: "Volevamo fare impressione. Era un'idea che mi frullava in testa da tempo, fondere un famoso pezzo di musica classica con della potente musica rock'n'roll".
Sebbene qualche critico, come Chris Welch del Melody Maker, abbia parole di elogio per i primi spettacoli del gruppo, non tutti i media sono favorevoli. John Peel, popolare dj radiofonico, definisce la performance all'Isola di Wight "un tragico spreco di tempo, talento ed elettricità". Ciononostante la loro esibizione, in un festival che vede sul palco anche Jimi Hendrix, gli Who, i Free e Sly & the Family Stone, è una occasione irripetibile d'esordio per una band. Ricorda Palmer: "Suonammo come una tempesta. Il pubblico impazzì quando finimmo".
I tre spendono l'intera estate a scrivere e registrare materiale per il loro album d'esordio. Essendo nati da tre band già popolari, gli Elp divengono uno dei primi supergruppi del rock. Dopo avere suonato in giro per l'Europa da settembre in poi, finalmente il 20 novembre, per la Island, esce il loro primo album intitolato semplicemente Emerson Lake & Palmer, che rimane uno dei più popolari album progressive rock di tutti i tempi.
"The Barbarian" è il brano d'apertura, e che quindi ne presenta il sound. Si tratta di un adattamento dell'"Allegro barbaro", celebre composizione di Béla Bartók risalente al 1911. Nato nel 1881, Bartók non era stato immune dal nazionalismo che stava attraversando l'Europa nella sua epoca, e compose così una danza pianistica per rappresentare le origini culturali dell'Ungheria, che all'epoca venivano fatte risalire ad Attila. Questo spiega sia il titolo, sia l'utilizzo della scala pentatonica, tipica dei balli popolari ungheresi, e dei cromatismi, presi in prestito dalla tradizione romena (la Transilvania era all'epoca parte del Regno d'Ungheria). Per rappresentare l'irruenza dei conquistatori unni, lo spartito è disseminato di annotazioni: si parte col "tempo giusto" e ci si imbatte in "pesante più", "subito fortissimo" e un'infinità di accenti nei posti più inaspettati. Bartók stesso non concepiva una forma definitiva del pezzo, di cui mutò la velocità di esecuzione e i dettagli a cui dare enfasi durante le esecuzioni – forse a rappresentare la rottura delle norme simboleggiata dall'arrivo degli unni sulle rive del Danubio.
Gli Elp propongono una rilettura dallo spartito tutto sommato fedele, benché allungato (il finale è una ripresa in accelerazione della prima parte). L'arrangiamento è aperto dal basso, distorto tramite una fuzz box fino a sembrare una chitarra, seguito dalla batteria e da due linee d'organo: una bassa e pulita a dettare un pattern ritmico in sottofondo, una acuta e aggressiva a fare da strumento portante.
A partire da 0'55'' si ha un'alternanza fra la linea d'organo protagonista e il resto dell'arrangiamento, che genera un andirivieni fra pieno e vuoto, fino a che il brano non sfocia nel secondo movimento (1'25''). Qui è il pianoforte a farla da padrone, coadiuvato dalla batteria e dalla virtuosa gestione del rullante di Palmer. L'originale sarebbe a questo punto terminato, ma il trio aggiunge una conclusione in cui si torna all'arrangiamento iniziale, con gli stessi motivi e gli stessi pattern. Un trucco per dare al brano un'idea di ciclicità e compiutezza di cui il pubblico della musica pop rock era probabilmente più bisognoso di quello accademico.
"Take A Pebble" introduce la voce di Lake, autore del brano. Si tratta di una ballata dalla melodia simile a quella di "Moonchild" dei King Crimson (del resto già parto di Lake), ma dalla struttura decisamente più complessa: una prima parte cantata è seguita da una divagazione pianistica (2'25'' - 3'50'') di stampo jazzistico, propulsa da una batteria suonata con le spazzole. Lake imbraccia quindi una chitarra acustica, suonando un interludio folk il cui finale arpeggiato si rifà alla precedente improvvisazione pianistica. A 6'25'' rientra Emerson, riprendendo l'esplorazione dove l'aveva lasciata, sotto la guida di un ostinato con la mano sinistra che ricorda quello del settimo movimento della "Musica ricercata" di György Ligeti, o quantomeno ipotizza come sarebbe potuto suonare nel repertorio di un jazzista. Il ritorno della sezione ritmica, dopo un paio di minuti, porta il brano in un accumulo d'energia, che sfoga nella ripresa della ballata iniziale.
Lo schema della composizione è quasi impossibile da districare. Forse è un A-B-C-D-A, dove però alcune parti sono divisibili a loro volta in sottosezioni: per esempio la C, ossia l'interludio di Lake, che passa da uno strumming danzante in odor di blues da osteria a delicati arpeggi dall'atmosfera celestiale, o la D, che è sì una ripresa della B, ma divisa questa volta fra solo pianoforte e band al completo (e quest'ultima non suona come prima, nonostante l'identico arrangiamento, a causa di alcune pesanti variazioni ritmiche).
È insomma un continuo susseguirsi di parti che si somigliano, ma non combaciano mai: rimandi, sfasamenti, e un generale senso di disorientamento, che trova però una superba quadratura del cerchio quando nel finale torna la ballata da cui tutto ha avuto origine. È così che, nuovamente, al pubblico pop rock viene fornita la luce di un faro con cui orientarsi attraverso la tempesta.
"Knife Edge", il brano più vicino alla canzone rock fino a quel momento, chiude il primo lato del vinile. Il riff portante e la melodia vocale della canzone sono basati sulla "Sinfonietta" di Leoš Janáček. Allo stesso modo di Bartók, anche Janáček fa parte di quella schiera di compositori nazionalisti che miravano alla creazione di un immaginario condiviso e che si esposero in prima persona, nel primo Novecento, per ottenere l'indipendenza del proprio paese: in questo caso, la Cecoslovacchia. Presentata nel 1926, la "Sinfonietta" era una celebrazione della recente liberazione dall'Austria-Ungheria, mediante cinque movimenti dedicati ai luoghi tipici della città di Brno. Gli Elp si appropriano del primo, in origine una fanfara militare con grande dispiego di ottoni e percussioni, basata sul taglia e cuci di piccole cellule melodiche ripetute e variate a gran velocità.
Anche questa volta l'arrangiamento prevede basso, batteria e organo elettrico distorto, sparuti momenti di vuoto inseriti per dare respiro al marasma complessivo (tutti gli strumenti vantano frammenti in cui reggono l'architettura da soli), e una divagazione di organo elettrico – presa in prestito da una "Allemanda" di Bach – che spezza in due la sezione cantata.
Il testo è enigmatico, un po' viaggio nelle nevrosi dell'uomo moderno, un po' riflessione sui concetti di identità e spirituralità, un po' invito alla rivoluzione.
Percorri la stanza, attraversa l'abisso, dà un'occhiata alla pazzia.
Sulle strade della città, solo gli spettri hanno ancora pietà.
Code pazienti per il patibolo, cantano le lodi del santo.
Le nostre macchine alimentano la fornace,
se ci prendono, ci bruceranno.
"The Three Fates", dedicato al mito greco delle tre moire, è il brano maggiormente dominato dalla personalità di Emerson. L'inquietante primo movimento, "Clotho", è suonato sull'organo a canne della City Hall di Newcastle; il secondo, "Lachesis", è un'armoniosa escursione pianistica che sembra fare da ponte fra romanticismo e jazz; il terzo, "Atropos", si apre con una breve ripresa organistica dell'introduzione, per poi scattare in un duetto fra Emerson, al piano, e Palmer, con gran dispiego di percussioni. È la parte più interessante della composizione, una sorta di latin jazz polimetrico, che anticipa intuizioni riprese dalla stessa band, tre anni più tardi, per la seconda impressione di "Karn Evil 9".
Anche "Tank" è una fantasia strumentale divisa in tre parti. Nella prima Emerson imita il clavicembalo barocco con un Clavinet, su un ribollente sfondo jazz-rock, seguito da un assolo di batteria di oltre due minuti, dove ancora una volta Palmer macina colpi sul rullante. È però il finale il momento più avveniristico: mentre Palmer sfoggia un ritmo ostinato e marziale, Emerson si avventa sul Moog, sovraincidendone tre linee. Una fa da scansione ricalcando la batteria, una emette un drone intermittente in sottofondo, e una più acuta divaga melodica in primo piano. È la prima apparizione del Moog in un brano degli Elp e spinge la tastiera dove nessuno aveva mai osato. Musica impensabile per il 1970, che spiega bene come mai Robert Moog in persona deciderà di fornire a Emerson i prototipi di alcune tastiere che immetterà sul mercato negli anni successivi, ritenendolo evidentemente il miglior tester possibile.
Al termine della scaletta compare "Lucky Man", ballata folk antimilitarista fra le più celebri del prog e a tutt'oggi inno del trio. Non avrebbe bisogno di presentazioni: inserita all'ultimo momento per riempire il vinile, vide un grosso lavoro di Lake alle sovraincisioni. Né l'assolo elettrico né le suggestive armonie vocali erano presenti nell'originario bozzetto di batteria e chitarra acustica: Lake li aggiunse per abbellire una veste che percepiva come troppo spoglia. Emerson, che non aveva partecipato all'incisione, arrivò al termine della sessione e suggerì di aggiungere un assolo di Moog. Lake si innamorò del risultato già al primo tentativo, contro il parere dello stesso Emerson, che si sarebbe rifiutato per anni di riprodurlo dal vivo. Oggi è considerato uno degli assoli archetipici dello strumento.
Spinto dalla fama dei membri nelle precedenti band e dal clamore causato dalle prime apparizioni dal vivo come trio, l'album raggiunge il quarto posto nella classifica settimanale nel Regno Unito (Record Retailer), il numero 18 negli Stati Uniti (Billboard) e il 20 in Italia (M&D).Il suo seguito, Tarkus, inizia a venire registrato già nel gennaio del 1971, arrivando nei negozi il successivo giugno (quando la band è appena rientrata dal suo primo tour negli Stati Uniti).
Il primo lato del vinile è occupato per intero dalla suite che intitola il progetto: lunga poco meno di 21 minuti, è uno dei momenti più emblematici del trio. La sua mole è tale che i frammenti sul secondo lato del vinile escono sminuiti dall'inevitabile confronto, motivo per cui l'album, pur notevole, non vanta l'equilibrio del suo predecessore.
Diviso in sette sezioni, con costante alternanza di una strumentale e una cantata, "Tarkus" è un brano estremamente sofisticato.
Si apre con "Eruption": i primi 30 secondi sono occupati da un crescendo corale astratto ottenuto da Lake sovraincidendo più volte la propria voce, poi scatta una cavalcata strumentale dove l'organo Hammond detta il groove in sottofondo, doppiando il basso, ma anche la melodia, suonando una linea più acuta che a tratti rafforza il ritmo e a tratti divaga come solista. Nello strato di fondo si affacciano a ripetizione accordi staccati di pianoforte che sottolineano l'atmosfera minacciosa dell'arrangiamento, mentre è il Moog a prendere controllo nel refrain centrale, generando una sorta di barrito.
"Eruption" si afferma come uno dei momenti più complessi del prog: oltre alle stratificazioni sopra annotate, negli appena 2'20'' sostenuti dalla sezione ritmica il tempo cambia continuamente. In ordine di apparizione, il trio si cimenta nelle seguenti misure: 5/4, 3/4, 4/4, 7/8, 6/8 e 2/4, senza contare accenti creativi, sincopi, sequenze terzinate e quant'altro. C'è più varietà ritmica di quanta solitamente se ne trovi in un intero album di popular music.
"Eruption" fa da guida per l'intera suite: le sue misure ritmiche, i suoi tempi e le sue cellule melodiche torneranno a emergere ciclamente nelle successive sezioni strumentali ("Iconoclast", "Manticore" e "Aquatarkus"), creando continuità fra i tre tratti vocali ("Stones Of Years", "Mass" e "The Battlefield") che sono invece indipendenti l'uno dall'altro, benché tutti suonati principalmente in 4/4. Così, le melodie intonate da Lake, seguendo strutture canoniche con strofa e ritornello, sono incastonate in un fluire di torrenziali assoli di tastiere, rullate tumultuose, effetti sonori esasperati (l'eco applicato all'Hammond, il basso distorto, il flanger sulla batteria) e ulteriori cambi di misura ("Iconoclast" alterna 5/8 e 2/4, "Manticore" è in 9/8 con interpolazioni di 12/8, la coda di "Aquatarkus" si muove fra 4/4 e 6/4).
Il messaggio trasmesso dalla suite non è meno stratificato della musica: il titolo proviene dalla copertina, opera del designer William Neal, che mostra un enorme armadillo cingolato e armato di cannone. La band non aveva ancora iniziato a lavorare al brano quando scelse il disegno e lo usò, anzi, come fonte di ispirazione.
L'origine del nome non è chiara: stando a un'intervista di Emerson per "Classic Rock Presents Prog", nel 2011, venne ispirato da Tarka la lontra (protagonista dell'omonimo capolavoro della letteratura per ragazzi, pubblicato da Henry Williamson nel 1927), mentre secondo quanto scritto da Neal nel proprio sito ufficiale, nel 2009, si tratta di una crasi delle parole "tartarus" (il tartaro infernale parte della mitologia greca, poi citato anche nel "Nuovo testamento", durante la "Seconda lettera di Pietro") e "carcass".
Qualunque sia la verità, il disegno di Neal spinse Emerson a mettere la composizione su spartito in appena sei giorni, fatta eccezione per "The Battlefield", aggiunta in seguito da Lake.
Seguendo i disegni di Neal all'interno della confezione, e in parte i titoli delle sottosezioni, si può ricostruire la storia del mostro: nato da un uovo schiuso a causa di un'eruzione vulcanica, Tarkus combatte una serie di altre creature di fantasia. Prima sconfigge una sorta di dinosauro aracnoide con dei serbatoi sulla schiena, poi uno pteranodonte corazzato, poi un ibrido con testa lanciarazzi, zampe da cavalletta e coda da rettile. Infine affronta una manticora, che riesce però a ferirlo in un occhio. Nell'ultima immagine Tarkus si tuffa in un fiume per sfuggire al nemico, da cui il titolo di "Aquatarkus", conclusione della suite.
A ogni modo, il testo non cita niente di quanto detto finora: Lake ha preferito infatti fornire un proprio significato alla storia. I combattimenti fra i mostri non vanno intesi alla lettera, ma come metafore sulla guerra, intesa come una serie infinita di scontri, senza soluzione di continuità (in effetti, la storia di Tarkus non ha una trama, è solo una lotta dopo l'altra).
In "Stone Of Years" si susseguono così una serie di domande simboliche, con un finale indirizzato sulla coesistenza con realtà estranee alla propria ("Quando parli, è la tua voce quella che senti? Le tue orecchie sono otturate?"), mentre "Mass" mette all'indice i potenti, in quanto diretti responsabili dei conflitti ("Il predicatore disse una preghiera: che si salvasse ogni singolo capello sulla tua testa. È morto. Il ministro dell'odio è arrivato troppo tardi per essere risparmiato. A chi è importato? Il tessitore [cade] nella rete che lui stesso ha fatto") e "The Battlefield" riflette sulla futilità del tutto ("Pulisci il campo di battaglia e fammi vedere tutti i profitti della nostra vittoria. Tu parli di libertà, i bambini affamati muoiono").
La realizzazione di "Tarkus" spinge la band al limite: Lake non apprezza la musica e fatica a seguire i continui cambi di tempo, Emerson non è sicuro sui testi così apertamente militanti, ma alla fine entrambi accettano le creazioni altrui. Palmer fa da collante, entusiasta di poter sperimentare a livello ritmico.
Sul secondo lato, come accennato, si susseguono brani in forma di vignetta: "Jeremy Bender" (con pianoforte ragtime), "Bitches Crystal" (misto di jazz-rock e boogie-woogie), "The Only Way" (con fughe per organo da chiesa riprese da Bach), "Infinite Space (Conclusion)" (jam impostata su un groove pianistico sincopato di stampo jazz), "A Time And A Space" (il momento più vicino all'hard rock della scaletta) e "Are You Ready Eddy" (divertissement rock'n'roll ricalcato su "The Girl Can't Help It" di Little Richard). Il titolo del brano di chiusura si riferisce al tecnico del suono, Eddie Offord, in quel periodo anche produttore degli Yes.
Tarkus bissa il successo del debutto, raggiungendo il numero 1 nel Regno Unito, il numero 9 negli Stati Uniti e il numero 1 in Italia (tre settimane in vetta alla classifica di Tv, Sorrisi e Canzoni).
Il gruppo inizia subito a lavorare per il nuovo disco, che dovrebbe essere una registrazione dal vivo di Pictures At An Exhibition realizzata alla Newcastle City Hall il 26 marzo 1971. Tuttavia l'etichetta americana della band, l'Atlantic, si rifiuta di pubblicarlo; il manager Stewart Young ricorda: "L'etichetta disse alla band che quel disco era - letteralmente - una massa di merda e che avrebbe distrutto la loro carriera. Noi la pensavamo diversamente e lo pubblicammo in Europa, dove ebbe un enorme successo. In America ne vendettero 50mila copie di importazione, così un giorno mi telefonò l'Atlantic dicendo che aveva intenzione di pubblicare l'album. Io dissi loro di andare all'inferno. Tre giorni dopo il presidente della compagnia volò a Londra per cercare di farci cambiare idea, e così [un paio di mesi dopo] l'album uscì anche negli States".
Non è in effetti fra le cose migliori della band e la scaletta appare un po' sconnessa, in particolare per l'inserimento di brani, a tratti pure brillanti, che non hanno niente a che fare con l'opera originaria, come la ballata acustica "The Sage", la jam "Blues Variations" e la conclusiva "Nutrocker", versione rock dello "Schiaccianoci" di Tchaikovsky, nell'arrangiamento già proposto da Kim Fowley nel 1962.
L'album raggiunge comunque il numero 3 nel Regno Unito, il 10 negli Stati Uniti, il 2 in Italia e in Giappone.
La band intraprende un tour che parte dall'Inghilterra e attraversa l'oceano: gli Elp suonano in Stati Uniti, Canada e persino al "Mar Y Sol Festival" di Porto Rico, davanti a 30mila persone. In questi concerti si viene delineando l'imponente mole di tastiere utilizzate sul palco da Emerson: due organi Hammond, un Moog modulare, un piano a coda Bluthner e un Clavinet; Palmer non è da meno e il suo set di percussioni - comprendente timpani, xilofoni e un gong, posizionati su una gigantesca base mobile - è valutato in circa 25mila sterline, per l'epoca una cifra davvero ragguardevole.
Trilogy esce nel giugno del 1972: è il quarto album in un anno e sette mesi, a testimonianza di un ritmo di mercato già un lustro più tardi impossibile per una band di successo.
Il disco segna un passaggio fondamentale a livello produttivo, trattandosi di uno dei primi mai registrati su 24 tracce. Questo comporta un avanzamento notevole in termini di pulizia e profondità del suono: Trilogy risulta nettamente più moderno di Tarkus (registrato su 16 tracce), nonostante fra i due corra appena un anno, a ulteriore riprova di quanto in quel momento storico le continue innovazioni tecnologiche facessero muovere freneticamente l'industria musicale. Lake lo indicherà in seguito come l'album che più gli è piaciuto registrare, proprio perché – grazie all'elevato numero di sovraincisioni – è quello che più di tutti ha reso centrale il suo ruolo di produttore.
L'iniziale "The Endless Enigma" mette subito in luce l'approccio creativo nell'uso dello studio: si apre con un battito cardiaco, imitato da Lake suonando il basso in palm muting, a cui fa seguito il fischio di un sintetizzatore, un tappeto di congas e stacchi di pianoforte. Si inseriscono poi un ostinato di basso, che fa da apripista per l'assolo di organo Hammond, e infine la batteria. Per appena otto secondi, da 1'39'' a 1'47'', compare il suono di una zurna, fiato d'origine mediorientale, suonato per l'occasione da Emerson. Dopo questa breve ma vistosa irruzione lo strumento non fa più ritorno, a conferma dello spirito ludico del musicista. Quando entra la voce di Lake il brano si trasforma in un lamento per la fine di una relazione sentimentale, tutto giocato fra i vuoti e i pieni dell'arrangiamento. Seguono l'intermezzo "Fugue", come da titolo una fuga pianistica, con accompagnamento di basso e tintinnii di triangolo, e una breve ripresa di "The Endless Enigma", con tanto di campane tubolari e sintetizzatori che imitano una sezione d'ottoni.
"From The Beginning", scritta da Lake all'epoca dei King Crimson ma rimasta nel cassetto, è il brano scelto come singolo di lancio negli Stati Uniti. Ballata sentimentale con la voce resa eterea e distante dall'eco, è suonata quasi per intero dall'autore (chitarra acustica, basso, assolo di chitarra elettrica nella parte centrale), con Palmer che accompagna alle congas ed Emerson che entra solo nel finale, per un assolo di Minimoog. L'idea di fondo è simile a quella di "Lucky Man", ma l'atmosfera meno epica e decisamente più intimista, in particolare per l'approccio ritmico più delicato e la mancanza di cori.
A "The Sheriff", con la sua atmosfera da western semiserio, fa seguito "Hoedown", versione riarrangiata di "Hoe-Down", movimento di un celebre balletto di Aaron Copland, "Rodeo", presentato nel 1942. Il compositore statunitense, ancora in salute all'epoca delle sessioni di "Trilogy", diede il suo benestare per la rivisitazione. Il brano segue fedelmente la melodia dell'originale (fatta eccezione per una breve citazione del traditional americano "Zip Coon", risalente al 1834) e viene utilizzato da Emerson per sfoggiare una grande varietà timbrica sia con l'Hammond, sia con i sintetizzatori. Sarebbe diventato un cavallo di battaglia dal vivo, suonato a una velocità superiore a quella già notevole della versione in studio.
La title track, in apertura del secondo lato, si intitola così essendo composta da tre sezioni. La prima è una delicata ballata per piano e voce che sfocia in una coda di virtuosismi, i quali vengono usati come aggancio per l'entrata della seconda, interamente strumentale, con la band al completo: un ritmo in 5/8 propulso da un riff all'unisono di basso, piano e sintetizzatore, mentre la batteria marca il tempo con un incalzante doppio colpo sul rullante e un'altra linea di sintetizzatore si produce in virtuosismi. La terza insiste con un andamento muscolare, questa volta in 6/8, segnato da un basso distorto ben in evidenza, un campanaccio, assoli di Moog filtrati con l'eco e morbidi tappeti di Hammond a introdurre i tratti vocali: Lake intona infatti tre brevi strofe, sospese fra nostalgia e augurio per il futuro, che fanno da corollario alla relazione andata in frantumi narrata nella prima parte.
Parleremo dei posti in cui siamo andati
e dei tempi che abbiamo passato liberi e senza un soldo.
Vedrai la giornata in modo diverso
e ti sveglierai con la luce del sole che si riversa proprio dove giaci.
Amerai di nuovo, non so quando,
ma se lo farai so che alla fine sarai felice.
"Living Sin", quasi un hard rock alla Atomic Rooster non fosse per l'assenza di chitarre, serve a Lake per mostrare il range della sua voce, che scende in basso fino a toccare un Re2 nella parte iniziale, per poi impennare poco dopo fino a un La4 (nel corso della carriera ha invero toccato punte più estreme in ambo le direzioni, ma è il contrasto del passaggio repentino fra i due registri a colpire).
In chiusura c'è "Abaddon's Bolero", un bolero marziale in crescendo dalla struttura ispirata a quello di Ravel, benché diverso per cellule melodiche e ritmo (in 4/4 anziché in 3/4).
Trilogy diventa il disco più venduto del trio, raggiungendo il numero 2 nel Regno Unito, il numero 5 negli Stati Uniti, il numero 1 in Italia (cinque settimane in vetta alla graduatoria di Sorrisi) e il numero 4 in Giappone, dove gli Elp si esibiscono per la prima volta proprio quell'anno.
Alla fine del '72 il trio fonda una propria etichetta, la Manticore, nata per avere un maggiore controllo artistico sulle proprie creazioni. La Manticore si occuperà anche della pubblicazione di altri artisti, tra cui Pete Sinfield, gli Stray Dog e i nostrani Pfm e Banco.Brain Salad Surgery raggiunge i negozi nel dicembre del 1973, a quasi un anno e mezzo di distanza da Trilogy, uno iato considerevole vista la cadenza tenuta fino a quel momento. I tempi si allungano sia a causa della nascita dell'etichetta personale della band, la Manticore, in seguito allo scioglimento del contratto con la Island, sia perché la band si adopera al massimo durante le sessioni, acquistando una vasta gamma di strumenti elettronici e setacciando a fondo le nuove risorse tecnologiche dello studio di registrazione. Solo per la realizzazione di "Jerusalem", 2'45" di durata, se ne vanno 54 ore di lavoro.
Poesia pubblicata nel 1808 dal letterato e pittore visionario William Blake, musicata un secolo più tardi da Hubert Parry, "Jerusalem" viene scelta per il suo potere evocativo, essendo col tempo diventata una delle canzoni più amate d'Inghilterra, sia come inno religioso, sia come vessillo patriottico. L'idea è di pubblicarla come singolo, per conquistare un mercato fino a quel momento poco frequentato dal trio, ossia quello dei 45 giri (negli Stati Uniti ne avevano pubblicati alcuni, senza riscontri esaltanti, ma in quello britannico mai). I media tuttavia si mostrano ostili: la rilettura viene considerata un oltraggio, la Bbc la inserisce nella lista dei pezzi proibiti e le altre emittenti la seguono a ruota.
Eppure non c'è davvero nulla di irriverente: il trio tenta soltanto di renderla quanto più maestosa possibile, con Palmer che fa ricorso ai timpani nelle parti in cui i colpi devono risultare più solenni, Emerson che sovrappone due linee di organo Hammond per dare più corpo al suono, e infine Lake che sfoggia una delle sue interpretazioni più intense, lanciando la sua voce ariosa e potente come una cavalcata sull'arrangiamento al contempo chiesastico e futuristico dei compagni.
Oltre a rimanere a tutt'oggi la miglior versione del brano, si tratta di un momento importante nella storia della musica elettronica. Sfruttando il prototipo di un Moog Apollo per arricchire il tappeto d'organo elettrico, viene di fatto realizzata la prima incisione contenente il suono di un sintetizzatore polifonico (a meno di non considerare l'antidiluviano Novachord, tutt'altra epoca, funzionamento e scopo).
La spinta avveniristica è ancora più travolgente in "Toccata". Emerson è affascinato dal primo concerto per piano del compositore argentino Alberto Ginastera e decide di arrangiarne il quarto movimento in chiave elettronica. Fa così visita a Ginastera portando con sé il nastro registrato, in modo da evitare eventuali beghe legali. Al termine dell'ascolto il compositore si dice sbalordito. Convinto che nessuno abbia mai reso la sua musica in maniera così vivida, concede alla band il proprio benestare.
La "Toccata" in versione Elp è una valanga di suoni che sembrano provenire da un temibile futuro distopico. Si apre e chiude mantenendo l'aggressività ritmica alla Stravinsky come già la versione orchestrale, mentre nel mezzo Palmer si destreggia fra timpani, campane tubolari e sibili sintetici intermittenti, ottenuti mediante un set di percussioni elettroniche (altra innovazione vistosa: prima di lui c'era arrivato soltanto Graeme Edge, batterista dei Moody Blues, in "Procession").
Il primo inedito della scaletta è "Still... You Turn Me On", firmata da Lake. È una ballata romantica, con la voce di Lake che ruba la scena a tal punto che quasi non si nota la raffinatezza dell'arrangiamento, fra rivoli di synth e chitarre effettate, ma anche tenui melodie di fisarmonica e clavicembalo.
È impressionante il cambio di tono di Lake in "Benny The Bouncer". Fino al brano precedente angelo dalla voce cristallina, diventa qui un marcio ubriacone da saloon, con un timbro ruvido come carta vetrata. Appena sotto Emerson si scatena in uno dei suoi ragtime più complessi, mentre Palmer lo segue suonando la batteria con le spazzole. È l'ultimo attimo di spensieratezza prima del tour de force.
Divisa in tre movimenti, indicati come impressions nella scaletta, "Karn Evil 9" è il documento definitivo degli Elp. Tutta la loro arte, tutti i loro valori, o meglio tutte le loro sfide sistematiche ai valori dominanti, riassunti in un mastodonte di ventinove minuti e mezzo. Composizione di una difficoltà estrema, iniziava in origine al termine del lato A per poi occupare l'intera seconda facciata.
La prima impressione è quella più rock, in pratica una cavalcata di tredici minuti, senza un attimo di respiro. Emerson si alterna fra Hammond e Moog, con assoli e riff a getto continuo, mentre Palmer sfinisce piatti e rullante con ritmi serrati e tumultuosi, all'occorrenza dal sapore marziale.
Stupisce l'alternanza di pieni e vuoti: ci sono diversi tratti in cui l'arrangiamento si rigonfia, ricorrendo anche a un pianoforte e a un prototipo del Taurus I, basso sintetico a pedali che conferisce all'insieme una sorprendente profondità. Quando però l'architettura non potrebbe essere più fitta, defluisce all'improvviso lasciando solo un rivolo di synth, o la batteria a rullare in libertà. Tutte queste manovre avvengono a più riprese nello spazio di pochi attimi e riescono nell'intento di dare ulteriore colore alla melodia vocale di Lake, peraltro già efficace di suo.
La seconda impressione è un concerto pianistico di Emerson, con Palmer che impugna nuovamente le spazzole. Più o meno a 14'30" dall'inizio della suite (1'10" contando solo la parte in questione) si rintraccia un'esaltante variazione dal sapore caraibico sul tema di "St. Thomas" di Sonny Rollins, suonata al Minimoog. Interessante anche la digressione appena successiva, dove l'atmosfera si fa lugubre e il basso di Lake scandisce accordi che, se ascoltati con attenzione, riescono a evocare le atmosfere gotiche di certi cartoni animati dell'anteguerra.
Anche la terza impressione ha un sintetizzatore prototipo fornito alla band da Robert Moog, il Lyra, che non sarebbe mai stato messo in commercio, ma che qui fa la sua figura con un suono di tromba capace di donare al brano un sentore al contempo medievale e fantascientifico. Dopo un lungo assolo di Hammond si raggiunge il culmine, con Lake che intona un inno alternandosi alla voce di Emerson processata elettronicamente. L'epopea termina con ventiquattro note di Moog mandate in loop, in accelerazione costante, come a mimare un computer in tilt.
È qui utile fare un passo indietro e rileggere la suite prendendo in considerazione l'altra faccia della medaglia, il testo, scritto da Lake insieme a Peter Sinfield, all'epoca da poco fuoriuscito dai King Crimson. A meno che non si tratti delle ballate di Lake, viene spontaneo non soffermarsi sui testi quando si tratta degli Elp. In "Karn Evil 9" ciò può però limitare la fruizione della musica, le cui sonorità sono dipinte piuttosto bene nelle parole che la accompagnano.
Nella prima impressione si scopre un mondo futuro in cui il genere umano, sopraffatto dal proprio ego, è stato risucchiato in un vortice di crudeltà e violenze. Quello descritto è uno show dalle sembianze carnevalesche all'interno del quale creature deformi vengono esposte al pubblico ludibrio e ogni sorta di tortura è sbattuta in faccia allo spettatore gaudente, qualcosa a metà fra l'"Arancia meccanica" di Anthony Burgess e uno spettacolo del Grand Guignol. L'ambientazione è sì inquietante, ma il gusto grottesco di Lake la tinge di una comicità nera e paradossale, che sfocia nell'elenco di tutte le specialità di quel circo della perversione, dalla regina degli zingari unta di vaselina e pronta per la ghigliottina, alle sette vergini in compagnia di un mulo (ci vengono per fortuna risparmiati i dettagli).
Uno dei versi più significativi è "Lì dietro alla teca c'è un vero filo d'erba, fate attenzione mentre passate, proseguite, proseguite". Il significato è chiaro: quello esposto è l'ultimo filo d'erba rimasto, che diventa così materiale da mostra per gli astanti, nonché evidenza, per l'ascoltatore, degli effetti di una razza umana senza freni sul proprio pianeta.
Nella terza impressione l'uomo finisce vittima delle proprie creazioni e viene schiavizzato dai computer e dalle macchine che egli stesso ha costruito, tema ricorrente nella fantascienza d'ogni tempo. Ecco spiegato il senso del duello finale fra Lake-umano e Emerson-computer, e del synth impazzito che chiude l'album.
Brain Salad Surgery ottiene ancora una volta un notevole successo commerciale, piazzandosi al numero 2 nel Regno Unito, bloccato soltanto dagli Yes di "Tales From Topographic Oceans", all'apice della rivalità imbastita dalla stampa britannica, Melody Maker in particolare. In realtà le due band sono in ottimi rapporti, ma i giornali si devono pur vendere. L'album raggiunge inoltre il numero 11 negli Stati Uniti, rimanendo in classifica per quasi un anno, e il numero 7 in Italia.
Tutto ciò nonostante le numerose censure subite. Oltre a quella di "Jerusalem" e della versione radiofonica di "Karn Evil 9", a cui non viene ovviamente perdonata la lunga serie di efferatezze, l'album rischia anche di ritrovarsi senza copertina. Quello che è uno degli artwork più belli e celebri del rock è infatti frutto di un compromesso. Durante un breve tour in Svizzera, il trio era stato invitato a Zurigo dall'artista H.R. Giger, che aveva modificato la propria abitazione rendendola una sorta di cattedrale cyberpunk (il termine era ancora lungi dal venire coniato, ma l'estetica non lasciava adito a dubbi). La band rimase affascinata da quel luogo e chiese a Giger di curare la veste grafica dell'album che era in lavorazione.
Il pittore creò così due pannelli da sovrapporre. Nel primo un meccanismo industriale è stato integrato a un teschio, appena sotto al quale si apre uno spazio circolare vuoto da cui traspare parte del volto di una donna. Sollevando il primo pannello, il volto appare nella sua interezza, mostrando profonde cicatrici e capelli che sembrano un antipasto di "Alien", la più famosa delle creazioni di Giger. Quello che molti non sanno è che appena sotto il mento della donna compariva in origine un fallo, che venne omesso con riluttanza quando la band trovò difficoltà a far stampare la copertina.
Benché edulcorata, l'opera di Giger rimane estremamente potente e cattura alla perfezione il senso di tensione che caratterizza i punti nevralgici dell'album. A partire dai versi scritti centosettanta anni prima da William Blake, dove l'Inghilterra della rivoluzione industriale appariva come un inferno tecnologico.
Per promuoverlo, i tre girano gli Usa in tour dal dicembre del 1973 al febbraio del 1974. Ormai l'aspetto scenico dei loro concerti ha assunto proporzioni esagerate: viaggiano con 25 roadies e 35 tonnellate di equipaggiamento, tra cui un avanzato sistema di diffusione sonora quadrifonico, una batteria girevole, un grand piano che viene sollevato a dieci metri d'altezza e volteggia da una parte all'altra del palco e uno speciale sistema di luci con sofisticate apparecchiature laser. Il 6 aprile eseguono il più grande show della loro carriera al California Jam Festival (in cartellone insieme ai Deep Purple), davanti a 175mila persone paganti. Alla fine dello stesso mese tornano in Inghilterra dove fanno il tutto esaurito alla Wembley Arena.
In agosto, da tutto il materiale registrato in concerto, viene realizzato il monumentale triplo album Welcome Back My Friends To The Show That Never Ends... Ladies And Gentlemen, Emerson, Lake & Palmer, che raggiunge il numero 6 nel Regno Unito, il 4 negli Stati Uniti e il 20 in Italia. Vi trovano spazio i più grandi classici del repertorio, in versioni concitate che mostrano le loro capacità melodiche e il loro scintillante virtuosismo all'apice dell'espressività. Resta a tutt'oggi uno dei pochi album tripli ad aver raggiunto la top 5 di Billboard.
È tempo per i membri del gruppo di prendersi una pausa, durante la quale ognuno lavora a progetti in proprio.
Emerson comincia a comporre un ambizioso concerto per piano; Lake scrive insieme a Pete Sinfield alcune canzoni acustiche da registrarsi con una grande orchestra; Palmer si dedica alla creazione di un concerto per percussioni. Parte di questo materiale finirà per confluire in Works Volume 1.
Nel novembre 1975 esce il primo singolo di Lake come solista, "I Believe In Father Christmas", splendida ballata natalizia che tocca il numero 2 in Uk e a cui su OndaRock è stato dedicato un apposito articolo, a cui si rimanda ("Juke-Box: Greg Lake - I Believe In Father Christmas").
Nel marzo 1976 tocca invece a Emerson, con lo strumentale "Honky Tonk Train Blues": rilettura dello storico boogie-woogie di Meade Lux Lewis, risalente al 1929, si ferma lì per lì al numero 21 nella classifica dei 45 giri britannica, ma a fine anno arriva anche in Italia, dove spinta dalla pubblicità derivata dal programma televisivo "Odeon", che la sceglie come sigla, tocca il numero 2.
Infine, a due anni dalla pubblicazione dell'album dal vivo, la band ricomincia a registrare musica: l'ambizioso doppio album Works Volume 1 esce per la Atlantic (la Manticore nel frattempo è stata messa in pausa, per quanto continui a ristampare le opere già pubblicate), presentando una facciata per ognuno dei membri e una collettiva.
Ricorda Lake: "Questo ci permise di suonare con altri musicisti e creare della musica solista, e al tempo stesso lavorare a nuovi brani con gli Elp".
Il lato di Emerson consiste nel "Piano Concerto No. 1" (particolarmente amato dal proprio autore, ma in cui forse la mancanza di Hammond e Moog si avverte più di quanto dovrebbe), quello di Lake contiene le canzoni acustiche con accompagnamento orchestrale a cui si è già accennato (spicca la solenne ballata "C'est la vie", con tanto fisarmonica e coro), mentre Palmer si divide fra riletture del repertorio classico (Prokofiev, Bach) e jam jazz-rock col supporto di una big band, fra le quali un'eccellente "La Nights", dal suono urbano e nevrotico (grazie anche alla chitarra elettrica e all'improvvisazione vocale di Joe Walsh).
L'apice dell'opera si trova però sul lato in comune: i tre tornano a rileggere il repertorio di Aaron Copland, scegliendo questa volta "Fanfare For The Common Man", che trasformano in una cavalcata tecnologica di nove minuti (anche a questo brano su OndaRock è stato dedicato un articolo a parte: "Juke-Box: Emerson Lake & Palmer - Fanfare For The Common Man"). Ridotta a tre minuti per la pubblicazione su 45 giri, raggiunge il numero 2 della classifica britannica. L'album si piazza invece al numero 9 in patria, al 12 negli Stati Uniti e al 9 in Italia.
Esaudendo un sogno cullato per tutta la vita da Emerson, il nuovo tour della band è accompagnato da un'orchestra sinfonica e da un coro classico per un totale di 75 musicisti scelti tra 1.500 audizioni effettuate in sei città in giro per il mondo. Alla fine l'entourage del tour ammonterà a più di 130 persone, per un costo giornaliero di 20mila dollari. Dopo solo due settimane dall'inizio del tour, la situazione finanziaria è tragicamente in passivo: a malincuore orchestra e coro vengono rimandati a casa e la band prosegue il tour come trio.
Gli Elp sono in tournée dall'autunno del 1977 al 6 marzo del 1978, quando si tiene lo show finale a New Haven, Connecticut. Dopo il tour esce Works Volume 2, che contiene un inedito risalente al 1973 (l'iniziale "Tiger In A Spotlight"), tre B-side che non avevano finora trovato spazio su 33 giri, sei scarti dalle sessioni del Volume 1, e i due brani pubblicati nel 1975-76 ("Honky Tonk Train Blues" nella versione del 45 giri, "I Believe In Father Christmas" in un'inedita versione senza orchestra). L'album si rivela però il loro meno venduto fino a quel momento (numero 20 nel Regno Unito, 37 negli Stati Uniti e 41 in Italia), sancendo la prematura fine degli Elp.Nel 1978 i tre vorrebbero prendersi una lunga pausa per dedicarsi ai rispettivi progetti solisti, ma la Atlantic Records esige che rispettino il contratto e pubblichino un nuovo album di studio. Il trio si reca ai Compass Point Studios alle Bahamas e registra Love Beach, una disomogenea e poco ispirata raccolta di canzoni pubblicata a metà del 1979.
Ricorda Lake: "Dopo 'Love Beach' gli Elp non erano più un gruppo con la voglia di far musica, ma una band che ne aveva avuto abbastanza e che avrebbe voluto fermarsi, ma che non poteva farlo per beghe contrattuali". Emerson conferma: "Eravamo oppressi da preoccupazioni finanziarie quando abbiamo realizzato quell'album. Non credo che i nostri cuori fossero lì".
Gli Elp annunciano il loro scioglimento ufficiale nel dicembre del 1979. Poco dopo escono l'album dal vivo In Concert (1979), registrato all'Olympic Stadium di Montreal il 26 agosto 1977, davanti a 74mila paganti, e la raccolta The Best Of EL&P (1980).
Subito i tre musicisti si dedicano a progetti in proprio: Emerson realizza la colonna sonora del film "Inferno" di Dario Argento; Lake scrive canzoni per un suo album in proprio e Palmer forma i Pm, effimero progetto jazz-rock.
Durante gli anni Ottanta le loro carriere incontreranno vari gradi di successo artistico e commerciale. Emerson continua con le colonne sonore, Lake forma una band con l'ex-Thin Lizzy Gary Moore e realizza due album solisti, "Greg Lake" (1981) e "Manoeuvres" (1983). Palmer entra negli Asia, un supergruppo al crocevia fra prog e arena rock, con Steve Howe (Yes), John Wetton (King Crimson, Uriah Heep, U.K.) e Geoff Downes (Buggles, Yes): il loro omonimo album di debutto rimane al numero 1 negli Stati Uniti per nove settimane.
Nell'estate del 1985 Emerson riceve una telefonata da Jim Lewis, vicepresidente della Polydor, riguardo una possibile reunion degli Elp. Emerson e Lake si incontrano a Londra dopo diversi anni per discutere il progetto; contattano Palmer che però è troppo impegnato con gli Asia e si dichiara indisponibile.
Dopo molte audizioni, Emerson pensa al suo vecchio amico Cozy Powell (1947, Cirencester, Gran Bretagna), già parte di Whitesnake, Jeff Beck Group e Rainbow. Dopo avere suonato insieme, i tre decidono di formare un nuovo trio, Emerson Lake & Powell, ossia ancora Elp.
La band pubblica il primo album nel 1986 e parte per un tour americano dall'agosto all'ottobre dello stesso anno. Nonostante il buon successo (il disco tocca il numero 23 negli Stati Uniti), dovuto soprattutto al pubblico affezionato al vecchio rock progressivo, alla fine del tour la band si scioglie.
L'anno seguente, nel 1987, Emerson e Palmer (che ha lasciato gli Asia) si uniscono al chitarrista californiano Robert Barry e formano una band chiamata 3, con cui registrano l'album To The Power Of Three. Nella primavera del 1988 il gruppo si esibisce in tour in America in teatri e club, ma il disco vende meno del previsto e decreta la fine del progetto.
Nel 1991 Emerson, Lake e Palmer vengono contattati per tornare insieme per realizzare la colonna sonora di un film. La pellicola non verrà mai realizzata, ma la band, cavalcando l'onda del revival fiorito all'inizio degli anni Novanta attorno al rock progressivo, farà uscire un nuovo album come Elp, Black Moon, prodotto da Mark Mancina, grande fan del gruppo nonché stimato compositore e musicista. È un lavoro dignitoso, benché forse superfluo, che riecheggia il sound progressive degli anni Settanta: grandi fraseggi pianistici, vertiginose reinterpretazioni di classici ("Romeo e Giulietta" di Prokofiev), sontuose ballate firmate da Lake.
Nel 1992 la band torna in tour con un'estenuante serie di concerti che dura nove mesi, fra Stati Uniti, Europa, Sud America - da cui viene tratto il grintoso ma ridondante album dal vivo Live At The Royal Albert Hall (gennaio 1993) - e nel 1993 si reca a Los Angeles per un nuovo disco. Emerson, tuttavia, comincia ad avere dei problemi coi nervi della mano destra, che lo costringeranno a sottoporsi a un intervento. Il gruppo deve realizzare così il nuovo album, In The Hot Seat, separatamente, per poi assemblarlo in studio. L'album uscirà nel 1994 nel disinteresse generale, eccetto che per lo zoccolo duro dei fan.
I problemi di salute del tastierista obbligano la band a sospendere momentaneamente la attività, per poi tornare in concerto nel 1996 in un trionfale tour americano insieme ai vecchi amici Jethro Tull. Si tratta del canto del cigno per una band che ha di fatto aperto nuove porte al rock.
Nel 2016 vengono a mancare sia Keith Emerson, che si suicida l'11 marzo, sia Greg Lake, il 7 dicembre, a causa di un tumore al pancres. In quelle occasioni su OndaRock sono stati pubblicati due speciali che approfondiscono il potere iconico delle rispettive figure, la troppo spesso sottovalutata influenza che hanno esercitato sui musicisti a loro successivi, oltre a curiosità di vario tipo. Si rimanda alla lettura di entrambi, da ritenersi complementare a questa monografia: "Potere di un'icona: cosa significava Keith Emerson?" e "Potere di un'icona: cosa significava Greg Lake?".
Nel 2021, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’inizio della collaborazione fra Emerson, Lake e Palmer, la Bmg assembla Out Of This World: Live (1970-1997), un box contenente le registrazioni di ben cinque concerti tenuti in diversi momenti della loro carriera come trio. Cinque doppi vinili (oppure sette cd) in parte mai editi prima, con audio restaurato di alta qualità, nuove grafiche e un photobook su carta lucida con rare immagini della band. Una full immersion nella maestosità barocca di una formazione che ha sempre fatto del tecnicismo il proprio punto di forza, ma che sapeva stemperare la magniloquenza delle trame e l’inappuntabile individualismo dei singoli in frangenti di graffiante rock corale.
Autori: Federico Romagnoli (introduzione; analisi degli album dal 1970 al 1977), David Pezzi (biografia; analisi degli album dal 1978 in poi).
Recensione di "Out Of This World: Live 1970-1997" a cura di Claudio Lancia.
EMERSON LAKE & PALMER | ||
Emerson Lake & Palmer (Island, 1970) | ||
Tarkus (Island, 1971) | ||
Pictures At An Exhibition (live, Island, 1971) | ||
Trilogy (Island, 1972) | ||
Brain Salad Surgery (Manticore, 1973) | ||
Welcome Back My Friends To The Show That Never Ends (live, Manticore, 1974) | ||
Works Vol. 1 (Atlantic, 1977) | ||
Works Vol. 2 (Atlantic, 1977) | ||
Love Beach (Atlantic, 1978) | ||
In Concert (live, Atlantic, 1979) | ||
Black Moon (Victory, 1991) | ||
Live At The Royal Albert Hall (live, Victory, 1993) | ||
The Return Of The Manticore (box set, Rhino, 1993) | ||
In The Hot Seat (Victory, 1993) | ||
Then And Now (live, Eagle, 1998) | ||
Out Of This World: Live 1970-1997 (box set live, Bmg, 2021) | ||
EMERSON, LAKE & POWELL | ||
Emerson, Lake & Powell (Polydor, 1986) | ||
3 [aka EMERSON, BERRY & PALMER] | ||
...To The Power Of Three (Geffen, 1988) | ||
KEITH EMERSON & GREG LAKE | ||
Live From Manticore Hall (Manticore, 2014) |