Dieci Piccoli Italiani

N.159 - Gennaio 2025

di AA.VV.

01_artificialb_600ARTIFICIAL BRIDE - FIGLIA DEI SUOI TEMPI (Fango Radio, 2024)
gothic

Sara Cappai dei Diverting Duo e Memory Of Sho debutta solista a nome Artificial Bride con la cassetta “Figlia dei suoi tempi”, nel lato A una sorta di (non dichiarato) medley di 30 minuti ripartito in tre ampi componimenti d’amatoriale musica gotica d’avanguardia. “Lei è”, sorta d'autoritratto, attraverso pattern elettronico a impulsi concreti distorti e lemmi svogliati e lamenti sempre più strascicati e svaniti, riproduce e rilancia la claustrofobia catatonica di Nico. La tregenda apocalittica di “Dove sei” (13 minuti) accorpa e confonde un crepitio asfissiante di bufere sibilanti e ferraglie arroventate con uno strato indistinto di respiri, gemiti, sussurri e grida. Purtroppo l'autrice non capitalizza su tanta magia (irrompe gratuitamente un lento battito hip-hop e l'armonia sembra inclinare a una sorta di svogliato dream-pop), ma la chiusa distilla comunque il meglio dei suoi intrugli rumoristi sfociando in una catarsi zen di desolazione universale. Più rarefatti i 9 minuti di “Figlia dei suoi tempi”, straziata invocazione esoterica su un intreccio stregato di linee elettroniche arzigogolate, e qui il battito contribuisce ad alzare il tono di condanna sardonica (un velenoso motivetto psichedelico all’organo), prima di tornare all’oscuro pastiche di voce svanita e rumori informi. I brutti remix in aggiunta a cura di Michele Uccheddu (03SIDIAN) servono solo a piazzare qualcosa nel secondo lato e a screditare l’aura di follia, visione e potenza del primo. Artwork di Chiara Caredda (Michele Saran7/10)


02_derann_600DER ANNA - BREAKTHROUGH (autoprod., 2024)
alt-rock

Quattro ragazzi dell’underground bresciano (Michele Gandaglia, Alberto e Giulio Manfredini e Nicola Tarletti) fanno squadra a nome Der Anna per lanciare il proprio album di debutto “Breakthrough”. Due gli spari di avvertimento: “Dog”, vaticinante, eclettica sceneggiata del cantante su una sordina ritmata collettiva, e “Tarlo distorto”, uno “staccato” di automi post-industriali in un’instabilità sfogata fino al suono di turbina atomica. L’“Intro” è un coacervo Pink Floyd-iano giocato tra gli schiocchi perpetui della drum-machine, la tastiera giocosamente minimalista e le chitarre in trance mistica (e su tutto una rallentata voce femminile recitante elettronica). L’ultrafrenesia di “Lazy Eye” riesce ad assimilare in velocità il roots sguaiato dei Lynyrd Skynyrd e un ritornello strafottente da Stiff Little Fingers. In generale le canzoni suonano prepotentemente contagiose senza sforzarsi granché, come per esempio la title track (con intermezzo allucinato e modus d’artigianato wave alla Cccp), al massimo aggiungendo comici sovratoni lounge, come nella sfuriata di “Take Me”. “Losing Time” fornisce l’ultima torrida rasoiata. Canzoni sfinenti nella loro malata, rattrappita nevrosi fatte di chitarre entusiasmanti e tastiere petulanti, un vocalist diavolo a quattro, una rozza drum-machine al minimo sindacale ma sempre lanciata in pulsazioni ossessive. A parte la mancanza di un mix decente che l’avrebbe reso memorabile e non solo dirompente, e qualche altro peccato di gioventù, il quartetto riesce nell’inconsapevole impresa di chiamare a raccolta l’impostazione scheletrica dei Violent Femmes e il fun eterno dei B-52’s, oltre a un pizzico di Suicide, muovendosi squinternato tra la spinta del garage-rock, lo sballo dei rave e l’adrenalina del mosh tipico dell’hardcore-punk (Michele Saran7/10)


03_danielef_600DANIELE FARAOTTI - EP! EP! URRÀ! (Creamcheese, 2024)
songwriter

Il mitico irregolare Daniele Faraotti riprende la sua scorsa solista sulla breve distanza: dapprima il singolo “Calano i colli” (2023), quindi il doppio mini “Ep! Ep! Urrà!”. Il salmo Julian Cope-iano scandito da accenti vagamente atonali e culminante in una fanfara maestosa di “Eterni”, il poliritmo con florilegi quasi new age di piano elettrico di “La forma dei coleotteri”, il techno-pop tremulo e deforme di “Le promesse”, il recitativo gregoriano in forma di trip-hop di “Eddie” e il cyberpunk da trovatore postmoderno di “Fuori le icone” sono i nuovi ritrovati del suo ormai personale “phara pop”. Ma pezzi come “Itinerario” e l’eponima “Ep Ep Urrà” si parano anzi come piccoli coacervi di trasformazioni, interruzioni, inserzioni, tragitti melodici sghembi e manomissioni linguistiche, e con “Ad occhi aperti” tenta poi una trance pulsante su un crepitar di ottoni e organo elettronici. Forse più affocato del tentacolare “Phara Pop Vol. 1” (2022) di cui è seguito, un ufficioso “Vol. 2” di ulteriori stramberie imprendibili, focalizzato sulle tastiere senza più distrazioni, fa idealmente anche da pertugio per un cantautorato finalmente slegato dalle note gabbie armoniche. Menzione d’onore per lo stile canoro, forse quanto più di forma libera nell’album (Michele Saran6,5/10)


04_huntingd_600HUNTING DOGS - WE ARE (Alka, 2024)
electropop

La vocalist Alba Nacinovich e Marco Gemini debuttano come Hunting Dogs con l’Ep “Out To Hunt” (2015) forte dell’inno “Pethra” nella vena del trip-hop umorale dei Lamb. Quasi una decade dopo si reincarnano nel primo lungo “We Are”, costruito non soltanto su un esplicito sound elettronico ma soprattutto su capacità frattanto accresciute. Dunque più che l’unica canzone proveniente dal primo Ep, “The Grapes Pt. 2”, e più che “Click Clack” (un triviale tentativo di rifare gli Yeah Yeah Yeahs), è “Synchronizing Cravings” a fare da manifesto (riuscito sì e no, ma avventuroso), praticamente uno spezzone dei melologhi di Joanna Newsom remixato da Nine Inch Nails, mentre la band-track “Hunting Dogs” complementa l’istrionismo della cantante (r’n’b + David Byrne al femminile) con quello dell’arrangiatore (ritornello industrial-metal), e l’estrema evoluzione della finale  “Animal (No Manual)” sorprende col suo vorticante rave da Malebolge perforato da un grido-gorgheggio acuto. “Less Yellow” suona dapprima come un duetto crepuscolare tra una Beth Gibbons particolarmente angelica e un sax alla Gato Barbieri e perviene a un piccolo apice trionfale, su un discreto sottofondo di pulsazioni ribattute e ornamenti elettronici. L’istrionismo del duo buca lo spettro auditivo nel discopunk introspettivo guidato dal mellotron di “White Sheets”, in uno spettacolare duetto tra i melismi scat di Nacinovich e gli impulsi inesorabili del synth di Gemini, e più avanti nell’impennata canora Yma Sumac-iana nel mambo techno subliminale di “The Dentist”. Album direzionato da un’alchimia di spessore tra fantasia inventiva, revisionismo stilistico e artigianalità rozza che Marco Fasolo, produzione, rispetta e brillanta. “Voodoo Wood”, unica (ma cameristica) canzone regolare, fa anche parte della colonna sonora per “Il confine è un bosco” (2020) di Giorgio Milocco, e “Less Yellow” per quella del documentario “Life Is (Not) A Game” (2022) di Antonio Valerio Spera (Michele Saran6,5/10)


05_lucacoibLUCA COI BAFFI - BASTA SIA FUORI CITTÀ (Massima Calma, 2025)
alt-rock

Secondo Ep per il progetto ideato da Luca Casentini, classe 1997, songwriter laziale con un piede nell’alternative-rock più obliquo e l’altro ben radicato nella migliore tradizione autorale di casa nostra. A meno di un anno di distanza dal ruvido esordio “Devo parlare con mio padre”, Luca amplia il proprio registro stilistico, mostrando l’innata capacità di esplorare generi diversi. “Basta sia fuori città” mette infatti in evidenza la vena più canonicamente cantautorale dell’autore, che intesse giri armonici di chitarra in grado di innestare il groove necessario per approssimare il risultato finale verso territori “pop”. Un pop indipendente, elegante e ricercato, attraverso il quale Casentini decide di diffondere la propria poetica, i propri messaggi. Registrate in maniera spontanea in soli quattro giorni, le sei tracce che compongono “Basta sia fuori città” affrontano tematiche esistenziali attraverso una visione disincantata della vita. Ed è bravo Luca ad arrangiare con gran gusto (spicca su tutte “Niente da fare”), mantenendo sempre un’interessante capacità di sintesi (“La fine del mondo” dura giusto lo spazio di un minuto), muovendosi con disinvoltura dalle dinamiche di “Non ci sto” alle rotondità di “Hiroshima” e “Primo agosto”, sino alla nuda introspezione rappresentata nella conclusiva “Sotto le nuvole” (Claudio Lancia6,5/10)


06_devidci_600DEVID CIAMPALINI - ETERNA (Dissipatio, 2024)
electronic

Oltre alle collaborazioni, ultima per cronologia quella a nome Luce Celestiale con Lorena Serrano Rodriguez, Devid Ciampalini avvia anche una doverosa carriera solista a nome proprio che comincia con “Sorgente” (2021). Anni dopo è la volta del suo personale fulgore artistico, “Eterna”, una suite di brevi movimenti suonata agli apparecchi analogici. Anche solo gli schizzi posseggono una loro precipua espressività: il “Prelude” è solo un bubbolio d’organo marziano nel buio, il “Chapter 1” rilascia gargarismi cibernetici, il “Chapter 5” s’impernia su una marimba ipnotica da incubo, il “Chapter 9” tempesta radiazioni e il “Chapter 7”, uno dei più brevi, sfavilla di fluorescenze percussive. Ciampalini sa comunque addentrarsi anche con maggior coraggio nella musica colta del XX secolo, da Stockhausen, a Subotnick, all’“Ensemble For Synthesizers” di Babbitt. Una qualche proto-melodia fatalista e sospesa, intessuta di vagiti (quasi un cantico) permea “Chapter 2”, così “Chapter 3” adotta calligrafie automatiche stocastiche-gestuali e “Chapter 6” va per l’elettroacustica naturalista tenebrosa e rarefatta. In chiusa arriva comunque un vero opus magnum, il “Chapter 10” di 11 minuti, che comunque non contraddice quanto l’ha preceduto: espandendo la pseudo-vocalità del “2” a una pressocché autentica cantata corale, perviene a un cordoglio tetro di note allungate (e a tratti sembra sfumare il confine tra le messe di Palestrina e i continuum di Ligeti). Variamente dipinto nonostante (o proprio per) l’esiguità e la (datata) artigianalità dei mezzi, il compositore sorregge la frammentazione del disco in buoni contrasti di luce e oscurità, suono e non-suono, rumore e silenzio. Concept sul pianeta di fantasia che dà il titolo all’album (anno 3388), ha il punto debole esattamente nella sottotraccia esoterica sua tipica - non bastasse pure esplicitata in un ebook d’accompagnamento -, nella mancata libertà d’astrazione che starebbe di lì a due passi. Da ascoltare - in tutto e per tutto - a occhi chiusi. “Chapter 10” registrato anche dal vivo in versione estesa a 26 minuti con un vero coro (Michele Saran6,5/10)


07_heatfan.HEAT FANDANGO - ONDE (Bloody Sound Fucktory, 2024)
hard-rock

Il wah anthemico in stile Cream che lancia il power-blues fotonico di “Verso nord” annuncia la metamorfosi a un suono aggressivamente macho e chitarristico del secondo “Onde” dei Heat Fandango, tre veterani della vecchia scuola jesina noise-rock anni 2000. Il loro spettro si amplia fino a una delle più post-punk del lotto, “Fuoco sulla città”. Primo album in italiano, e ancor più primo album in carne e sangue dopo la realizzazione in remoto di “Reboot System” (2021), avanza nel tiro di frusta e nel fuoco dinamitardo. A parte nuovi riferimenti al “sex beat” dei Gun Club (“Strada maledetta”) e al battito grintoso della “Satisfaction” dei Stones (“Vertigini”), permangono vecchi nei. Il trio ha gli archibugi tarati ma sparacchia spesso un po’ a salve: mancando di ritornelli esplosivi e di assoli coraggiosi le canzoni ancora si dilungano oltre il giusto. Il controtempo rombante di danza selvaggia Hendrix-iana di “Giro di giostra”, comparso nella compilation celebrativa “Sound Bloody Sound” (2024), è disgraziatamente rimasto fuori dall’edizione su 33 giri. Numerazione sbagliata nella tracklist del booklet. Co-prodotto con Trulletto e Brigadisco (Michele Saran6/10)


08_sbazz_600SBAZZEE - OLIO ESSENZIALE (Musa Factory, 2025)
neo-soul

Proveniente dall’entroterra padovano, Sbazzee debutta con l’Ep “Frames” (2021) in inglese. I singoli “Ricordi” (2023) e soprattutto “Ascensore” (2023) alla Sudan Archives, suo primo acuto, segnano la transizione all’italiano completata poi nel primo “Olio essenziale”. A parte la serenata semplicissima di levità folk “Amore amore amore”, a evidenziare per bene il suo stato d’animo altamente emotivo sono gli echi dei suoi vocalizzi in “Mai stata tua mai” e la cantillazione d’intro e l’ambientazione di mesto kammerspiel in “Sola”. Non poche sono le canzoni doviziose con sabotaggi di suono piuttosto incerti: “Schiantati”, “Mi dimentico del sole”, “Fiori vivi”, “Ma come sto facendo?”. L’autrice queer italolibanese, al secolo Sofia Bazzi, si confessa fino alla svenevolezza a suon di vocalismi riccioluti e diafani. Confezionato con Daniel “gambo di sdano” Signorini - anche foto di copertina - è un disco di garbo talmente posato (qualcosa da insegnare alle blasonate colleghe d’oltreoceano) da non curarsi del suo ritmo blando (Michele Saran5,5/10)


09_shivab_600SHIVA BAKTA - GHOST (autoprod., 2024)
songwriter

Lidio “Shiva Bakta” Chericoni conferma e rifinisce le voglie easy del predecessore “6/4 Of Love” (2022) con “Ghost”. Un frinire notturno lo percorre da capo a coda, dalla lieve ma sovraccarica serenata pop dell’eponima “Ghost” al migliore epilogo dell’highlight “Romance”. Dopo aver timbrato il cartellino del ricalco dei Motorpsycho psych-pop e Flaming Lips muliebri di “I Don’t Know Why”, Chericoni si precipita a imitare Simply Red (“Red Zone”), Chicago (“I Can’t Give Up”) e Nicolette Larson che rifà la “Lotta Love” di Neil Young per le discoteche (“Coat”). Più di altre “Pieces Of Infinity” cerca di dare una risposta definitiva alla domanda “come avrebbe suonato Wyatt se in un’altra dimensione fosse nato balladeer?” Notevoli, comunque, il ripieno d’impeto latin-jazz in “A Long Time” e l’incipit dal fervore di kolossal di “If Love Find Us”, disegnato da una tromba metafisica e uno spunto di danza edonistica. Quarto album dell’autore spezzino: pletorico (da “wall of sound” a “tsunami of sound”), oltremodo solenne e agghindato fino alla spersonalizzazione, ma rara - specie nella scena italiana dopo-Covid - è la sua disinvoltura orchestral-massimalista. Voce del “fantasma”: Denise Galdo (Michele Saran5/10)


10_carlottasCARLOTTA SILLANO - NELLA NATURA VUOTA DEI SIMBOLI APPASSITI (Incipit, 2024)
songwriter

Carlotta Sillano espia l’ecatombe sociale del Covid con “Nella natura vuota dei simboli appassiti”: la cantilena sillabata di “Moderata fonte”, immersa in una pomposità sconsolata e ribattuta, esaltata anche da tastiere sbrilluccicanti, è in questo una delle sue migliori canzoni; di serie B invece l’analoga filastrocca inquadrata in scenografie fataliste di “Monumento”; rilanciato a vero inno persino marziale è “Arco-gravità”. “Wunderkammer” svaria alla forma del lied pianistico dolceamaro. “Archeologie” mantiene un contatto col techno-pop orchestrale e metafisico del secondo Battiato, mentre “La canzone dell’oblio” proprio si scioglie in orchestrazioni sinfoniche esose. Con un Taketo Gohara imperfetto alla produzione, dopo “Murmure” (2018) la vercellese accantona in via definitiva il suo lato freak dato dal moniker Carlot-ta e si denuda sia nell’anagrafe sia nell’uso dell’italiano. La svolta dona canto bimbesco e testi intellettualoidi arricciati su loro stessi (qualche riferimento alla prassi anni 20 della decapitazione di statue non politicamente corrette, specie in “Furia iconoclasta”): non una grande associazione. Continuo zigzag tra l’involontariamente comico e il genuinamente ascoltabile (Michele Saran5/10)

17/01/2025

Discografia

ARTIFICIAL BRIDE - FIGLIA DEI SUOI TEMPI(Fango Radio, 2024)
DER ANNA - BREAKTHROUGH(autoprod., 2024)
DANIELE FARAOTTI - EP! EP! URRÀ!(Creamcheese, 2024)
HUNTING DOGS - WE ARE(Alka, 2024)
LUCA COI BAFFI - BASTA SIA FUORI CITTÀ(Massima Calma, 2025)
DEVID CIAMPALINI - ETERNA(Dissipatio, 2024)
HEAT FANDANGO - ONDE(Bloody Sound Fucktory, 2024)
SBAZZEE - OLIO ESSENZIALE(Musa Factory, 2025)
SHIVA BAKTA - GHOST(autoprod., 2024)
CARLOTTA SILLANO - NELLA NATURA VUOTA DEI SIMBOLI APPASSITI(Incipit, 2024)
Pietra miliare
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