PALM DOWN - Unfamiliar Air In Familiar Places (2019, autoprodotto)
alt-folk
Palm Down è un ragazzo romano del 1995, all'anagrafe Francesco Zappia, sette anni trascorsi in una punk band, poi il desiderio forte di rimettersi in gioco in solitaria. Dopo "Nosedive", Ep contenente un paio di tracce autografe e un omaggio ai Gaslight Anthem, si chiude in studio con l'amico Fabrizio Giffi, seconda chitarra che contribuisce a riempire e colorare il suono. Il risultato è "Unfamiliar Air In Familiar Places", attraverso il quale Francesco sposta in maniera decisa l'asse compositivo verso il mondo cantautorale di lingua anglosassone. Dal Conor Oberst di "Pros In Cons", al clamoroso incrocio fra R.E.M. e Frank Turner di "I Swear", fino a una "I Was Hurt" che pare rubata dal repertorio dei Decemberists, si srotolano dieci tracce che ricercano il rock nel folk, suonate con una chitarra acustica ma senza mai smarrire il piglio power-punk. Canzoni che raccontano momenti di vita, lotte interiori, sfiducia, demoni e alienazione, amori complicati ed esperienze di viaggio. Palm Down è attualmente alla ricerca di una label, nel frattempo, fedele allo spirito DIY che da sempre lo caratterizza, pubblica il suo primo album come autoprodotto (Claudio Lancia 7/10)
GOOD MOANING - The Roost (2019, autoproduzione)
folk-rock
I baresi Good Moaning ideati da Edoardo Partipilo con Lorenzo Gentile, Marco Manchise e Davide Fumai rappresentano forse la più genuina proposta afferente al folk psichedelico nostrano degli ultimi anni. In "The Roost", primo lungo (ma poco più di mezz'ora di durata), s'insinua una certa dose di tumulto e profondità visionaria ad agitare gli arpeggi inebrianti e il canto da cherubino della title track e "Mother-Door", i vortici vocali e chitarristici di "Incubus", lo strimpellio da ballata di "Suitcase", fino a dar loro sfumature tragiche. Più serena e pop la seconda parte, ma anche acquarelli acustici come "Cornwall" alla fine provano a inerpicarsi su alture ultraterrene. E in "Curtain" la voce abbozza un recitativo paradisiaco sulla superficie di un quieto lago elettronico. Scritto da Partipilo e ben coadiuvato dai comprimari, specie la chitarra spaziale di Gentile, è un primo sunto come pure già un'evoluzione di un operato che partiva dal primo Ep "Hello, Parasites" (2016) e passava per un singolo post-Barrett, "Dawn" (2017). All'insegna di un suono dimesso e rarefatto nasce la sua regale produzione, procedimento talmente aulico, lungo e meticoloso in congiunzione con il conterraneo studio di sound design Capillare Factory - centrate le soundscape, dai cinguettii ai parlottii vocianti - da uscire non sempre compattamente omogeneo. Un gioiellino, pur con tutte le sue mimetiche somiglianze (La's qua e là). Artwork a cura di Deborah Filograno e Notsodumb (Michele Saran 6,5/10)
ADÈL TIRANT - Adele e i suoi eroi (2019, Soter)
pop, songwriter
Finanziato mediante una campagna crowdfunding sulla piattaforma Musicraiser - ottenendo il 161 per cento della richiesta con oltre 200 acquirenti - "Adele e i suoi eroi" è il disco d'esordio della cantautrice Adèl Tirant. Sono per l'appunto gli eroi del vivere quotidiano i protagonisti delle canzoni di Adèl: impavidi personaggi che entrano a gamba tesa e si intrecciano nei sogni dell'autrice, alternandosi tra un blues e l'altro ("Così scrisse Oliveira"), e giretti armonici da canzonetta italiana dei '70 ("Giostra"), a metà strada tra Mina e la Cinquetti. Prodotto da Giovanni Block, il disco presenta anche momenti bucolici, veri e propri omaggi improvvisi all'amata Sicilia come "Chiddi chi erumu", tenebrosa ballad dal sapore antichissimo che si pone in netta contrapposizione al sopracitato passo leggero dei primi pezzi; cambi di direzione che svelano il lato migliore della cantautrice, la quale torna all'eleganza dei bei tempi nella successiva "L'isola di Arturo", canzone d'amore al piano tanto delicata, quanto prevedibile. Ed è proprio in questa alternanza maliziosa tra fraseggi sbarazzini ma scontati ("La Maison des chats") e carezzevoli digressioni in nostalgica scia easy listening ("Non c'è che mare") che si snoda l'esordio della Tirant. Un lavoro piacevole, per gli amanti di un classicismo che sembra non tramontare mai. O quasi (Giuliano Delli Paoli 6,5/10)
OOOPOPOIOOO - Elettromagnetismo e libertà (2019, OOPArt)
experimental
Esattamente cento anni fa, Leon Theremin battezzava il primo elettrofono a essere prodotto su scala industriale, sdoganando la musica oltreumana con il suo miagolante giocattolone. Gli smaliziati polistrumentisti Valeria Sturba e Vincenzo Vasi, al secondo dispaccio sotto la ragione sociale Ooopopoiooo, omaggiano quel twist epocale con un'operazione simile: fare il contropelo alla musica "difficile" con piglio giocoso e finanche demenziale, mettendo in campo un vasto arsenale di suoni e strumenti non convenzionali. E da Joe Meek ai Faust, dai Residents agli Swell Maps, dai Flying Lizards ai Pram, i riferimenti sono fin troppo palesi. Ce n'è davvero per tutti i gusti: il Brian Eno di "Sky Saw" ("Lo Sconosciuto"), Stereolab meets Sufjan Stevens ("Misika"), swing formato radiolina a valvole ("Il Topino Va"), caricature querule alla Renaldo and the Loaf ("Dai Topich"), Tom Waits riletto dai Bachi Da Pietra ("PerDono"), rigurgiti Matmos-iani ("Rosafunky"), numeri chamber stile Penguin Cafè Orchestra ("La Partida", dal repertorio di Victor Jara), tarantelle elettroniche (la title track composta, pare, addirittura da Tristan Honsinger). Il problema è che la maggior parte dei brani rimangano poco più che frammenti, appunti incompiuti, esperimenti irrisolti, e il risultato più che eclettico è disgregato. Una maggiore padronanza in sede compositiva avrebbe dato più consistenza a quello che rimane un pur intrigante divertissement. In ogni caso, missione compiuta: la musica seria non è mai stata così divertente (e, per l'appunto, un pizzico di raziocinio in più e di autocompiacimento in meno non avrebbe guastato) (Ossydiana Speri 6,5/10)
LA RUA CATALANA - Fonexénos (2018, Bia Dischi)
world
La Rua Catalana è un progetto musicale nato a Napoli nel 2009 dall'unione di un gruppo di musicisti beneventani. Nel 2018 giungono al loro terzo album - "Fonexénos" - che li porta al confronto con la musica popolare più tradizionale, dalla cultura orale sannita al chitarrismo folk sono ad ambientazioni modern classical. Un album tipicamente multiculturale che spazia dalla cultura occidentale angloamericana a quella africana (perfetta sintesi è il brano "Procession" o il folk angelico di "Trip To The Dean"), un ritorno alle origini che nasconde al tempo stesso la voglia di rinnovarsi (come ad esempio nel canto a là Bon Iver di "All These Days"). Lento e riflessivo, "chiede all'ascoltatore di riappropriarsi del tempo di ascolto", in perfetto stile world music (Valerio D'Onofrio 6,5/10)
BACKLASH - Mindtrap (2018, autoprodotto)
brit-rock
Un po' degli Oasis più scorbutici, quelli, per intenderci, di canzoni come "Bring It On Down" e "Columbia", un po' di DMAs, un po' dei primi BRMC. Basta dare questi tre riferimenti per capire chiaramente di cosa si compone la proposta dei milanesi Backlash, qui al debutto sulla lunga distanza: un suono chitarristico cupo e un po' acido ma che non porta negatività, una sezione ritmica ben presente e che corrobora il carattere scuro e sfrontato del suono, linee melodiche secche e dirette, nitide ma mai coincidenti con le rotondità del pop, timbro vocale deciso e un po' nasale che ben si adatta al resto. Certo, la personalità non è ancora molto di casa da queste parti, ma i quattro mostrano una buona padronanza dei propri riferimenti e sono in grado di scrivere, suonare e cantare bene (e di questi tempi non è poco), e di proporre diversi spunti durante lo svolgersi del lavoro, in modo che ci sia una buona varietà. Talvolta si punta sui riverberi, talvolta sul groove ritmico, talvolta su melodie un po' più aperte, e talvolta si va semplicemente belli dritti al punto, così il disco risulta più che ascoltabile sempre, e per ora va benissimo così (Stefano Bartolotta 6,5/10)
NOMOTION - Funeral Parade Of Lovers (2019, autoprodotto)
rock
"Southern gothic garage oriented", così si definiscono i Nomotion nella breve biografia cui affidano il compito di descrivere anche il loro immaginario: "b-movies, modern cults, and mysteries of love, life and death". Nella formazione confluiscono diversi membri del disciolto combo neofolk Calle Della Morte: il frontman Jonny Bergman, Eros Piani alla chitarra ed il batterista Lorenzo Della Rovere, già negli EU's Arse, storico gruppo hardcore-punk dei primi anni ottanta. Completano il tutto Alessio (basso) e Andrea De Colle (synth, organo Hammond e pianoforte): è proprio quest'ultimo a dare il la nella title track, posta ad apertura dell'album. Un'emozionante ballad gotica dove il timbro profondo di Bergman si accompagna a sonorità più robuste rispetto al passato, frutto di una formazione allargata. E di cinque anni di sperimentazione: partiti con sonorità country (ancora presenti in alcuni passaggi del full-length come "Rillington Place" e "Our Black Sun"), i Nomotion - all'esordio sulla lunga distanza - arrivano a confezionare un vero e proprio sound da pub-rock lynchiano. Raccomandato ai fan degli Spiritual Front ("Killing Fields") e, in generale, del rock virato in nero ("The Long Morrow", "Black Aura"), "Funeral Parade Of Lovers" è il biglietto da visita di una nuova ed interessante realtà "oscura" della nostra penisola, dalla spiccata personalità (Lorenzo Pagani 7/10)
TERSØ - Fuori Dalla Giungla (2019, Vulcano Produzioni)
trap
Nati a Bologna nel tardo 2016 dall'incontro tra tre esperti produttori elettronici, Luca Ferrani, Alessandro Renzetti e Alessio Festuccia, e l'ugola algida e le canzoni di Marta Moretti, Tersø debuttano con un singolo, "Non mi sento" (2017), che subito li catapulta alla ribalta nazionale. Nel primo lungo "Fuori dalla giungla" si apprezza con più calma la loro personalità in divenire. Ad eccezione della cantilena androide rimbalzante di "Lynch" (primo singolo), lungo il disco si avverte nettamente un certo fil rouge all'insegna della mestizia più placida, quasi accidiosa, dalle meste, crepuscolari "Le frasi", "Stramonio", una "Sembra" vagamente esotica, a soundscape calcolate, gli acquarelli di tastiere in "Metamorfosi", fino alle più riuscite, "Petali" e "Libellule", tristi da far piangere chanteuse come Robyn, e soprattutto fino a "La tigre bianca", tra sfasamenti e stridori, un sinfonismo imploso che inghiotte canto e ritmo. Parto semindipendente sotto l'egida della crew autogestita Vulcano con la produzione di Marco Caldera. Si mostra impavidamente diafano, il canto talmente soffuso di Moretti da divenire vocalismo ambient, e al contempo chiassoso, gli arrangiamenti saturi d'effettistica. Non acchiappa, infatti, dove vorrebbe (la dance esplicita di "Le promesse" non a caso armata del basso di Bruno Belissimo, unica ospitata), i refrain affetti da corrività spesso stonano, le pose e i deja vu abbondano. Eppure non tralascia la poesia: "La tigre bianca" è forse il più alto risultato della trap tricolore (Michele Saran 6/10)
LAGS - Soon (2019, To Lose La Track/Fuzzy Cluster/Casu Marzu)
post-hardcore, alt-rock
Band che abbiamo già seguito in passato, tre anni fa scrivemmo del precedente "Pilot", esordio direttamente targato To Lose La Track, i Lags tornano in scena con il loro post-hardcore addolcito, che nel tempo va prendendo le distanza dagli arrembaggi sonici stile Trail Of Dead, per concentrarsi su sonorità maggiormente rotonde. Il lavoro in acustico svolto per l'Ep del 2016 "Seasons" si fa sentire, esplicandosi in una rinnovata attenzione per i dettagli. Aumenta anche il mix di influenze, prendendo di sponda la nu-nu-wave degli Interpol in "Showdown", gli At The Drive In in "Second Thoughts" e certi aromi guitar indie-rock nella successiva "What It Takes". Nove tracce, più una bonus track, "Il podista", nella quale si cimentano con la lingua italiana. Confermati dalla To Lose La Track, questa volta il disco è co-timbrato anche dall'etichetta Fuzzy Cluster, mentre la britannica Casu Marzu ha deciso di occuparsi della distribuzione oltre confine, e di produrre una limitata tiratura su audiocassetta. Approccio vintage DIY che riporta a certo immaginario anni 90, proprio lo stesso che il quartetto romano cerca in qualche modo ricreare (Claudio Lancia 6/10)
ANNA OX - Back Air Falcon Dive (2019, To Lose La Track)
post-rock
Alessandro Carnevale, chitarra, e Giovanni Graziano, multistrumentista, fondano i Gioaccardo in quel di Vigevano nel 2008. Dopo il primo, unico e postumo "Charles" (2014) chiamano a sé il basso di Guido Ghilardi per dare vita agli Elk. Finita anche quell'esperienza i tre assoldano la batteria di Andrea Ganimede per un progetto solo strumentale, Anna Ox. Nel primo breve "Back Air Falcon Dive" le non poche ingenuità sterilizzano quasi di netto l'ambizione, come nella serenata in cut-up di "Jjungle" (praticamente una b-side degli ultimi loffi Books) o nell'aurora elettroacustica di "Base1" (finisce subito), ma più in generale i brani condividono una medesima, congenita visione difettosa. "Fucsite" attacca con un giro armonico gaudioso e un fluire elettronico cristallino in sottofondo, qualcosa nello stile dei Tristeza: una possibile magia totalmente rovinata dall'intervento di un rapper (Adam Vida); gli arpeggi e gli accordi celestialmente smozzicati di "Guile" capitolano in una triviale variazione techno; "Lady Isabel" perlomeno va al contrario, un gratuito passo dubstep si affina in una pacata meditazione di chitarre angeliche. Troppo breve e troppo scarso per essere credibile e godibile, difficile da salvare anche per via di una sovrapproduzione elettronica ottenebrante che lo fa equivalere a un parto di un anonimo producer alla consolle, non di una band affiatata e competente. Solo nell'eccezione s'intuiscono le loro risorse, "Jean ValJean", pastiche dilatato non certo originalissimo ma quantomeno al riparo dall'insistito gigioneggiare elettronico. Missaggio: Pietro Ferrari, master: Davide Lasala (Michele Saran 5/10)