"Bisogna rendersi conto che si è costantemente in divenire". Lo sguardo di diamante di Bob Dylan dardeggia nella penombra, mentre la sua voce arrochita dal tempo scolpisce la più compiuta definizione del suo viaggio musicale.
Ci volevano le riprese asciutte e penetranti di Martin Scorsese per mettere a nudo l'inizio dell'odissea dell'ultimo aedo dell'era moderna. In fondo è intorno a un'unica domanda che si arrovellano le oltre tre ore del documentario girato dal regista newyorchese: come è possibile che il paffuto ragazzo del Minnesota che strimpellava qualche incerto accordo blues in una camera del college sia diventato nel breve volgere di qualche anno lo scostante sciamano capace di lanciare al mondo la sfida della propria arrogante e magnetica eresia?
Per tentare di scoprire la risposta, bisogna fare i conti con il folksinger deciso ad appropriarsi spregiudicatamente di una tradizione senza tempo, bisogna confrontarsi con l'inquieto songwriter eletto suo malgrado a portavoce generazionale, bisogna arrivare sino all'allucinato oracolo dagli occhiali scuri sempre in fuga dalla propria ombra.
È questo il difficile percorso che vuole affrontare "No Direction Home", settimo volume delle "Bootleg Series" di Mr. Zimmermann, che del film omonimo di Scorsese rappresenta la colonna sonora ufficiale. Una cronaca fedele del divenire dylaniano a cavallo di quello snodo epocale che verrà ricordato come la "svolta elettrica", alba del giorno in cui il calderone ribollente chiamato rock scoprì per la prima volta di non essere più soltanto una questione da ragazzine urlanti, ma di poter dare impunemente del tu a T.S. Eliot ed Ezra Pound o ad Abramo e Isacco, per farli rinascere in una nuova, distorta visione ad alto voltaggio.
Ma se il documentario di Scorsese rappresenta un appassionato viaggio per immagini, musica e testimonianze nella genesi del mito di His Bobness, capace di disegnare un affascinante quadro del contesto politico, sociale e artistico americano della prima metà degli anni Sessanta, il nuovo capitolo delle "Bootleg Series" rischia di non rimanere altro che una reliquia per adepti al culto.
Nei due cd di "No Direction Home", uno acustico e l'altro elettrico, non mancano ovviamente le chicche scelte apposta per solleticare il palato dei fedelissimi. Si comincia con l'inedita "I Got Troubles", prima registrazione conosciuta di un originale dylaniano, raccolta nel 1959 a Minneapolis da un amico del liceo, per proseguire con una cover della celeberrima "This Land Is Your Land" del maestro Woody Guthrie, spogliata dal giovane Dylan di ogni retorica innodica. E poi si possono scoprire la primigenia "Mr. Tambourine Man" cantata in duetto con Ramblin' Jack Elliott (con tutta probabilità la versione ascoltata dai Byrds per la loro storica cover) e la nervosa energia di quella "Maggie's Farm" che fece gridare allo scandalo al Festival di Newport del 1965, spingendo Pete Seeger a cercare di tagliare i cavi degli amplificatori.
Non è un mistero che gli archivi di Dylan siano uno scrigno che custodisce ancora un patrimonio inestimabile di tesori nascosti: chi si sia accostato anche solo distrattamente allo sconfinato mondo delle registrazioni non ufficiali del menestrello di Duluth sa bene che non si tratta di qualche sparuta outtake, ma di interi universi sotterranei, in grado di gettare nuove sfumature sui dettagli di un quadro in continuo movimento.
Il fatto è che in "No Direction Home" trova spazio soltanto una serie di alternate take e versioni live di brani nella maggior parte dei casi già noti. È vero che si tratta di materiale inedito, fatta eccezione per la "Song To Woody" già presente nel disco d'esordio di Dylan e per la monumentale "Like A Rolling Stone" immortalata in "Live 1966" (quella del grido "Judas!", tanto per intendersi). Ma la selezione dei brani effettuata per la nuova raccolta sembra più adatta alle bonus track di una di quelle deluxe edition che hanno ormai invaso il mercato discografico, piuttosto che al livello a cui ci avevano abituato le ultime uscite delle "Bootleg Series".
Un disco da filologi dylaniani, verrebbe da dire. Ma la filologia esige un rigore critico che sembra mancare a "No Direction Home". Saccheggiare un paio di brani dalle "Minnesota Hotel Tapes" e dai "Witmark Demos" o estrapolare qualche episodio dalle session di "Highway 61 Revisited" e "Blonde On Blonde" è un'operazione che non solo lascia l'amaro in bocca ai cultori della materia, che hanno già consumato da tempo i relativi bootleg, ma che non riesce neppure a conquistare nuovi discepoli, non abbastanza smaliziati da cogliere che nella prima versione di "Desolation Row" Dylan canta che Casanova viene imboccato "con interiora bollite di uccello" invece che "per farlo sentire più sicuro"…
In fondo, poi, è lo stesso Dylan il primo a non amare i filologi. Joan Baez lo imita in maniera irresistibile in una scena del documentario di Scorsese, in cui fa biascicare alla sua caricatura di Bob: "Tra un po' di anni tutta questa gente si metterà a interpretare la merda che scrivo, ma io non so da dove venga, non so di che cosa parli: lo scriveranno loro, di che cosa parla…".
È un altro, allora, l'approccio con cui affrontare "No Direction Home". Come suggeriscono le immagini del booklet, che giocano a inseguire gli scatti fotografici alternativi di copertine entrate nell'immaginario rock, come quelle di "The Freewheelin'", "Bringing It All Back Home" o "Blonde On Blonde", la colonna sonora del film di Scorsese va ascoltata come il reperto di una realtà parallela, in cui le pietre miliari della mitologia dylaniana assumono pieghe inaspettatamente diverse rispetto a come si è abituati a conoscerle.
Solo così ci si può abbandonare a quello scintillante suono "mercuriale" che le tecniche di rimasterizzazione restituiscono intatto ai brani dell'epopea elettrica, ripercorsa dal secondo dei due dischi di "No Direction Home". E solo così si può scoprire, brano dopo brano, la meraviglia di un passato ricondotto come per incanto al presente, dagli intarsi onirici di un'intima "She Belongs To Me" senza batteria sino ai fraseggi liquidi dell'inedita chitarra elettrica di "Desolation Row".
La prima versione di "It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry", che portava ancora il titolo di "Phantom Engineer", scalpita impaziente tra l'organo di Al Kooper e la chitarra di Mike Bloomfield, invece di abbandonarsi nelle braccia del blues che la accoglierà tra i solchi di "Highway 61 Revisited". All'opposto, "Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again" preferisce un'indolenza da basement tape ante litteram alla velocità anfetaminica di "Blonde On Blonde", mentre gli spigoli di una chitarra elettrica tagliente squadrano i contorni di quella "Freeze Out" che diventerà "Visions Of Johanna".
La tentazione della domanda blasfema si fa rapidamente strada: meglio degli originali? Ma è inutile inseguire impossibili paragoni: meglio lasciarsi irretire da questa strana dimensione in cui "Highway 61 Revisited" non ha ancora il suono del suo inconfondibile fischietto e "Leopard-Skin Pill-Box Hat" rallenta languida in un avvolgente blues. È allora che emerge finalmente chiaro come l'opera dylaniana sia in realtà un continuum in perenne mutazione, di cui gli album ufficiali non rappresentano altro che un'effimera e incompiuta cristallizzazione. Ogni sera le composizioni di Mr. Zimmermann rinascono trasfigurate su un palco da qualche parte intorno al globo. E forse è proprio stasera che "Desolation Row" o "Mr. Tambourine Man" troveranno la loro incarnazione definitiva, quell'anima sfuggente che Dylan insegue instancabile da sempre.
Ecco, "No Direction Home" è un'introduzione all'enigma di questo multiverso dylaniano. Più un suggerimento di metodo che non una guida completa, ma il coinvolgimento che offre è un'esperienza tutt'altro che accademica.
Alla fine, se proprio bisogna dare una pagella, al materiale collezionato nei due cd dell'album non si può attribuire meno di un 8 (e solo perché il 9 è riservato di diritto agli originali…). L'operazione discografica ideata dalla Columbia, invece, non merita più di un 4, che porta la media a raggiungere appena la sufficienza. Dovendo scegliere, insomma, meglio investire sul doppio dvd del film di Scorsese, quello sì un documento davvero imprescindibile per avventurarsi nell'impossibile esegesi della sfinge dylaniana.
10/11/2015
CD 1
CD 2