Non è impresa da tutti quella di riuscire a trasformarsi, con credibilità e successo, da promessa indie, lodata da webzine specializzate ed esperti del settore, a
popstar globale apprezzata dalle masse. Il rischio è sempre lo stesso: deludere e sdegnare gli ammiratori della prima ora e non riuscire a essere abbastanza
cool e immediati per destare l'attenzione del grande pubblico; ne sa qualcosa
Twin Shadow, recente vittima di una tentata metamorfosi che ha purtroppo scontentato un po' tutti.
Il percorso intrapreso dal canadese Abel Tesfaye è stato però contraddistinto da una determinazione e da un fiuto tali che potrebbero davvero riuscire a mettere d'accordo un pubblico piuttosto trasversale. Da quando il timido "
Kiss Land", suo primo album ufficiale a seguito di tre acclamati
mixtape, aveva lasciato freddini in molti e fatto parlare prevalentemente per un presunto plagio ai danni dei
Portishead,
The Weeknd ha intrapreso la sua vera scalata verso la gloria. Collaborando prima con star ben collaudate quali
Sia e
Ariana Grande, senza rinunciare al suo tocco di classe, e poi firmando addirittura il pezzo di punta della colonna sonora di un
blockbuster come "
Cinquanta sfumature di grigio", la lussureggiante e lussuriosa "Earned It", che ci fa domandare speranzosi se ultimamente
Prince stia ascoltando la radio.
Inevitabile, quindi, la definitiva dichiarazione d'intenti: rivolgersi all'
hit-
maker più gettonato degli ultimi venti anni, Max Martin, per realizzare quel piccolo gioiello di sincopi su giro basso da urlo che è "Can't Feel My Face", probabilmente il pezzo che meno fa sentire la mancanza di
Michael Jackson dai tempi del debutto solista di
Justin Timberlake. Con una voce così soave e vibrante, del resto, chi meglio di The Weeknd potrebbe farci evitare rimpianti, già forte anni fa di una ruvida e riuscitissima cover di "Dirty Diana" e capace di ribadire immediatamente il concetto con l'ancora più scoppiettante "In The Night", che sembra prelevata direttamente dalle partiture di "Bad".
Tesfaye non è uno sprovveduto però, chi ha composto perle del calibro di "Wicked Games" o "Lonely Star" non può esserlo, e la riuscita dell'album non punta tutto su ingombranti paragoni con gli idoli del passato, evitando di snaturare completamente quello stile che tanti plausi gli aveva fatto guadagnare. L'ossatura portante è tutta affidata alle sue ormai proverbiali e languide melodie adagiate su basi sinuosamente minimali: percorse da flebili scariche elettriche (a spiccare è soprattutto "Often", raffinata ma sboccata ode all'eiaculazione femminile) o offuscate da sinistri scenari
industrial che lasciano il segno ("Real Life" e "The Hills").
Come se ci trovassimo di fronte al suo "
My Beautiful Dark Twisted Fantasy", per ispirazione e presunzione, ecco sbucare fuori proprio
Kanye West e mettere lo zampino dietro il connubio
vintage-futurista dell'ottima "Tell Your Friends", perfetta nel seguire gli irresistibili fraseggi funky-soul di "Losers", in cui The Weeknd sembra più un novello Bill Withers che la versione pop del suo amico e mentore
Drake.
"Beauty Behind The Madness" è una elegantissima farfalla, ma nasconde ahimè un pungiglione nella coda, il cui veleno rende troppo amara la scelta, tutta marketing e dollari, di lasciare il palcoscenico al mattatore
Ed Sheeran e annoiare col vetusto
electro-blues di "Dark Times". Funziona un po' meglio il matrimonio con
Lana Del Rey, gli intenti stilistici dei due sembrano almeno più affini, ma quanto proposto dalla tribolata "Prisoner" poco aggiunge a quanto espresso in precedenza se non un innegabile tocco
glamour.
Quando poi irrompe l'enfasi AOR della ballatona "Angel", ci si arrende all'idea che qualche compromesso era inevitabile se si voleva allungare il passo da
Frank Ocean,
Miguel e (ottima) compagnia
indie-cantante. Resta la consolazione che tale obiettivo sia raggiunto con pezzi più tediosi che smaccatamente ammiccanti alle classifiche e che, in fin dei conti, quanto di bello si è ascoltato nei precedenti undici non viene minimamente intaccato.
Tormentiamoci pure se perdonarlo o meno per un finale così frustrante, ma assistere alla consacrazione di una popstar di prima grandezza con alle spalle una gavetta (e che gavetta!) e un talento intatto come il suo è qualcosa che non accadeva da tempo nel panormama mainstream d'oltreoceano e di cui si sentiva assolutamente bisogno.
30/08/2015