È ormai chiaro che, dietro il progetto dei King Gizzard & The Lizard Wizard di pubblicare ben cinque album in un solo anno, ci fosse una motivazione non solo artistica ma personale. La band australiana si è come disintossicata dall'enorme pressione creativa che aveva generato il maestoso "Nonagon Infinity", frantumandone la complessa entità stilistica in cinque capitoli autonomi e semplificativi. L'estremizzazione concettuale di "Murder Of The Universe" e la raffinata incursione nel jazz di "Sketches Of Brunswick East" hanno rappresentato i due poli possibili dell'evoluzione concettuale della psichedelia targata King Gizzard, ed è alquanto significativo che i due album ora citati siano centrali rispetto agli altri due capitoli targati 2017, ovvero "Flying Microtonal Banana" e "Polygondwanaland", ai quali è spettato il compito di diluire le radici progressive-rock, attraverso due chiavi di lettura apparentemente diverse eppure affini.
"Polygondwanaland" era forse l'album più atteso da parte dei fan del gruppo australiano, soprattutto in virtù della presenza di "Crumbling Castle", un ipnotico e lungo brano psych-prog che da tempo circolava nel web tra registrazioni clandestine e incandescenti versioni live. Quello che nessuno poteva prevedere sono le modalità della pubblicazione di questo quarto capitolo annuale. La band ha messo a disposizione gratuitamente sulla propria pagina ufficiale e su quella Facebook l'intero progetto, con uno schema rivoluzionario rispetto ad operazioni similari fatte in passato (si pensi ai Radiohead), condividendo non solo il file mp3 e quello flac, ma addirittura diversificando i file a seconda della loro destinazione d'uso, pubblicando il master sia per il formato cd che per quello Lp, con tanto di artwork in alta risoluzione, con l'invito ai propri fan di stampare qualsiasi formato senza ulteriori permessi o licenze d'uso (anche se una versione ufficiale della Heavenly è prevista per il 2018).
Dopo la giocondità atonale di "Flying Microtonal Banana", la fantascienza in chiave splatter di "Murder Of The Universe" e le coordinate finto-lounge di "Sketches Of Brunswick East", il quarto capitolo della saga annuale della band australiana celebra la rivincita dell'immaginazione sulla mediocrità, e lo fa attraverso il linguaggio musicale più amato/odiato, ovvero il rock progressivo, restituendolo alle sue pulsioni originali garage e facendolo filtrare attraverso le evoluzioni metal.
Il risultato è una jam session multicolore, che riprende la psichedelica per la coda e l'agita fino a creare delle splendide ibridazioni con lo space-rock degli Hawkwind in "Inner Cell", o con il desert-blues in salsa kraut-rock nella funambolica "Deserted Dunes Welcome Weary Feet", lasciando fuori dai giochi le manie perfezionistiche e acusticamente educate che fecero la fortuna di molte formazioni psych-rock decretandone nello stesso tempo l'inaridimento creativo.
Non c'è dubbio che il fascino e il successo dei King Gizzard & The Lizard Wizard sia legato anche alla loro abilità nel ridare alla musica progressive un ruolo centrale e creativo, spingendo ai limiti dell'eccentricità tutti quegli elementi rituali che lo hanno radicato nella cultura anni 70. Ed è proprio questa esplosiva miscela di abilità tecnica e follia creativa che fa di "Polygondwanaland" un evento discografico che va ben oltre le strane e inconsuete premesse della sua pubblicazione. Il coinvolgimento del pubblico nella produzione fisica di "Polygondwanaland" ha un valore simbolico molto forte, i King Gizzard sono consapevoli che gran parte del loro fascino è dovuto all'intenso legame con il pubblico, che ne ha decretato il successo spingendo il collezionismo dei loro vinili verso cifre che non hanno paragone con altre band contemporanee o addirittura del nuovo millennio.
La libera stampa e diffusione di manufatti sonori (Lp, cd, c7) da parte di chiunque voglia farlo diventa così l'elemento catalizzatore del rapporto musicista-pubblico, con risvolti finora assolutamente inediti. Ed è quindi ovvio che un gruppo così fedele di fan perdoni anche stavolta quelle leggere lacune e ripetitività, che affiorano qua e là senza però disturbare l'effetto d'insieme. Così scorrono le gentili citazioni dei Pink Floyd era "The Dark Side Of The Moon" di "Loyalty", o le trame percussive alla King Crimson della title track, le geometrie dei Gentle Giant ("Horology"), fino alla celebrazione del progressive folk stile Incredible String Band in "Searching...", regalando infine al pubblico del gruppo australiano l'album più volutamente citazionista della sua carriera.
"Polygondwanaland" è una saga in salsa trip-psych, un campionario di suggestioni la cui familiarità non provoca noia o assuefazione. L'abilità del gruppo di gestire una materia così complessa e pericolosa è ancora più netta con perle come "The Castle In The Air", la già citata "Crumbling Castle" e la conclusiva "The Fourth Colour", che possiedono i tratti dell'instant classic, baciati da una densità strumentale che rimanda a Yes ed Emerson Lake & Palmer senza avere la stessa prosopopea e magniloquenza, anzi facendo scivolare tecnica e istinto su un unico binario creativo, che raramente indugia nell'autocompiacimento. In converso, questo è anche l'album in cui l'elemento-sorpresa è meno rilevante. Anche il filo conduttore appare meno convincente rispetto alle premesse che hanno generato i tre capitoli precedenti. Ma resta anche uno degli album più coesi e godibili della loro già notevole produzione.
Mentre la band ha annunciato che l'ultimo "probabile?" capitolo del 2017 sarà un insieme di canzoni che non hanno trovato posto nei quattro dischi già pubblicati, si fa sempre più forte la sensazione che i King Gizzard & The Lizard Wizard non abbiano ancora inserito nel loro lessico il termine compromesso, e questa è una delle migliori notizie per chi segue da anni la loro imponente produzione discografica.
28/12/2017