Ciò che stupisce della nuova uscita della Mark Lanegan Band non è tanto la componente elettronica, che aveva già adottato in alcuni episodi da "Blues Funeral" (4AD, 2012) e che tocca anche il precedente "Gargoyle" (Heavenly, 2017), quanto l'influenza netta sul suo sound della musica inglese degli anni Ottanta, soprattutto new wave/synth-pop. Come non pensare alla dark-wave di Siouxsie e dei Cure di "Pornography" in brani come "Dark Disco Jet"? Lanegan oggi osa in buona compagnia: quella tra alternative rock e new wave è infatti un'associazione che in tempi recenti ha affascinato anche un'altra band alt-rock anni 90 della Northwestern Coast, le Sleater-Kinney, che con "No Cities to Love" (Sub Pop, 2015) e "The Center Won't Hold" (Mom + Pop 2019) si sono avvicinate a un pop-rock elettronico che ha attinto molto a quel panorama musicale del Regno Unito.
L'andrenalinico incipit elettrico di "Somebody's Knocking" illude l'ascoltatore di trovarsi di fronte a ciò che è noto grazie al surf-blues-rock di "Disbelief Suspension", ma l'illusione nostalgica inizia a svanire già con i beat elettronici e i synth di "Letter Never Sent", che si insinuano tra le chitarre. L'impatto iniziale di questa nuova uscita è quasi respingente per i "laneganiani" di ferro, ma lentamente il disco si apre, in particolare grazie alla capacità del suo creatore di sperimentale più sfumature della sua espressività vocale e della sua capacità narrativa tramite la melodia, senza disdegnare soluzioni pop e cantabili, come in "Gazing From The Shore". Le storie raccontate da Lanegan sono le stesse, anche il suo vocabolario, ma stavolta è il medium ad essere completamente diverso.
Altro punto interessante dell'album sono i ritornelli: quando un brano sembra portarti in una direzione e riecheggiare troppo qualcosa di pre-esistente, il crooner di Ellensburg sceglie un'altra melodia e vira verso l'inaspettato. Emblematico di queste due caratteristiche del disco è "Name And Number", tra svolte inattese e quella coda sbilenca in cui il sassofono e i synth danno un gusto di X-Ray Spex e New Order. In "Somebody's Knocking", si trova anche l'impensabile: le tastiere sintetiche da Depeche Mode in "Penthouse", l'electro-gospel di "Paper Hat" o l'indie-funk di "War House". Chiude il cerchio la languida e conturbante ballad "Two Bells Ringing At Once", che Lanegan avrebbe potuto scrivere per i Chromatics.
Difficile dire che "Somebody's Knocking" sia un album riuscito, nonostante una manciata di brani notevoli come la ballad dream-pop "Playing Nero", a metà strada tra i Joy Division di "Atmosphere" e i Jesus and Mary Chain di "Darklands". Ma questo è il Lanegan che ci piace: il Dark Mark che sperimenta coi synth di Not Waving, così come il vecchio crooner che gioca col pop e non si adagia nelle nicchie di genere, risultando a tratti più audace di illustri colleghi della stessa generazione come Thurston Moore.
Lanegan continua a dirigersi verso l'ignoto e più si trova nel buio, più assapora la libertà, e forse anche la liberazione dal fardello del grunge e dal peso dell'essere un "sopravvissuto" di quella stagione. Quindi ben vengano album coraggiosi e transitori come "Somebody's Knocking", anche se tappe di passaggio confermano la direzione esplorativa intrapresa e l'abbandono degli stilemi di quel grunge-blues che lo hanno reso "Mark Lanegan, il cantante degli Screaming Trees".
20/10/2019