Dream-rock esistenziale. Erano quasi sette anni che i Junodream bazzicavano in giro, riempiendo l’attesa che li separava dal loro primo album in studio con la pubblicazione di materiale sparso di buona fattura, dove a spiccare erano elementi di matrice psych e space-rock. Il nome del progetto londinese guidato dal cantante e tastierista Ed Vyvyan trae ispirazione da “Julia Dream”, splendida B-side psichedelica dei Pink Floyd; questi ultimi, insieme a Radiohead e Spiritualized, figurano tra i loro principali punti di riferimento. A farla da padrone nel debutto “Pools Of Colour” sono inoltre una gran quantità di influenze nineties e dei primi anni Zero, che viaggiano tra l’imprescindibile calderone britpop, l’alt-dance dei Brazilian Girls, note dreamy, shoegaze, trip-hop in zona Portishead e Zero 7, e il pop cosmico dei Laika e degli Air. Non mancano inoltre gli insegnamenti beatlesiani, così come quelli dei Wings e di Lennon solista, fino ad arrivare ai numi tutelari dei giorni nostri con Fontaines Dc e (ovviamente) Smile in testa.
I ragazzi hanno studiato e assimilato al meglio la lezione anni Novanta e inizio Duemila, e lo si percepisce canzone dopo canzone, dove a risaltare è un’impronta personale non votata alla semplice imitazione o alla nostalgia, affiancandosi così al debutto di un altro giovane che in tale materia era stato promosso a pieni voti, ovvero Jacob Slater in arte Wunderhorse.
A livello di liriche, l’esordio del quartetto presenta come argomento portante la dilatazione dello spazio nella vita odierna: a partire dalle distanze fisiche, emotive, e sociali, i cui vuoti vengono colmati da sensazioni di panico, solitudine e rabbia, a essere indagata attraverso le dieci tracce è la perdita di significato dell’individuo.
L’opera ingrana lentamente con la distopica ”Fever Dream”, il cui andamento conferisce un senso di attesa crescente che culmina in riverberi e note di tastiera, esaurendosi in una coda tra derive space e shoegaze, per poi fare presa al meglio con la più radio-friendly e danzereccia “Death Drive”, dove mood e ritmi reinterpretano in chiave pop parte delle trame sonore della “Porcelain” di Moby. L’oceano della placida “The Beach” spazza via i sentimenti di solitudine e depressione con una bassline solida sullo sfondo e ritornelli altisonanti, supportati da riff che richiamano alla memoria i Verve.
Si continua con i barlumi della malinconica ed efficace semi-ballad “Sit In The Park”, che illustra il desiderio di stabilire un contatto con qualcuno senza riuscire a esporsi per timore; il mix dream-pop e country-folk à-la Mojave 3 di “Pools Of Colour” e la chitarra acustica e i cori dell’ubriaca e trasognata “Close Encounters”. Arie trip-hop accompagnano il tema della perdita e il conseguente tentativo di ritrovare la pace descritto in “Happiness Advantage”, mentre un sentore claustrofobico di radioheadiana memoria aleggia sulla relazione tossica raccontata in “Kitchen Sink Drama”, per poi cedere il passo alla ballata scarna e lieve “Lullaby”, il cui protagonista combatte contro l'insonnia causata da uno stato ansioso.
L’ultimo tassello svelato in “The Oranges” contiene il messaggio positivo dell'opera: nei sogni non esiste il concetto di “insignificanza”, vi è perciò la possibilità di prendere il controllo del proprio universo interiore, determinando in questo modo la propria esistenza e il proprio significato.Crystallise future
Because tonight
We restore the moon
Infinity unfolds us
Pulls us up in two balloons.
I know it’s a dream
It won’t reverse
Until our solar beams
Destroy the universe
26/01/2024