Mystery Jets

Twenty One

2008 (Rough Trade)
pop

Qualcosa è cambiato (e forse in maniera irreversibile) anche per i Mystery Jets, band britannica che si rifà viva un paio d’anni dopo l’esordio “Making Dens”, passato quasi del tutto inosservato. Quel disco avrebbe meritato un’attenzione senz’altro maggiore da parte di pubblico e addetti ai lavori e resta ancor oggi un ascolto raccomandato, grazie ad un mix particolarmente felice di psichedelia policroma e saettante sulla scia dei Flaming Lips e arditi barocchismi pop tendenti all’affresco progressivo (a tratti quasi una versione in salsa pop britannica dei Mars Volta).
All’epoca si parlò soprattutto del fatto che all’interno dello stesso gruppo potessero convivere padre e figlio (Henry e Blaine Harrison), come se anche l’ultimo baluardo dello scontro generazionale fosse ormai capitolato ai piedi di un rock senza età ed eternamente giovane (o vecchio?), unitamente all’aneddoto che voleva il primo disco scritto e registrato quasi totalmente all’interno di un barcone attraccato sulle rive del Tamigi.

Di tutto questo patrimonio non sopravvive poi granché nel nuovo “Twenty One” (età media del gruppo, immaginiamo), che vede un progressivo allontanamento del padre Henry Harrison e un parziale ma significativo ritorno nell’alveo più rassicurante della contemporaneità, con conseguente perdita di quelle componenti più imprevedibili che a inizio carriera il gruppo sembrava poter mettere a frutto. Da questo punto di vista non è privo di valore ricordare che la produzione del nuovo lavoro è stata affidata al dj Erol Alkan (che ha curato la produzione anche del secondo Long Blondes, passato clamorosamente sotto silenzio, strano destino…), uno dei manipolatori di suoni più richiesti al momento. Il produttore britannico ha lavorato in direzione di uno svecchiamento complessivo del suono dei Mystery Jets, limando tutte la scaglie residuali di marca anni Sessanta, e agendo nel complesso come uno di quei (invero detestabili) consulenti d’immagine che ripensano l’abbigliamento e l’architettura estetica dello sfigato di turno per garantirgli il massimo successo possibile nelle discoteche di grido. Bè, bisogna ammettere che il gruppo di fan ne rimorchierà parecchi perché l’esperimento è riuscito in maniera brillante.

Sembra di ripetere sempre le stesse cose, ma anche qui la traiettoria fa slittare il discorso da John Lennon a Simon Le Bon e fatto salvo qualche episodio isolato (“First To Know”), l’attitudine sonora tende a sposare stilemi tipicamente anni Ottanta. Del resto la moda dice questo e allora non bisogna vergognarsi di godere sinceramente l’intelaiatura di synth e chitarrine funkeggiante di “Hideaway”, resa più preziosa (e fatalmente promessa al successo) da un gioco molto intrigante di cori e inaspettate  evoluzioni canore. C’è un po’ di tutto, dai The The ai Dexi’s Mindnight Runners, dai Blondie ai Roxy Music, da David Bowie ai Talking Heads, fino alla lezione di ballo impartita dai colleghi Franz Ferdinad, Klaxons e Hot Chip. Così quello che va a comporsi tra un orecchio e l’altro dell’ascoltare è un juke-box che lascia brillare nell’aria le sue canzoni come una collana di rutilanti monili pop, persi nel loro intricato volteggiare a tempo.

È sufficiente ascoltare in successione “Young Love” (dove fa una piccola apparizione la voce elegantemente timida e dimessa di Laura Marling), “Half In Love With Elizabeth”, “2 Doors Down” (con tanto di sassofono alla George Michael) e “MJ” per capire che da queste parti l’indie ha lasciato il passo e la parola alle ragioni del ritmo, e i vari New Order, Adam And The Ants e Human League del caso si prendono le loro rivincite ai danni dei ciuffi e delle frangette di chitarristi perdenti interessati solo a perlustrare la punta consunta delle proprie scarpe.

Tutti in pista, insomma, ma il gruppo sa alternare momenti in cui emerge una certa predilezione per atmosfere più placide e raccolte, costruite su tessiture soul melodiche dall’aroma Stax/ Motown, e da questa prospettiva “Flakes”, “Veiled In Grey” o “Umbrellahead” soffiano via un po’ di polvere dai vecchi vinili di Sam Cooke, Marvin Gaye e Otis Redding, provenienti da collezioni paterne che all’improvviso vengono allo scoperto con tutto il loro sorprendente potenziale di novità (vedi il caso emblematico dei Last Shadow Puppets).

In definitiva, si può parlare di un disco molto intelligente e decisamente ben fatto, che avanza una seria e credibile candidatura a colonna sonora dell’estate prossima ventura. La speranza è che l’estate in questione sia all’altezza di un disco come questo.

21/05/2008

Tracklist

  1. Hideaway
  2. Young Love
  3. Half In Love With Elizabeth
  4. Flakes
  5. Veiled In Grey
  6. 2 Doors Down
  7. MJ
  8. Umbrellahead
  9. Hand Me Down
  10. First To Know
 

Mystery Jets sul web