Se esiste un compendio musicale, emotivo ed estetico che rappresenti idealmente quello che sono stati i primi anni 80, nessun disco più di "Dare" può identificarsi in esso. Come descrivere altrimenti un capolavoro che è stato la testa di ponte della seconda British Invasion in terra americana? Senza le sue dieci canzoni, difficile immaginare che band di primo piano come Depeche Mode, Soft Cell, Tears For Fears, Simple Minds, Duran Duran, Eurythmics - ma pure gruppi considerati "minori" come A Flock Of Seagulls, Culture Club, Wham! e persino le meteore Bananarama - avrebbero sfondato da lì a breve, con irrisoria facilità, nelle chart di Billboard.
C'è anche una data precisa, è il 3 luglio 1982 quando "Don't You Want Me" si piazza in vetta alla top 100 dei singoli più venduti negli Usa, e ci rimane tre settimane. Da lì a seguire è un fiume in piena dove sguazzano allegramente "Tainted Love" (ben 43 settimane in classifica), tutti i singoli dei Duran dell'era "Rio", "White Wedding" di Billy Idol e "Addicted To Love" di Robert Palmer, solo per citare alcuni degli esempi più illustri. Per farla breve, nell'intero 1983, il 30% delle vendite di dischi negli Stati Uniti è appannaggio di band inglesi.
Ovviamente, il fenomeno non è dovuto a un meteorite precipitato senza preavviso sul suolo americano, la storia è più complessa e parte da Sheffield nel 1977, quando la Lega Umana, nata come The Future e composta di soli uomini (Philip Oakey voce, Martyn Ware e Ian Craig Marsh synth/programming e Philip Adrian Wright addetto ai visuals), esordisce sulla lunga distanza con il seminale "Reproduction". Erroneamente si parla di movimento New Romantic, perché in realtà la scena di Sheffield (comprendente anche i Cabaret Voltaire), è più futurista, influenzata dai Kraftwerk e da artisti emergenti come Gary Numan e The Normal. Essere punk coi sintetizzatori, questo il motto che si innalza dalle ciminiere delle fabbriche nel più grande centro industriale dell'Inghilterra del nord.
La mancanza di successo commerciale di "Reproduction" e del successivo "Travelogue", e la percepita mancanza di fiducia da parte della casa discografica sono le micce, insieme al clamoroso successo di "Are Friends Electric?" a metà del 1979, che portano all'implosione della band. A tenere in piedi la barca che affonda non bastano neanche due fior di canzoni che, ironia della sorte, qualche anno dopo saranno oggetto di revisionismo musicale, e cioè la pietra miliare "Being Boiled" e la trascinante "Empire State Human", completamente ignorate in prima istanza.
I rapporti, da sempre turbolenti, tra e Ware e Oakey si fanno ancora più aspri quando c'è da decidere le mosse future. Il primo insiste nel mantenere il proprio caratteristico suono elettronico sperimentale, l'altro vuole fame & money, sulla scia dei gruppi pop di maggior successo. I due galletti si scontrano di continuo, pare anche fisicamente, ed è inevitabile dirsi addio. In base a salomonici accordi stilati dal manager Bob Last, Oakey si appropria del nome The Human League, mentre gli scissionisti Ware e Marsh si dedicheranno a un progetto nuovo di zecca (da lì a breve infatti nascono gli Heaven 17).
Il mantenimento del marchio però costa assai caro all'ambizioso Phil, che di fatto diventa responsabile di tutti i debiti e gli impegni del gruppo, dovendo in aggiunta pagare ai due fuoriusciti le royalties del futuro eventuale album, in base al contratto Virgin.
Non solo. Oltre alla questione economica, emerge anche un problema musicale di non poco conto: non c'è più nessuno, all'interno di quel che rimane della Lega Umana, che si occupi delle macchine, dei suoni e degli arrangiamenti. E così Wright, rimasto fedele alla causa, viene mandato alla scuola primaria di synth. Il ragazzo si impegna, ha buone potenzialità e si farà, ma ancora non basta a garantire un futuro roseo, urge reclutare nuovi adepti. Oakey, che in questo periodo è in fissa con "Off The Wall" di Michael Jackson, decide che la banda necessita di una voce femminile in falsetto, che possa fare da contraltare alla sua oscura voce baritonale. E cosa c'è di meglio da fare, un mercoledì sera nel centro di Sheffield, se non andare in giro per locali a cercare una corista? Due ragazzine danzano intorno alle loro borse nella pista da ballo del Crazy Daisy, ignare che da lì a breve la loro vita cambierà per sempre: Susan Ann Sulley e Joanne Catherall in realtà sono solo due studentesse con tanta voglia di divertirsi, nessuna esperienza di danza e canto all'attivo. Senza pensarci un attimo, andando esclusivamente a intuito, Oakey chiede a entrambe di unirsi all'imminente Uk tour come ballerine e cantanti occasionali. Ma le ragazze sono ancora minorenni, e mamma e papà inizialmente si rifiutano di mandarle in giro. Immaginatevi la scena masterclass con il nostro Phil - haircut asimmetrico e sbilenco, borchie e rossetto, make-up accentuato e stivali a tacco altissimo - che si presenta all'abitazione delle fanciulle per convincere i genitori ad affidargli le figlie!
Il tour inglese, confermato anche dopo la dipartita degli scissionisti per evitare penali salatissime e la bancarotta, va così così perché chi ha comprato il biglietto in anticipo giustamente si aspetta di vedere la vecchia line-up al maschile, e non due poppanti senza arte né parte che sculettano sul palco. E sono quasi sempre urla e fischi di disapprovazione, se non lanci di birra e persino bottiglie. L'intento è comunque di utilizzare voci femminili nelle prossime registrazioni, e così Sulley e Catherall diventano membri a pieno titolo della band, da pagare su base salariale.
Forte del credito vantato nei confronti di Oakey e Wright, e stufa degli anticipi versati senza vedere alcun riscontro in termini di vendite, la Virgin spedisce senza tante storie la band in studio per registrare un nuovo singolo.
Siamo all'inizio del 1981, e "Boys & Girls" è un pezzo freddo, tetro, con i campionamenti delle campane della chiesa e un coro operistico che rimandano direttamente al periodo sperimentale predecente. Viene registrato senza alcuna voce femminile (le ragazze sono impegnate a scuola...) anche se entrambe le new entries sono immortalate nella copertina e nel materiale pubblicitario distribuito ai media.
La convinzione dei grossi papaveri dell'etichetta è che la band abbia comunque bisogno di una guida in cabina di regia. La scelta si rivela più facile del previsto perché proprio in quelle settimane esce, sempre su Virgin, il primo disco solista di Pete Shelley dei Buzzcocks, un pregevolissimo album di pop elettronico prodotto dall'emergente Martin Rushent. Giusto per inquadrare il personaggio, parliamo di uomo che non ha come scopo primario nella vita la cura del look: le foto dell'epoca lo immortalano grassoccio, guanciotte rubizze da contadina olandese e barbetta incolta con tanto di camicia scozzese in flanella. Nonostante questo, e qui sta il bello, ha libero accesso al Blitz di Londra, tempio dei New Romantics, dove un inflessibile Steve Strange passa le sue serate a respingere all'ingresso vip e pseudo-vip che si presentano all'ingresso in abbigliamento ritenuto non consono. Rushent invece è di casa, letteralmente, in quanto la sede londinese della sua etichetta Genetic è situata proprio al piano di sopra. E Strange e soci, che avranno pure mille difetti ma non sono certo privi di fiuto, gli lisciano il pelo con l'intento, poi riuscito, farsi produrre il primo singolo a nome Visage, cioè "Tar".
Tornando a noi, la prima mossa di Rushent, geniale nell'intuire prima di tanti suoi colleghi e musicisti il potenziale dei sintetizzatori e un futuro luminoso per la musica elettronica pop (mi sovviene solo un altro nome, Daniel Miller), è quella di convocare la band ai suoi Genetic Studios, lontano dall'atmosfera casalinga e a quel punto pure malsana, vista l'accerrima rivalità con i neonati Heaven 17, dei Monumental Studios a Sheffield.
Giunti dunque al cospetto di Rushent con il demo di quello che sarà il primo frutto della nuova collaborazione, "The Sound Of The Crowd" (in origine poco più che un'accozzaglia di ritmi martellanti senza una melodia ben definita), Oakey e soci erroneamente pensano di dettar legge convinti che il padrone di casa si sarebbe limitato diligentemente a fare da signorsì. Sorpresa, si trovano davanti un uomo deciso e irremovibile: deve essere chiaro a tutti che lui è il produttore, lui detta la linea e loro fanno quello che dice lui. Una sorta di dittatura democratica, ricorderà in seguito Rushent. Respinti dunque con perdite lo sfrontato leader e i suoi accoliti, la demo viene cestinata e il brano registrato praticamente da zero.
La Linn ML-1 drum machine, il Roland MC-8 Microcomposer e il synth analogico polifonico Jupiter 8 sono alla base dei clamorosi suoni e ritmi capaci di trasformare un embrione di canzone, apparentemente senza grande potenziale, in una esplosione di vitalità sintetica. Note gelide, robotiche e innovative, insieme ai pattern che pulsano furiosamente, danno vita a un ritmo irresistibile, non è consentito star fermi, e gira tutto intorno alla stanza mentre si danza, danza... (op. cit.)
Il brano è anche il primo a presentare una originale tattica di marketing, sebbene di breve durata, secondo cui i singoli sono etichettati con bollino rosso oppure blu per aiutare gli acquirenti a distinguere tra gli stili musicali della band. Il rosso è per i pezzi dance, e viene utilizzato per "The Sound Of The Crowd" (e più tardi per "Love Action" e ovviamente "Don't You Want Me"), il blu è riservato agli episodi pop più melodici.
La batteria di singoli messa in campo dalla Lega Umana nella battaglia decisiva per la conquista del synth-pop non ha eguali, e non sono ammessi prigionieri. Prendiamo per esempio "Love Action", un uptempo di gran classe dominato dai sintetizzatori analogici e da una melodia irresistibile, con un intermezzo rappato (anche se non è la prima volta, i Blondie con "Rapture" ci arrivano prima) a precedere il gran finale. È un nuovo stile di pop elettronico che avanza inesorabile, scevro da chitarre e tecnicismi musicali esasperanti, e anche la critica, acerrima nemica sino ad oggi, comincia a prenderne atto. Il testo è una sorta di resoconto autobiografico delle relazioni amorose di Oakey, che fa riferimento a se stesso parlando però in terza persona. Curiosa la frase "...but this is Phil talking", una citazione di un suo idolo di gioventù, Iggy Pop, che in "Turn Blue" (da "Lust For Life") canta "Jesus, this is Iggy". Anche il titolo "Love Action (I Believe In Love)" è ispirato alla canzone di Lou Reed "I Believe in Love", e il vecchio citato nel testo è proprio l'ex-leader dei Velvet Underground.
Dopo il clamoroso due su due, messa in soffitta la politica dei piccoli passi, in Virgin si convincono a concedere un lauto budget per la realizzazione di un album: "Open Your Heart" è il nuovo singolo, ma anche il primo pezzo scritto appositamente per "Dare". Il fatto che la sua pubblicazione avvenga quasi a ridosso del 33 giri, fa sì che il pezzo debba necessariamente fungere da potente veicolo promozionale, e per questo si gira un videoclip il cui storyboard ricalca fedelmente l'artwork dell'album. È anche il primo singolo col bollino blu, e quindi deliziosamente pop, composto in origine con la chitarra e poi sviluppato in chiave sintetica su due linee melodiche distinte, con un ritornello che arriva solo a metà brano.
Il titolo, le immagini, le foto e la grafica di "Dare" sono frutto di un colpo di genio di Philip Adrian Wright (responsabile del design nonché delle proiezioni nei live), che prende spunto dal numero di aprile 1979 di Vogue Uk, dove la parola "Dare!" brilla di un rosa neon sopra il primo piano di una modella. Il viso di ogni singolo membro della band, truccato esattamente come la modella della rivista, è inquadrato rettangolarmente, mentre sembra fissare il vuoto rappresentato dal bianco asettico che lo circonda, quasi a voler rimarcare il contenuto sintetico che caratterizza l'intero album. Il solo Oakey campeggia minaccioso sul fronte della copertina, con le ragazze riportate nella sleeve apribile interna e il resto della band relegato sul retro.
Ma non pensate che la la magnificenza di "Dare" dipenda solo dai singoli, perché il resto del materiale è altrettanto valido e forse anche di più, impregnato di atmosfere e sonorità sempre all'avanguardia ma più cupe, meno mainstream, a tratti claustrofobiche. "The Things That Dreams Are Made Of", per esempio, che ha il delicato compito di fungere da apertura, è sorretta da trame sintetiche impreziosite da una voce salmodiante che ripete, con tono perentorio, una serie di slogan che sembrano provenire dalla brochuredi un'agenzia di viaggio:
Prenditi del tempo per vedere le meraviglie del mondoUna sorta di metafora dell'ambizione degli Human League che in quel magico autunno del 1981 si sentono padroni del mondo. Ancora più interessante il trittico centrale, con "Get Carter", tema di un film poliziesco del 1971, che sfocia in una severissima e poco rassicurante "I Am The Law", dove un Oakey sempre più saccente nei panni di un agente di polizia si rivolge ai cittadini avvisandoli che il Male esiste e che lui ha il compito di proteggerli. Un tema, questo del cittadino davanti alla legge, che si ripete, con atmosfere ancora più sinistre, nella successiva "Seconds", sontuoso brano che prende spunto dall'assassinio di John F. Kennedy. Wright è affascinato dalla vita e dall'eredità politica del presidente americano e da tempo cova l'idea di scrivere una canzone che descriva il killer nel modo più poetico e meno scontato possibile: "Ci sono voluti secondi del tuo tempo per togliergli la vita", "It took seconds of your life to take his life it took seconds", questo il mantra che si ripete in loop per quasi metà canzone, a sottolineare il paradosso temporale che sussiste in quell'azione fugace, di pochi secondi, sufficiente però a causare la fine di una vita che sarebbe potuta durare ancora tantissimi anni. La programmazione della Linn Drum e i minacciosi accordi di bassline creano subito un'atmosfera tesa, sottolineata dal cantato di Oakey sotto un tappeto di synth che sembrano sirene, atmosfera che raggiunge il culmine a metà brano con una esplosione che simboleggia gli spari che uccidono JFK. C'è tanto kraut-rock e tantissimo del Bowie berlinese in questa che costituisce probabilmente la vetta creativa del disco.
Per vedere le cose di cui hai sempre e solo sentito parlare
Sogna la vita nel modo in cui pensi che dovrebbe essere
Vedi cose che pensavi non avresti mai visto
Fai una crociera in Cina o prendi un treno per la Spagna
Tutti hanno bisogno di amore e avventura
Tutti hanno bisogno di soldi da spendere
Tutti hanno bisogno di amore e affetto
Queste sono le cose, le cose di cui sono fatti i sogni
Stavi lavorando come cameriera in un cocktail barI due protagonisti di questa soap opera in salsa Britishsi fanno l'un l'altro la stessa domanda: "Non mi vuoi?", ma la disconnessione tra di loro è così profonda che non riescono nemmeno a sentirsi, come se ci fosse una barriera invisibile a dividerli:
Quando ti ho incontrato
Ti ho scelto, ti ho scosso
E ti ho fatto svoltare
Ti ho trasformata in qualcuno di nuovo
Ora cinque anni dopo hai il mondo ai tuoi piedi
Il successo è stato così facile per te
Ma non dimenticare che sono stato io a metterti dove sei ora
E posso rimettere giù anche te
Lavoravo come cameriera in un cocktail barIl demo presentava sonorità più dure e meno pop rispetto alla traccia definitiva inserita nell'album, che Rushent produce con maestria, ottenendo un suono più morbido e accattivante, anche se troppo poppy, secondo Oakey.
Questo è vero
Ma anche allora sapevo che avrei trovato un posto molto migliore
Con o senza di te
I cinque anni che abbiamo trascorso sono stati così buoni a volte
ti amo ancora
Ma ora penso che sia ora che io viva la mia vita da sola
Immagino sia proprio quello che devo fare
16/10/2021