Sono passati ben venticinque anni dall’esordio su Lp di
Damien Jurado, quel “Water Ave S” (in uscita una ristampa a settembre) che lo presentò definitivamente al mondo discografico dopo i primi Ep, eppure uno dei cantautori più di culto della scena americana non sembra sentire proprio i segni del tempo, continuando a pubblicare dischi senza sosta con una media che sfiora un Lp l’anno.
Ad essere più precisi, in realtà, Jurado gli anni li avverte sì, ma non li soffre, anzi, sembra quasi assaporarli con una tenera malinconia, nostalgia di incerti momenti di gioventù vissuti tra sogni dinamici e realtà confuse che diventano poi la fonte di ispirazione principale per questo nuovo “Reggae Film Star”.
L’ennesimo capitolo della saga del cantautore di Seattle conferma, come se ce ne fosse bisogno, le grandi qualità di scrittura del Nostro, che ad ogni disco cerca piccole sfumature diverse di una poetica che, nonostante l’inflazionato mondo in cui si inserisce, quello del folk americano post-
Elliott Smith, riesce sempre a spiccare per sincerità e calore.
Per questo episodio Jurado sembra voler infatti compiere una sintesi di questi approcci, evocando un folk urbano candido e assolato, impreziosito da lievissimi inserti di archi e piano a tratti intangibili.
Emblematica dell’approccio è la splendida “Roger” posta in apertura a presentarci il primo dei personaggi cui Jurado dà vita in questo album ispirato e ambientato nel mondo del cinema, in particolare nell’immaginario delle produzioni B-movie degli anni 70 e nei ricordi dei pomeriggi di gioventù del cantautore passati in compagnia di queste pellicole e dei loro strambi abitanti.
La successiva “Meeting Eddie Smith” stupisce con i tocchi latini dati dalle percussioni, mentre “Taped In Front Of A Live Studio Audience” ha venature R&B e “Day Of The Robot” presenta un approccio più pop che rimanda quasi alla dolcezza di “
Parachutes”.
Piccole variazioni su temi acustici che incantano ascolto dopo ascolto anche nei bozzetti più brevi ed enigmatici, come “Roger’s Audition”, con i suoi rintocchi di piano, e “The Pain Of No Return”.
Sublimazione della malinconia juradiana è “What Happened To The Class Of ’65?”, piccolo capolavoro del disco, dal testo tanto sconsolato quanto toccante.
Meritano menzione anche lo slowcore acustico di “Location, Undisclosed (1980)”, che si anima nella parte finale con due azzeccati cambi ritmici, e “Ready For My Close Up”, anch’essa spezzata in due parti, una prima più languida e una seconda caratterizzata da un falso crescendo.
In poco più di 35 minuti, Jurado disegna un mondo in cui realtà e fiction si mescolano sino a confondersi totalmente. Un mondo dal sapore vintage, avvolto in un primo pomeriggio caldo, trascorso nella penombra di una stanza solitaria, con un vecchio programma un po’ surreale che in modo agrodolce ci fa assaporare vecchi ricordi e, nella sua sconclusionata comicità di serie B, descrive meglio che mai il mondo reale, attuale.
18/07/2022