Secondo John Dwyer, tempi duri spingono gli artisti a creare musica dura e le uscite underground degli ultimi anni non mentono. C'è una tendenza a ricercare forme sempre più estreme. Se qualcosa sta cambiando, nessun problema: il cambiamento è una costante assidua nella carriera di Dwyer, che anche questa volta si adatta all'ennesima trasformazione. Dopo la pausa di un anno presa nel 2021 (non era mai accaduto nella storia della band), che comunque ha visto Dwyer impegnato con la serie di progetti impro ("Bent Arcana", Witch Egg, "Gong Splat", Moon Drenched e "Endless Garbage"), gli Osees tornano con il ventiseiesimo album in carriera, l'apocalittico “A Foul Form”, il cui germe era già stato inoculato nel precedente “Protean Threat”: qui alcuni brani (“Dreary Nonsense”, “Terminal Jape”, “Scramble Suite”, “Persuaders Up!”) richiamavano influenze dirette dall'hardcore e dallo skate-punk anni 80. Influenze che Dwyer stesso cita per “A Foul Form”: Bad Brains e Black Flag in testa, senza dimenticare synth-punk (Screamers), il punk europeo (Abwärts) e l'anarco-punk inglese (Crass e Rudimentary Peni).
Gettato alle ortiche l'armamentario prog di “Face Stabber” e “Metamorphosed” (dove comunque i pezzi tirati non mancano), Dwyer e soci si tuffano a capofitto in un personale tributo a hardcore, punk e noise. Registrato nello studio casalingo di Dwyer, rigorosamente in bassa fedeltà, “A Foul Form” potrebbe essere definito un ritorno alle origini (il tono nostalgico delle liner-notes punta in quella direzione), se non fosse che negli anni 90, Dwyer faceva noise e non punk: nonostante questo, con metà della band cresciuta con un piede nella scena hardcore della Bay Area (Dan Rincon e Tim Hellman), Dwyer riesce a tirare fuori uno degli album più brutali e credibili della sua intera vita musicale, anche se l'idea che si tratti di un riuscitissimo esercizio di stile è dietro l'angolo.
Lontani dai deliri noise di Netmen e Pink&Brown e dal gunk-punk dei Coachwhips, gli Osees di “A Foul Form” hanno le radici negli anni 80, ma la testa rivolta al futuro: con una formazione così particolare (due batterie, chitarra, basso e tastiere, in ambito garage-punk gli unici ad avere una line-up così erano stati i Piranhas,) l'hardcore-punk si ibrida con ciarpame elettronico (“A Burden Snared”), scudisciate proto-metal (“Funeral Solution”), detriti noise (“A Foul Form”) e flussi darkwave (“Too Late For Suicide”), dettando lo stile per il punk del 3000.
A livello tematico, gli Osees sono lontani dalla critica sociale dell'anarcho-punk britannico: da buoni americani, vagheggiano un generico anti-autoritarismo e un insurrezionalismo che non fa altro che rinforzare il messaggio che il mondo sia un luogo brutale e violento a cui bisogna, in un modo o nell'altro, rispondere per le rime. Il tardo-capitalismo genera mostri e dagli Osees non aspettatevi soluzioni o teorizzazioni: vi dicono solo che, per il momento, si combatte e basta. E scusate se è poco.
14/08/2022