Quasi vent'anni prima del successo mondiale dei Nine Inch Nails, nascono in Inghilterra i Killing Joke, massimi ispiratori della "danza apocalittica" di Trent Reznor. La band si forma nel 1979 e annovera il cantante Jaz Coleman, il batterista Paul Ferguson, il chitarrista Geordie e il bassista Martin "Youth" Glover. Emuli dell'art rock nevrotico dei Pere Ubu, ma anche del dark-punk spettrale di Siouxsie and The Banshees, i Killing Joke danno vita a tre singoli dirompenti, che li portano alla ribalta nella scena underground britannica. "Are You Receiving" risente ancora dell'onda lunga del punk, mentre l'ossessiva "Requiem" e la robotica "Wardance" mettono subito in luce la peculiarità del loro sound. Un sound da incubo post-industriale, costruito su tessuti elettronici distorti, sulla cadenza meccanica del basso e sul canto gridato e angosciante di Coleman. Liriche funeree e desolate completano il quadro.
L'album d'esordio Killing Joke (1980) è la sublimazione di questo stile, in bilico tra hard-rock e new wave, punk e gothic-rock. La sua violenza nasce da un connubio tra martellanti suoni dance, strati di puro rumore industriale e punk metallico, sconquassati da feroci percussioni tribali e combinati con melodie semplici, nello stile della new wave più classica. Svettano la liturgia catacombale di "Tomorrow's World" dall'andamento lento ed enfatico alla Siouxsie, la danza tribale di "Bloodsport", la sarabanda metallica di "The Wait (Malicious Damage)", la dissonante "Change" e l'avanguardistica "$.0.36". Chiude l'opera la digressione strumentale di "Primitive, all'insegna di un trittico chitarra-basso-batteria che crea un clima da dramma incombente. Coleman prefigura scenari catastrofici, richiamandosi alla scienza dell'occulto: "Non credo nella religione - spiegava nel 1981 - ma preferisco indagare le cause naturali, studiare la simbologia e le radici dell'occulto, che sono state oscurate dalle istituzioni religiose. I Killing Joke sono solo uno stato della mente: la consapevolezza di ciò che ci circonda".
Le sonorità violente e metalliche degli esordi si stemperano progressivamente in canzoni pop-dark con cadenze sempre più ballabili, seppur immerse sempre in atmosfere gelide e depresse. Il secondo album, What's This For (1981) propone un pugno di brani distorti, che si snodano su basi elettroniche e battiti tribali. Tra i più riusciti, "The Fall of Because", "Unspeakable" e "Follow the Leaders", esempi di una originale commistione tra funk e hardcore, elettronica e dub. Il tutto in un clima da apocalisse prossima ventura. Un'apocalisse che lo stesso Coleman profetizza, andando ad attendere la "fine del mondo" in Islanda.
Il successivo Revelations (1982) frutta il primo hit-single, "Empire Song", ma non aggiunge molto al loro repertorio. Dopo l'uscita del disco, il bassista Youth lascia la band, rimpiazzato da Paul "Raven" Vincent. Il risultato è il sound più accessibile e melodico di Fire Dances (1983), con brani come "Feast Of Blaze" e "Let's All Go", in cui i toni hard vengono ulteriormente attenuati.
Night Time completa la svolta: la violenza si dissolve in un clima di malinconica tristezza, influenzato dall'esistenzialismo di band dark come Joy Division e Cure. Il furore dinamitardo e le assordanti distorsioni degli esordi lasciano spazio a un pop decadente, venato da oscuri presagi. Il singolo "Love Like Blood", una delle più belle dark-song di sempre, diventa uno degli inni della new wave e garantisce ai Killing Joke un buon riscontro commerciale. Il nuovo corso prosegue con il sofisticato Brighter Than a Thousand Suns del 1986, prodotto da Chris Kimsey (Jesus And Mary Chain), che mescola pop melodico e ambientazioni onirico-spettrali, proponendo due brani degni dei tempi d'oro come "Sanity" e "Adorations".
Quando sembrano vicini allo scioglimento, i Killing Joke ritrovano nuova linfa, grazie all'arrivo del batterista Martin Atkins (Pil). La formazione - ora un quartetto con Atkins, Coleman, Walker e Raven - incide nel 1990 Extremities, Dirt & Various Repressed Emotions (1990). Ed è proprio l'impetuoso "drumming" del batterista a caratterizzare l'album, con episodi ad effetto come "Age Of Greed", "Money Is Not Our God" o "Inside The Termite Mound". Atkins porta in dote il caos ritmico e il senso di smarrimento tipici dei Pil, accentuando la drammaticità già insita in brani come "Solitudine" e "Slipstream".
Coleman, nel frattempo, si dedica con Anne Dudley (Art Of Noise) all'album di world music Songs From The Victorious City, chiamando al suo fianco un'orchestra tradizionale egiziana. E' così Atkins a prendere in mano le redini del gruppo. Murder Inc (1992), orfano di Coleman, tenta di aggiornare funk e hip-hop in chiave rock. Il cantante torna invece su Pandemonium (1994), album incerto che non sa decidersi tra elettronica rarefatta alla Tangerine Dream e hard-rock in stile Led Zeppelin.
Democracy (1996) non fa che completare la parabola discendente, anche se la title track rivela a tratti qualche barbaglio degli anni d'oro.
Nel frattempo, però, Coleman e soci sono diventati il gruppo di riferimento di un'intera generazione di band, dai Nine Inch Nails ai Ministry, passando per Deftones e Korn. Il loro stile "apocalittico", generato dall'ibridazione tra new wave d'oltre Oceano (Pere Ubu) e futurismo d'oltre Manica (Throbbing Gristle, Ultravox), ha contagiato non solo la scena industrial, ma anche quelle dark-wave e noise-rock, rivelandosi una delle formule più influenti della storia del rock britannico. Autentici traghettatori dal punk e dalla new wave verso il rock moderno, gli ideatori del "gioco che uccide" sono riusciti a incassare dalla storia ciò che le vendite dei dischi (e talvolta anche i pregiudizi di certi critici) hanno loro a lungo negato.
Di nuovo sulle scene dopo sette anni di silenzio, Coleman e compagni sfornano Killing Joke 2003, disco ammantato di sonorità moderne, ma con una inconfondibile matrice anni Ottanta che potrebbe attizzare vecchie nostalgie represse nei fan degli Eighties. La produzione di Andrew Gill (Gang Of Four e i primissimi Red Hot Chili Peppers) riesce a dare un'accoppiata di basso (con Raven, e qualche tocco di Youth) e di batteria (Grohl) degna dei Killing più virulenti. Si picchia durissimo dall'inizio alla fine, con la classica voce declamatoria di Jaz Coleman a condurre le danze.
Un brano programmatico come "Death And Resurrection Show", posto in apertura, si dipana per sette minuti in uno spettacolare assalto frontale senza perdere un colpo. Un altro come "Implant" si distende in un terrorizzato quanto elegante heavy-metal dal sottotesto tecnologico e inquietante pregno dei vecchi sapori new wave.
In brani come "Total Invasion" certo fa un gran piacere sentire Jaz Coleman intento a mugugnare il suo grido di allarme, minaccioso e disperato come ai bei tempi. Ma quei riff "programmati" e marziali, che vanno a creare quel suono saturo e deflagrante di un esercito di chitarre metal disposte in formazione d'assalto, quante volte l'abbiamo sentito fare, e meglio, dai Ministry? Troppe, direi, dato che lo stesso progetto di Al Jourgensen ormai gira a vuoto su sé stesso da troppi anni, incapace di rinnovarsi in maniera decisa. Per i Killing Joke, il discorso è comunque diverso: la loro rabbia si sublima sporadicamente in apoteosi devastanti come "Asteroid", ma la violenza non riesce mai a farsi realmente destabilizzante, e le canzoni restano bloccate.
Il vero problema è che ormai gli allievi (Ministry, Nine Inch Nails) hanno superato i maestri.
Hosannas From The Basements Of Hell (2006) è però un'inaspettata prova di vitalità.
Jaz Coleman e Geordie Walker sfornano una raccolta kolossal (62 minuti) di inni da battaglia urbana come solo loro sanno confezionare.
Registrato a Praga con Mark Lusardi al mixer, il disco si snoda dunque su brani lunghi, ma non troppo articolati né, va detto, molto originali. Spietato e disperato come sempre il ruggito di Jaz Coleman, tanto rabbioso quanto annichilito in un terrore primordiale, e in combutta con le arroventate chitarre di Walker e l'indemoniata sezione ritmica, ridisegna come se nulla fosse le coordinate del crossover (la martellante, tiratissima "Implosion") e si lancia in invettive espressioniste come la sorprendente "Invocation", appassionante blob di immagini di guerra, violenza, sopraffazione. E se davvero non sapete chi siano i Killing Joke, allora scopritelo attraverso lezioni di storia del metal-industrial come la straordinaria title track, brano di devastante drammaticità, come "Majestic" o come quel furibondo assalto a testa bassa che è "Lightbringer", dieci minuti a passo di carica senza perdere un colpo. Esaltante. Sonorità in effetti di cui oggi ne abbiamo piene le scatole, è vero.
Ma i Killing Joke ne hanno diffuso i primi insidiosi germi con un decennio abbondante di anticipo, e oggi, dopo quasi trent’anni di sofferta carriera, hanno il pieno diritto di risalire in cattedra e dimostrare che questa musica la sanno ancora fare meglio di legioni di più o meno giovani imitatori. E se da un lato Jaz e Geordie ammiccano al nu-metal con l'epica "Gratitude", mostrando però qualche incertezza, dall'altro sanno ancora sfornare classici che rasentano la perfezione come l'iniziale, entusiasmante "This Tribal Antidote", altra perla da aggiungere al loro già inimitabile repertorio.
Confermando un ritrovato stato di forma e una urgenza espressiva che ha quasi del miracoloso, se si pensa che questi meravigliosi hooligan del rock britannico sono in giro dal 1979, Hosannas ci mostra una band ancora capace di fotografare alla perfezione un mondo che oggi come allora affonda in paure e tensioni, violenza e degrado sociale, morale, politico, e ci dice che della new wave è ancora vivo e attuale il senso più profondo, non solo i suoni di superficie.
A ventotto anni dall'ultimo cataclisma rock in line-up completa, orfani del rimpianto Paul Raven - deceduto nel 2007 ed egregiamente sostituito dal bassista/produttore originale Martin "Youth" Glover - Coleman e soci scelgono, tanto per cambiare, il dissenso come fonte primaria delle loro ispirazioni per un ritorno in grande stile riassunto nell'album Absolute Dissent.
L'impatto del lavoro è senza dubbio gradevole nel complesso, considerata soprattutto la saggia alternanza stilistica dei pezzi. Ciononostante, i quattro sembrano crogiolarsi un po' troppo nella propria insurrezione, pur non mancando quell'apprezzabile volontà di non sfigurare al lento ma inesorabile trascorrere del tempo. Eppure, lo scherzo sembra aver perso parte della sua letalità. Non a caso, il risultato è decisamente più convincente nei pochi momenti in cui la truppa pare allontanarsi dal primitivismo vandalico insito nel proprio dna musicale. Così, gli assalti frontali quali la stessa title track, la cruda "The Great Cull", l'irrequieta "Fresh Fever From The Skies" e la devastante "This World Hell" rispolverano quel catastrofismo alienato mai spentosi nell'animo di Coleman, senza tuttavia pungere più di tanto. L'assenza di partiture industrial realmente incisive, di inserti elettrici mistificatori e bassi dub in pompa magna (eccezion fatta per "Ghost Of Ladbroke Grove") evidenzia da un lato un'ardita ma innocua compostezza thrash, dall'altro lato una ridotta istintività punk, frutto di una maggiore consapevolezza dei propri mezzi.
Il disco si nutre delle scorie punk, metal e heavy già accennate con efficace virulenza, mostrando tuttavia una preoccupante monotonia compositiva, che nemmeno le dovute stima, rispetto e mitizzazione riescono a far passare in secondo piano, relegando Absolute Dissent a un dignitoso quanto bolso esercizio di stile per fan e nostalgici della chitarra pesante.
Due anni dopo seguiràMMXI, a dimostrazione di come i Killing Joke si siano ormai racchiusi in un limbo atemporale. Basandosi su quanto fatto nei primi anni Novanta da gruppi come Helmet, il gruppo inglese dà luce a un deserto stilistico, in cui la ripetizione delle strutture e dei vocals mostrano una grave forma di anonimato. Brani come "In Cythera" (il primo singolo) e la conclusiva "On All Hallow's Eve" evidenziano particolarmente l'inefficacia comunicativa di una band che non sa bilanciare la rude violenza metal con elementi melodici senza mutare il tutto in una forma inconsistente e opaca. Di pari passo "Fema Camp", "Corporate Elect" e "Trance" sono dei puri monoliti di rock pesante virato thrash, che si aprono e chiudono in sé in vuoti giri ripetitivi.
Nel 2015 Pylon chiude la trilogia cominciata con "Absolute Dissent", tirando in un certo senso le fila dell'operazione. Il disco, grazie ad una migliore qualità nella scrittura, restituisce i tratti distintivi di una band di nuovo in salute e riassume anche trentacinque anni di carriera discografica.
Pylon riesce laddove i due dischi precedenti hanno stentato, pur non aggiungendo nulla a quanto sappiamo di Coleman e soci.
La convivenza tra brani dal lato più visceralmente aggressivo ("Dawn Of The Hive","I Am The Virus") e quelli dal lato più crepuscolare ("New Cold War","Euphoria") è nuovamente una realtà, anche se la durata media dei singoli episodi è spesso eccessiva.
Un buon esempio di questa impostazione è anche l'iniziale "Autonomous Zone", a tutti gli effetti un vero compendio dello stile della casa.
Disco godibile, a tratti intenso, non accampa pretese ma è buon reminder per rendersi conto che lo 'scherzo che uccide' ha ancora una sua ragione d'essere.
Contributi di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli ("Absolute Dissent"), Michele Guerrini ("MMXII") e Paolo Ciro ("Pylon").
Killing Joke (EG, 1980) | 8 | |
What's This For...! (EG, 1981) | 6 | |
Revelations (EG, 1982) | 5 | |
Ha! Killing Joke Live (Malicious Damage, 1982) | ||
Fire Dances (EG, 1983) | 6 | |
Night Time (EG, 1985) | 7 | |
Brighter Than A Thousand Suns (EG, 1986) | 6,5 | |
Extremities, Dirt & Various Repressed Emotions (Noise, 1990) | 7 | |
Murder Inc (1992) | 5 | |
Pandemonium (Zoo, 1994) | 5 | |
Wilful Days (Virgin, 1995) | ||
BBC Radio 1 Live In Concert (Windsong, 1995) | ||
Democracy (Zoo, 1996) | 5 | |
Killing Joke 2003 (Zuma, 2003) | 5,5 | |
Hosannas From The Basements Of Hell (Cooking Vinyl, 2006) | 7 | |
Absolute Dissent (Spinefarm, 2010) | 6 | |
MMXII (Spinefarm, 2012) | 5 | |
Pylon (Spinefarm, 2015) | 6,5 |
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