Tara Jane O'Neil

Tara Jane O'Neil

Post-folk in chiaroscuro

Dopo l'esordio come bassista nei mitici Rodan, l'artista statunitense si è conquistata negli anni un posto di primo piano nella folta schiera delle nuove cantautrici americane. Dai rumorosi fasti degli esordi al neo-folk in chiaroscuro delle sue prove soliste, la storia di Tara Jane O'Neil, polistrumentista, autrice di colonne sonore e disegnatrice di talento

di Marco Florio

A ben pensarci, c'è quasi sempre il nome di una città che si affianca, nell'immaginario dei cultori o dei semplici appassionati, a quello di un genere, di un movimento o di una tendenza nella storia della musica americana. Dici jazz e pensi a New Orleans, così come Memphis fa venire in mente il blues del delta e molte delle sue successive incarnazioni. Per non parlare di Los Angeles e New York, punti di partenza dagli anni Settanta in poi di numerose ed effervescenti esperienze del plurivariegato mondo del rock e di tutte le sue  molteplici declinazioni, dalla psichedelia all'hardcore passando per la new wave.
Louisville è una città del Kentucky che all'inizio degli anni 90 ha avuto il merito di ospitare una delle scene più interessanti del rock indipendente americano, vivissimo in quegli anni sia pur all'ombra dei grandi fenomeni commerciali che da Seattle muovevano alla conquista del mondo, e proprio a Louisville nacquero band come i Rodan e i June of '44, che partendo da due dischi seminali come "Spiderland" degli Slint (altra band di Louisville) e "Frigid Stars" dei Codeine, usciti qualche anno prima, ridefinirono i canoni dell'hardcore mutandolo in forme molteplici che avrebbero a loro volta tracciato i confini del cosiddetto post-rock, e dando vita a lavori degni dell'agguerrita e già affermata concorrenza dell'epoca (Big Black/Shellac, Fugazi, Unsane). Nei Rodan, fra gli altri, militava Tara Jane O'Neil, che all'epoca suonava il basso, strumento peraltro essenziale nelle poderose alchimie di "Rusty", straordinario e purtroppo unico disco della band.

Dalle ceneri dei Rodan e per iniziativa di Sean Meadows dei June Of '44, nascono nel 1996 i Sonora Pine, dei quali fanno parte, oltre a Meadows e Tara Jane O'Neil, Bob Weston, Kevin Coustas, Samara Lubelski e Rachel Grimes, tutti musicisti variamente attivi in quegli anni e nei successivi tra le band già citate (Weston suonava il basso negli Shellac di Steve Albini) e altre, come i Rachel's o gli Shipping News, a vario titolo protagoniste della scena di Louisville e dintorni. Una matassa intricatissima e fruttuosa, che avrebbe segnato in modo indelebile la musica indie dell'ultimo decennio del secolo, e anche in buona parte di quello successivo, negli Stati Uniti e non solo.
Il primo disco dei Sonora Pine (omonimo) esce nel 1996 per la Quarterstick e segna una svolta consistente rispetto alle sonorità dei gruppi da cui provengono tutti i membri della band. I furori post-hardcore dei Rodan e i mantra rumoristici dei June Of '44 lasciano il passo a brani più meditativi, debitori in egual misura del minimalismo di John Cage e delle suite da camera di Rachel's e Penguin Café Orchestra. Solo di rado ("The Hook", "Compass Lure" e la quasi fugaziana "Hoya Carnosa") si sente, seppur narcotizzata, una certa eco del rumoroso passato dei protagonisti.
La voce di Tara Jane O'Neil fa capolino in brani come "The Gin Mills", "Goldmund", "Ooltewah", seppur ancora troppo timida e in buona parte sovrastata dagli strumenti, talvolta abilmente scordati (le chitarre in particolare, un po' alla maniera dei Polvo). La sensazione è di un ensemble di grandi musicisti affini, ai quali manca però ancora un pizzico d'alchimia per raggiungere le vette già note ai vari gruppi di provenienza. Ma è pur sempre musica di gran classe.

L'anno successivo esce II, secondo disco della band, che del primo è naturale prosecuzione. I toni, e la stessa voce di TJ O'Neil, sembrano essersi quasi ammorbiditi ("Eek", "Cloister" e "Snow's Cut Snapshot" sono  vere e proprie ballate di folk in bassa fedeltà): è un disco senza cadute di tono ma che finisce per lasciare un senso di prevedibilità, come se la band non avesse altro da dire, e forse non è un caso che "II" resterà l'ultimo disco dei Sonora Pine.

Prima di intraprendere la sua ormai più che decennale carriera solista, Tara Jane O'Neil partecipa insieme all'amica Cynthia Nelson al progetto Retsin, il cui primo frutto è Egg Fusion del 1996, seguito nel 1999 da Sweet Luck Of Amarillis e nel 2001 da Cabin In The Woods. Sono dischi (soprattutto il secondo) che mostrano il lato più rassicurante della sensibilità musicale di Tara Jane O'Neil, un folk tenero con venature country fatto per lo più di voci e chitarra acustica, privo degli screzi, tipici dei Sonora Pine, che in varia misura torneranno invece nei dischi di TJ degli anni successivi.

Il 2000 segna il suo esordio come solista, con un disco intitolato Peregrine. L'apertura ("A City In The North") riecheggia le discordanze dei Sonora Pine, mentre "Sunday Song", "Another Sunday" e "The Fact Of A Seraph" virano verso un certo folk mite ed elegante; "1st Street", uno degli episodi più riusciti, è un altro brano folk dalle venature vagamente jazz (sembra una canzone dei June Of '44 riarrangiata dalla Joni Mitchell di "Blue"). Altrove ("Ode To A passing", "Bullhorn Moon") si riaffacciano i fantasmi, nelle forme ben note delle dissonanze chitarristiche già udite ripetutamente in passato, e le inquietudini che sembrano covare costantemente sotto la cenere, tenute a bada da un mood intimista e quasi carezzevole, un po' come accade in certi brani di Lisa Germano. Dal punto di vista musicale Peregrine è un disco suonato e arrangiato con approccio essenziale, scarno, alla maniera di "Pink Moon" di Nick Drake, con la voce che se ne sta timidamente in disparte, come se volesse confondersi con la musica e non interferire.

L'anno dopo è la volta di In The Sun Lines, edito ancora dalla Quarterstick, disco più sofisticato del precedente, grazie anche agli interventi di alcuni vecchi amici di TJ (Ida Pearle e Dan Littleton degli Ida, Rachel Grimes dei Rachel's). Lo spettro delle sonorità si è arricchito, gli arrangiamenti sembrano più meditati sebbene sia rimasta immutata la tendenza della cantautrice americana a scrivere canzoni disadorne, tutt'altro che spettacolari. La sensazione è che in studio la O'Neil abbia lavorato con maggiore insistenza sulla voce, e i risultati si vedono fin dall'iniziale, bellissima, "The Winds You Came Here On", un brano spettrale e inquietante che sembra condensare gli ultimi dieci anni della storia musicale di Louisville.
Sul tappeto di caotiche dissonanze assemblate ad arte di "Your Rats Are", un altro dei suoi vertici, sfila il duetto vocale della O'Neil con Dan Littleton, e stavolta sono proprio le voci a stemperare il magma degli strumenti, edulcorandolo senza snaturarlo.
"All Jewels Small" e "Bowls" sono due brevi strumentali, un po' Rachel's e un po' Tim Buckley, mentre in "Sweet Bargaining" sembra di ascoltare i Sonic Youth in versione soul-jazz. Ed è ancora una certa attitudine a metà tra il jazz e lo slow-core a colmare la quiete narcotica di "High-Wire" o i tenui drappeggi di chitarra e pianoforte della lunghissima "This Morning".
Si chiude con altri due strumentali, la placida "New Harm" e la quasi rumoristica, fin dal titolo, "A Noise In The Head".
Tara Jane O'Neil non ha doti vocali straordinarie, ma nei brani di In The Sun Lines sa usarle alla perfezione, e al contempo musica e arrangiamenti risultano indubbiamente più maturi e aristocratici di quanto non avvenisse in passato.

L'anno successivo, per l'etichetta Mr Lady, esce Tjo Tko, disco che accentua la vena sperimentale di TJ. Il ricorso più marcato all'elettronica e ad atmosfere vagamente lounge conferiscono ad alcuni brani un sapore simile alle ballate funere dei Portishead ("Prick", "Welcome Back", "If You Blue"), mentre in altri episodi il mood si rasserena fino a sfiorare un certo minimalismo ambient-folk che ricorda vagamente i Lofty Pillars ("With Yours") o il kraut-pop degli Stereolab, sapientemente rallentato ("Choo").
La vena creativa di Tara Jane O'Neil non mostra segni di cedimento, e con essa la voglia di sperimentare nuovi orizzonti sonori, tratto tipico di tutta la sua carriera di cantautrice e polistrumentista, e che troverà qualche anno più tardi riscontri importanti anche fuori dai territori strettamente legati alla musica.

You Sound, Reflect (2004) segna l'esordio con la storica Touch & Go di Chicago (da una costola della quale era nata nel 1990 la Quarterstick). L'iniziale, folgorante, "Take The Waking" è uno dei brani più belli della sua carriera, un miscuglio sapiente di ambient e slow-core,  condito da coretti persistenti quasi shoegaze. Colpisce poi la curiosa (e ben riuscita) quasi-cover di "Famous Blue Raincoat" di Leonard Cohen, che qui s'intitola "Famous Yellow Belly", mentre il folk della tradizione è protagonista di brani come "Howl", ballata degna della miglior Cat Power, o "Poisoned Mine",  forse il suo pezzo più celebre (per quanto il termine "celebrità" mal si addica ad un'artista testardamente sotterranea come la O'Neil), condito da un ritornello pop accattivante che farebbe la fortuna di Beth Orton.
"Without Push" è quasi country in stile Barzin, "A Snapshot" si arricchisce di echi darkeggianti, "Known Perils" aggiorna il folk da camera dei Rachel's su canoni cantautoriali, mentre il disco si chiude con l'inquieto strumentale  di "Tea Is Better Than Poison", altro omaggio al folk sofisticato di Louisville.

You Sound, Reflect è un altro disco ben riuscito di cui Bones, pubblicato lo stesso anno per la Preservation, sembra quasi una coda, con alcuni brani che si ripetono ("Poisoned Mine" e "Famous Yellow Belly", qui in versione meno sperimentale). Da segnalare "Enter This House" e "Redux", due brevi e strambi esercizi di ambient, tra l'house e il dub. Ancora echi dei Portishead in "Bullhorn Moon" e poco altro da segnalare.
Bones è forse il disco meno importante della sua carriera.

In Circles
, stavolta con etichetta Quarterstick, esce nel 2006 ed è un disco contraddittorio.  La linearità pop di ballate come "A Partridge Song", "A Sparrow Song" e "The Louder" (che sembra uscita da un disco dei Lush!), o il languido sentimentale à-la Mazzy Star di "Blue Light Room" finiscono per spiazzare chi è abituato dalla O'Neil a una forma canzone più introversa e imprevedibile.
Solo verso la fine, con la tenue psichedelia di "The Looking Box" e la filastrocca quasi ambient, molto colleeniana, di "This Beats", Tara Jane O'Neil ritorna verso certi territori enigmatici, a lei forse più congeniali.
In Circles sembra il classico disco di transizione tra due sponde distanti, per questo in un certo senso incompiuto.

Il suo mood sperimentale di artista a tutto tondo, da sempre attratta dalle arti figurative, trova nuove forme di espressione in un lavoro pubblicato l'anno successivo e intitolato Wings. Strings. Meridians., che oltre a una serie di outtake, bozzetti sonori registrati in casa ed estratti da alcune sue esibizioni live, contiene nell'edizione Yeti anche un book con alcuni disegni caratterizzati da un astrattismo desolato e inquieto, testimonianza nitida (ancor più di quanto avvenga nei suoi dischi) di un animo indiscutibilmente tormentato, di uno spleen mai realmente sopito.

Nel 2009, per la K Records, esce A Ways Away, disco che sancisce una volta in più il nuovo profilo di TJ, ormai apparentemente orientata verso i lidi più rassicuranti di un cantautorato di stampo neo-folk, seppur macchiato qua e là di una certa attitudine lo-fi e di tutte le spore che la cantautrice americana si porta in dote dal suo multiforme passato.
Una diffusa malinconia permea di sé ballate struggenti come "In Tall Grass" o la già udita, e qui riarrangiata, "Howl"; l'iniziale "Dig In" e soprattutto "A Vertiginous One" rievocano le tenui miniature dei Cocteau Twins di "Milk And Kisses", mentre "Drowning" quasi stupisce per l'esilità degli intrecci sonori e vocali.
I suoni di A Ways Away si sono rarefatti come mai avvenuto in passato: la nuova O'Neil somiglia sempre più per garbo a Marissa Nadler e sempre meno a Cat Power o a Lisa Germano, spiriti perennemente inquieti e sempre poco inclini a smussare spigoli e asperità, nonostante le apparenze.

Dopo due anni di assenza Tara Jane O'Neil torna nel 2011 con un disco firmato a quattro mani con la cantante giapponese Nikaido Kazumi, e che contiene una serie di tracce realizzate dalle due artiste tra il 2008 e il 2010.
Sono quadretti sonori larvali e improvvisati che più che altro sembrano servire alla distinta cantautrice per imastire l'ibrido e colorato poemetto di Where Shine New Lights (2014), tecnicamente strutturato come una collana di canzoni, una suite per voce e strumenti che passa in rassegna sottile evocazione orientale, fragili sonate contrappuntistiche e canto anemico, uno dei suoi album più radicali e uno dei suoi esperimenti più riusciti a dieci anni da You Sound Reflect e a vent'anni da Rusty.

Tara Jane O'Neil

Discografia


SONORA PINE

I (Quarterstick, 1996)
II (Quarterstick, 1997)
RETSIN
Egg Fusion (Simple Machine,s 1996)

Sweet Luck Of Amaryllis (Carrott Top, 1999)
Cabin In The Woods (Carrot Top, 2001)
TARA JANE O'NEIL
Peregrine (Quarterstick, 1999)

In The Sun Lines (Quarterstick, 2001)
Tjo Tko (Mr Lady, 2002)
Bones (Preservation, 2004)

You Sound Reflect (Touch and Go, 2004)
In Circles (Quarterstick, 2006)
Wings Strings Meridians (Square Root Books, 2007)
A Ways Away (K, 2009)
Where Shine New Lights (Kranky, 2014)
TARA JANE O'NEIL & NIKAIDO KAZUMI
Tara Jane O'Neil & Nikaido Kazumi (K, 2011)
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