Negli anni Dieci si è sviluppato un filone di giovani songwriter con la chitarra, moderne continuatrici di un ideale percorso che unisce le esperienze di PJ Harvey e Cat Power con quelle più recenti di Anna Calvi e St. Vincent, ormai assurte al ruolo di superstar mondiali. Ragazze pronte a raccoglierne l’eredità nell’underground, ognuna con le proprie caratteristiche, una generazione emergente intenta a rinnovare la tradizione aggiungendo elementi nuovi e personali, con Courtney Barnett e Waxahatchee stelle sempre più luminose e ricercate, e fra loro la non meno talentuosa Torres, nome d’arte (mutuato dal cognome di uno dei nonni) scelto dalla cantautrice americana Mackenzie Scott.
Nata a Orlando, in Florida, il 23 gennaio del 1991, ma di fatto cresciuta a Macon, Georgia (dopo essere stata adottata), Mackenzie da piccolissima inizia a suonare flauto, pianoforte, e a cantare prima nel coro della chiesa (Battista) e successivamente in piccoli spettacoli organizzati dalla sua scuola, innamorandosi sin dalla tenera età tanto dei musical di Broadway quanto delle canzonette frivolmente pop di Britney Spears. Di lì a poco inizierà a suonare la chitarra e a comporre i primi brani in cameretta. Trasferitasi per motivi di studio a Nashville, in Tennessee, si laurea in Composizione alla Belmont University Of Music, approfondendo anche i corsi di Letteratura Inglese. Consegue la laurea nel 2012 e durante l’ultimo anno accademico in parallelo dà corpo alla propria musica, attività che si concretizzerà all’inizio del 2013 con la registrazione delle tracce che confluiranno di lì a poco nel suo primo omonimo album.
Torres, è il risultato di cinque giorni di session realizzate presso lo studio casalingo di Tony Joe White a Franklin, nel Tennessee: dieci composizioni orgogliosamente autoprodotte e intrise di dolore, registrate con assoluta austerità di mezzi, imbracciando la propria Gibson. Senza assumere sorpassate pose da riot grrrl, bensì insinuandosi nell’alveo delle blueswoman più sofferte e appassionate, Torres racconta, attraverso il timbro sanguigno della sua voce, cronache di dominazione e sopraffazione, di violenza e di quotidiano tormento, con una forza e una profondità disarmanti, accomodandosi su un registro espressivo severo e composto, nel quale l’emotività affiora ancora con moderazione. Ne deriva una solida omogeneità d’insieme, in brani composti essenzialmente per voce e chitarra elettrica, che soltanto in rare occasioni concedono contributi esterni agli archi e a piccole intercessioni elettroniche.
Un esordio che trova le proprie coordinate di riferimento nella commistione di blues bianco, folk sudista e rock alternativo di derivazione nineties, che tende a macchiarsi di ispide pennellate country (“Moon & Back”, ma anche il commosso incipit di “Mother Earth, Father Good”, del resto ci troviamo dalle parti di Nashville…), a giocare per sottrazione intorno a lidi pop sofisticati e atmosferici (“Chains”), oppure a sfoderare le fosche dinamiche tipiche delle signore della canzone americana (“Honey”, “Jealousy And I”). Torres, un diamante ancora grezzo e a tratti acerbo, riesce a conferire a ciascuna traccia la propria cifra caratteristica, il tocco caldo e istintivo della sua interpretazione: l’istinto consente alla musicista di esprimersi con sconfinata libertà sopra i disadorni canovacci sonori, risultando mai meno che personale. Nelle fluttuanti direttrici melodiche, di una penna non ancora in grado di raggiungere un’impronta davvero risolutiva e una reale solidità d’impostazione, a colpire è soprattutto l’ispirata vena melodica e l’innegabile talento già evidente.
In quel di Nashville, Torres presenta in anteprima le canzoni dell’album, in quella che sarà soltanto la prima di una serie di date che la porterà a esibirsi sia negli Stati Uniti che in Europa, spesso come spalla di band già affermate, come gli Okkervil River.
Nel frattempo Mackenzie si trasferisce a Brooklyn, il suo nome inizia a girare, e nel 2014 trova la prima apparizione in un disco altrui, "Are We There" di Sharon Van Etten. Nel giugno dello stesso anno pubblica il nuovo singolo, “New Skin”, il quale anticipa il secondo capitolo della propria carriera, per registrare il quale si sposta per un periodo in Inghilterra, nel Dorset, ospite del mito Rob Ellis.
Sprinter, pubblicato il 5 maggio 2015 su Partisan Records, sancisce anzi tutto un cambio di look, con la Scott che muta il colore dei capelli dal nero all’ancor più attraente biondo. Le coordinate musicali mostrano una ricercata alternanza fra momenti melodici, a tratti persino malinconico-depressi e introspettivi, a decisi slanci elettrici, fra i quali emerge l’urgenza alt-rock di “New Skin” e “Sprinter”, in grado di stabilire la cifra stilistica dell’intero album.
La quiete prende il sopravvento in tracce come “Ferries Wheel” e la lunga conclusiva “The Exchange”, mentre i primi germi di una (seppur moderata) sperimentazione elettronica - che sarà approfondita in seguito - appaiono fra le spire di “Son, You Are No Island”.
Sprinter è il disco che impone Torres all’attenzione internazionale, nella ristretta cerchia di nuove cantautrici con la chitarra in procinto di diventare il nuovo riferimento per certo alt-folk-rock declinato al femminile. Le recensioni sono ovunque positive e diventa via via maggiore l’attenzione ricevuta sulla stampa specializzata, anche oltre i confini nazionali.
Il successivo Three Futures segna, oltre che il passaggio nella prestigiosa scuderia 4AD – con conseguenti maggiori mezzi a disposizione – anche un nuovo deciso cambio di direzione. A 26 anni Mackenzie Scott decide di mostrare il suo volto più elettronico, con Rob Ellis confermato in cabina di regia e St. Vincent eletta come principale musa ispiratrice (basti l’ascolto di “Skim” e dell’ardita “Bad Baby Pie”). L’elettronica a volte è lasciata decantare in uno stadio minimale, come nella lunga, morbida “To Be Given A Body”, sorta di manifesto programmatico dell’intero album, altre volte viene stratificata (“Greener Stretch”), sublimando il lavoro di scrittura della cantautrice, questa volta incentrato su synth e drum machine, sacrificando il ruolo delle chitarre.
Ma in Three Futures Torres non rinuncia a qualche frangente più ruvidamente rock, che torna prepotente nella parte finale di “Concrete Ganasha” e nella a tratti urlata “Helen In The Woods”, che si posiziona da qualche parte fra l’alternative rock degli anni 90 e la darkwave del decennio precedente. Al centro della narrazione vengono posti il corpo, il piacere, il desiderio, come ben rappresentato non solo dai testi ma ancor più esplicitamente dai videoclip, interpretati da una Torres mai così androgina. E mai così stilisticamente eterogenea: pur perdendo parte dell’urgenza rock che caratterizzava il disco precedente, si mostra abile a spingersi persino verso territori nu-folk, come accade nell’iniziale “Tongue Slap Your Brains Out”, cantata posizionandosi su un registro a metà strada fra Nico e Joni Mitchell. La copertina è studiata come un capolavoro di Velazquez: la protagonista – rigidamente seduta su un divano maculato – sembra rivolgere lo sguardo fisso verso lo spettatore, in realtà è completamente rapita dall’immagine femminile riflessa nello specchio alla sua sinistra.
L'etichetta 4AD, insoddisfatta per gli esiti delle vendite di Three Futures, nel 2019 decide di rescindere il contratto. L'annuncio viene dato dalla stessa Torres, la quale si lascia andare a un inequivocabile commento: fuck the music industry. Poco male: nel giro di qualche settimana si accasa presso la Merge, annunciando la pubblicazione di un nuovo album entro il 2020. A fine luglio del 2019 è intanto già fra i protagonisti di MRG30, un Festival organizzato in North Carolina per festeggiare il trentesimo compleanno della label indipendente.
Il 31 gennaio del 2020 è la volta di Silver Tongue, nove tracce nelle quali Torres dimostra di ambire a un ruolo più prossimo a quello di una songwriter più “canonica”. Un atteggiamento espresso ad arte nella nudità dai tratti pastorali dell’acustica “Gracious Day”, nelle radici folk dalle quali sboccia “Records Of Your Tenderness” e nella ode molto Sinead O’Connor “A Few Blue Flowers”. Ma l’immediatezza rock (quella di “Sprinter”, tanto per intenderci) non è andata completamente perduta: l’allontanamento dai sentieri più “alternative” è mitigato dal vibrante sussulto dei chitarroni “grassi” sui quali è costruita “Good Grief” (per molti cantautori rappresenterebbe il pezzo della vita), che giunge, oramai inaspettata, alla traccia n° 6.
Senza un brano del genere, Silver Tongue sarebbe parso un album incompleto, a tratti anonimo. E’ invece proprio da lì, e dalla presenza di ulteriori slanci up-tempo (Dressing America, “Last Forest”, con un’altra bella chitarra che si schiude sul finale), che ne parte una lettura più convincente e stilisticamente eterogenea. Il percorso risulta ben calibrato sull’alternanza di questi saliscendi emozionali, perfetti per fungere da rendicontazione degli alti e bassi di una relazione sentimentale, indagati nel corso di gran parte del disco, probabilmente influenzato da una love story privata del lieto fine.
La sfortuna di Silver Tongue fu quella di aver visto la luce appena pochi giorni prima che la pandemia si appropriasse di un pezzo delle nostre vite. La conseguenza fu l’impossibilità di poterlo promozionare, eccezion fatta per qualche apparizione sul web, fra le quali una particolarmente riuscita sulla mai troppo lodata KEXP, con la Scott che eseguiva alcuni brani per sole chitarra e voce, con un sorriso spontaneo e quella simpatia venata di malinconia che alleviò per una mezzoretta i problemi del periodo. Tempo qualche mese ed ecco che dall'isolazionismo imposto per decreto spunta il quinto lavoro di Torres....
Thirstier, pubblicato il 30 luglio del 2021, si apre con un feedback, la distorsione che dà il via all’iniziale “Are You Sleepwalking?”, a palesare con forza la rinnovata voglia di mettere in prima linea l’elettricità, come fosse un atto liberatorio. La radiofonica “Don’t Go Puttin Wishes In My Head”, la prima traccia resa nota, porta in dotazione un videoclip che diviene il nuovo manifesto sul tema “diversity” della cantautrice americana. In “Drive Me” l’approccio alt-rock è supportato da un velo di elettronica, ben più consistente nel sontuoso synth-pop da dancefloor espresso nella sorprendente “Kiss The Corners”. Una pioggia di synth si manifesta anche lì dove le atmosfere si fanno più eighties oriented, in “Hand In The Air”.
Torres conferma dunque la volontà di muoversi stilisticamente verso molteplici direzioni, con chitarre aguzze e frangenti melodici che si rincorrono per l’intera durata del disco. Le prime conquistano il centro della scena con la vibrante, upbeat, “Hug From Dinosaur”, intrisa di suoni crunch; ai secondi appartiene la dolcezza espressa in “Big Leap”, intrinsecamente ispirata da Joni Mitchell. In “Thirstier” (il brano) i due aspetti trovano un leggiadro equilibrio, dando vita a una canzone con tutti i crismi del potenziale evergreen. Il congedo di “Keep The Devil Out”, increspato di caos controllato, chiude il cerchio sulla nuova immagine della Scott, più positiva ed energizzante rispetto al passato, palesata attraverso uno dei suoi lavori complessivamente più riusciti, finalmente ai livelli di “Sprinter”, quello che tuttora resta il suo album di riferimento.
Nel 2022 Mackenzie convola a nozze con Jenna Gribbon, pittrice che sulla piazza di Brooklyn si sta ritagliando buona visibilità grazie ai ritratti impressionistici a grandezza naturale che molto spesso raffigurano proprio la Scott, immortalata in pose domestiche. La tanto agognata serenità schiude il percorso verso What An Enormous Room, pubblicato a gennaio 2024, disco nel quale Torres torna a proporre un guitar rock che non rinuncia a una decisa impronta propulsiva elettronica. Tutto ben evidenziato sin dall’iniziale “Happy Man’s Shoes”, traccia che prende spunto dalle sperimentazioni electro avanguardistiche degli anni Settanta, evidenziando un’evidente propensione funk, ben sottolineata dall’andatura del basso.
La bruciante “Life As We Don’t Know It”, meno di due minuti che rovistano fra le macerie della new wave, rappresenta il frangente più rock oriented del disco, al quale offre un’ottima sponda “Collect”, un synth-rock con evoluzioni da stadio che potrebbe dichiararsi figlio dei Depeche Mode di “Songs Of Faith And Devotion”. Dal lato opposto del ventaglio stilistico si collocano i momenti più intimi e raccolti, fra i quali l’introverso chamber-pop di “Songbird Forever”, le evocative evoluzioni di “Ugly Mystery” e soprattutto l’avvolgente ballad acustica “I Got The Fear”, che nella prima parte rivolge lo sguardo verso i Radiohead di “Karma Police”. Ciliegina sulla torta, il sontuoso passo di “Artificial Limits”, a certificare una scrittura sempre convincente, che non cela l’ambizione di raggiungere nuovi importanti traguardi.
Il 2024 è stato un anno significativo per la musica country, con molti artisti importanti (persino Beyoncè e Post Malone) che hanno scelto di cimentarsi (con alterne fortune) realizzando interi album che spesso hanno riscontrato un buon successo, anche oltre i confini degli Stati Uniti. Torres non fa eccezione e ad aprile 2025 ecco il suo album country, condiviso con la cantautrice Julien Baker.
Send A Prayer My Way, pur non avendo la pretesa di essere riconosciuto come un'eccellenza, è comunque un disco riuscito, che mette in evidenza ulteriori aspetti della complessa personalità artistica di Torres. Fra ballate folk ed istinti alt-country, l'opera di due artiste queer in un ambito tradizionalmente conservatore rappresenta una sfida al sistema americano, tornato da qualche mese saldamente nelle mani di Donald Trump e dei repubblicani.
Ancora molto giovane, ma profondamente matura nella scrittura, Torres è riuscita a ritagliarsi il proprio spazio vitale ispirandosi a modelli “alti”, confermandosi fra le migliori songwriter della propria generazione, forte di un’immagine in continua evoluzione, divenuta nel tempo sempre più difficile da catalogare. Per il momento ha sempre azzeccato ogni singola mossa…
Torres (self released, 2013) | 6 | |
Sprinter (Partisan, 2015) | 7 | |
Three Futures(4AD, 2017) | 6,5 | |
Silver Tongue (Merge, 2020) | 6,5 | |
Thirstier (Merge, 2021) | 7 | |
What An Enormous Room (Merge, 2024) | 7 | |
Send A Prayer My Way (with Julien Baker, Matador, 2025) | 6,5 |
Strange Hellos (da "Sprinter", 2015) | |
Sprinter (da "Sprinter", 2015) | |
Skim (da "Three Futures", 2017) | |
Three Futures (da "Three Futures", 2017) | |
Helen In The Woods (da "Three Futures", 2017) | |
Dressing America (da "Silver Tongue", 2020) | |
Don't Go Puttin Wishes In My Head (da "Thirstier", 2021) | |
Hug From A Dinosaur (da "Thirstier", 2021) | |
Thirstier (da "Thirstier", 2021) | |
Live On KEXP - Full Performance (May 2015) |
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