JAMES & THE BUTCHER – Platic Fantastic (2017, RNC Music)
brit-electro rock
Spesso si dice che l’Italia sia indietro di almeno un lustro rispetto alle tendenze musicali che nascono in Gran Bretagna, ma in questo caso, le cose possono essere messe sotto una prospettiva un po’ diversa. Sempre il sentimento popolare, infatti, indica in Shame e Cabbage i due esordi più interessanti tra quelli che provengono da Oltremanica, possibili punte di un movimento che restituisca genuinità a un indie-rock britannico sempre più lontano da sentimenti e stati d’animo della gente. Ebbene, pochi mesi prima, qui da noi è uscito l’esordio di questo terzetto bergamasco che ha la stessa attitudine sanguigna dei due dischi sopra citati e non vi si discosta molto dal punto di vista stilistico, se non per un uso molto più pronunciato di tastiere, synth e ritmiche digitali. Canzoni dirette e avvolgenti allo stesso tempo, e portatrici di un’emotività forte e ben valorizzata da una voce calda ed espressiva e da un uso della tecnologia non certo misurato, ma sapiente nell’essere perfettamente al servizio di un suono che tira fuori egregiamente le asprezze della società moderna (Stefano Bartolotta 7,5/10)
LELLO TRAMMA - Faccio un giro in tram (2018, Vibrartsound)
songwriter, folk-pop
Lello Tramma, classe ’79, non è di certo l’ultimo arrivato. Con i suoi Palkoscenico ha tirato fuori quattro dischi, dando vita a oltre quattrocento concerti in dieci anni di attività, facendo da opening act per artisti come Elio e le Storie Tese, Roy Paci, Khaled, Africa Unite, Caparezza, Linea 77 e Motel Connection. Tramma è un ragazzone di Grumo Nevano (Na), abile chitarrista e soprattutto sociologo attento ai drammi odierni di una generazione, la sua, devastata dai debiti accumulati dalla precedente e da una crisi che sembra essere finita solo sulle pagine dei giornali e in Tv. “Faccio un giro in tram” è il suo esordio solista e strizza in un secchio stracolmo di malinconia e disincanto i problemi quotidiani e i riflessi interiori di persone semplici costrette ad affrontare ogni giorno una lotta impari, tra finti alternativi, sindacalisti senza dignità, operai reietti, inguaribili bamboccioni, e chi più ne ha, più ne metta. Un excursus di liriche ammiccanti e irriverenti che combacia perfettamente con uno stile che affonda i propri denti nel folclore e nel pop, con tanto di orchestrina di archi e fiati. Le introduttive “A quarant’anni”, “Lo studente operaio”, e “Contro Tempo” mettono in luce la briosità compositiva di Tramma, che per certi versi ricalca le visioni del Brunori socialmente più impegnato, quello di “Vol. 2 - Poveri Cristi”, con la netta differenza di affrontare puntualmente la faccenda con sarcasmo e leggerezza. E anche quando è l’amore l’unico vettore sulla carta, le cose funzionano ugualmente benissimo (“Sto bene senza te”, la struggente “Le cose di te”). Insomma, un primo “giro in tram” riuscito e in buona compagnia (Giuliano Delli Paoli 7/10)
SIXCIRCLES – New Belief (2018, Phonosphera Records)
psych-rock, acid-folk
Della serie: proposte pensate per non andare fuori moda. Fra psych-rock, acid-folk e sane bordate di fuzz, ecco l’esordio del duo composto da Sara Montenegro e Giorgio Trombino, già con Elevators To The Grateful Sky e Furious Georgie. Realizzato fra Palermo e Padova, “New Belief” mette in sequenza nove tracce ad alto contenuto lisergico, che attingono tanto dalla contemporaneità dei Black Angels (“Come, Reap”) quanto dalla classicità dei 13th Floor Elevators. Un trip energico e a tratti dannatamente sexy, fatto di chitarroni e “California Dreaming” che prevarica tempo e spazio, una miscela che dimostra quanto i Sexcircles (questa la ragione sociale prescelta dai due) rimpiangano la Summer Of Love. Nel menù troverete tracce di stoner (l’iniziale “New Belief Begins”), belle rotondità (”Time Of Erosion”), sontuosi assoli (“The Prioson”, con la chitarra dell’ospite Alberto Piccolo), raga circolari progettati per tornare ad aprire le porte della percezione (“Blue Is The Colour”) e qualche sprazzo a tinte fosche/meditative, in odore di Doors (“Late To Awake”). Non è mai troppo tardi per sentirsi figli dei fiori (Claudio Lancia 7/10)
FUMO – Sogni (2018, Bulbart)
songwriter
Nicola Fumo è un cantautore venticinquenne napoletano, amante tanto del folk più intimista, quanto delle avanguardie elettroniche a tutto spiano. Un artigiano meticoloso di partiture acustiche struggenti, dannatamente profonde ed ermetiche tanto da scomodare a un primissimo impatto Nick Drake e il songwriting più cupo e dimesso dei meravigliosi ’70. Tuttavia, quest’ultima è solo un’impressione fugace e iniziatica, per quanto essenzialmente giusta, visto che le cinque canzoni contenute in questo Ep d’esordio - edito per la partenopea Bulbart - mettono in bella mostra un paroliere scevro da modelli di sorta e assolutamente personale, al quale fungono da volano armonie struggenti, egregiamente poste in bilico tra poetica illusione e vibrante disincanto, luce e (pen)ombra. Una voce intensa e accordi carezzevoli assecondano al meglio una scrittura avvincente, mai banale. Si susseguono così, una dietro l’altra, le pieghe umorali di “Appuntamenti”, e le prese interiori di coscienza della bellissima “Sensazioni”, in un climax di eterea ed eterna sospensione. Fumo riesce a isolarsi e a isolare con la classe di chi poggia con grazia la propria anima lungo le corde della propria chitarra, arricchendo l’atmosfera con piccoli squarci elettronici posti da tappeto con estrema delicatezza (“Estranei”). Un esordio colmo di pura passione che ammalia e che ci consegna un talento da segnare immediatamente sul taccuino, nell’attesa del primo effettivo Lp (Giuliano Delli Paoli 7/10)
LOW STANDARDS, HIGH FIVES – Are We Doing The Best We Can? (2018, Engineer Records)
alt-rock
Credibile “Americana” densa di increspature emo e spigoli elettrici, proveniente però non dall’altro lato dell’Atlantico, bensì dai dintorni di Torino, dove il quintetto si muove dal 2012. Ben tre chitarre al servizio delle nove tracce che compongono il primo album dei Low Standards, High Fives, brani che se provenissero da una indie-rock band newyorchese farebbero gridare al miracolo, e invece sul suolo natio devono faticare non poco per guadagnarsi le giuste attenzioni. Composizioni efficaci e ben strutturate (“Silent Decor”), belle digressioni strumentali (“Slow Dancers In A Rush Hour”) e incipit all’arma bianca (“Night Seeds”), con aromi che tendono a posizionarsi da qualche parte fra Cloud Nothings e Cymbals Eat Guitars. “Remember Me” e “Crazy Boy” (che si apre su lievi derive post-rock per poi esplodere) erano già state edite in precedenti Ep, ma oggi vengono riproposte con nuovi arrangiamenti. “Are We Doing The Best We Can?” è l’ennesima conferma che anche nelle salette prova di casa nostra si continua a fare dannatamente sul serio (Claudio Lancia 7/10)
SHIVER – SETTEMBRE Ep (2017, autoprodotto)
folk-pop
Quintetto di Lecco giunto al terzo Ep, e che ha all’attivo anche un lavoro sulla lunga distanza, gli Shiver cercano di mettere insieme i punti di forza delle belle melodie pop con il lato più energico del folk, quello in cui le chitarre acustiche e il banjo vengono suonati con vigore, il suono viene riempito di diversi altri strumenti come tromba, armonica, piano, con una sezione ritmica parimenti robusta e un timbro vocale che si adatta perfettamente al contesto sonoro. Queste quattro canzoni risultano un ascolto più che piacevole, e l’unica mancanza che si può imputare loro è l’originalità, vito che non i nota alcun tocco davvero personale e distintivo da parte della band. Al di là di questo problema che ci impedisce di spingerci troppo con gli elogi dal punto di vista critico, è comunque molto facile e appagante lasciarsi trascinare da queste canzoni, per cui, se non siete ascoltatori da “originalità o morte”, questo lavoro fa senz’altro per voi (Stefano Bartolotta 6,5/10)
NUJU - Storie vere di una nave fantasma (2018, Manita Dischi)
folk-rock
Sesto album in studio, “Storie vere di una nave fantasma” dei calabro-emiliani Nuju segue direttamente “Urban Box” (2015), come pure “Roba Lieve” (2015) del progetto parallelo La Rosta e l’antologia di rifacimenti “Pirati e pagliacci” (2016). La compagine, munita di ospiti, riprende a guidare la tardiva carovana del folk-punk rebelde italico con due delle loro più vorticose, “Carillon” e “Una faccia una razza”, e i loro classici ska acustici (“Tracce di coriandoli”) o dominati dalle tastiere (“Denaro”), ma anche con reggae-rap (“Polvere tra i sassi”, troppo alla Sud Sound System, la migliore “Onde Radio”), e una danza gitana in accelerando che nel testo si appropria della “Quelli che” di Jannacci (“Carta da regalo”). Oltre al doppio finale affidato a due ballate solenni, “Gluck” spicca: bella intro jazz-noir, ska-core d’assalto cantato in tedesco, elettronica che imita lo scacciapensieri. Livello stilistico di squisita medietà, ben suonato, un tono agrodolce immutato da capo a piè, inessenziale e innocuo eppur godibile. Mette tenerezza, non è aggiornato: non ha l’intellettualismo tagliente di Brunori e men che meno lo slang criptico dei trappers. Ma la fiaccola è ancora accesa e ha una certa precisione nella connessione (anche generazionale) coi temi meno comodi, primo tra tutti i migranti per mare, e naturalmente il romanticismo vecchia scuola, diretto e privo di sarcasmi. Co-prodotto con Latlantide (Michele Saran 6/10)
SUPERGA – Panorama Ep (2018, Boa Studio)
synth-pop, indie-rock
Il nome della band ricorda tragedie sportive mai dimenticate, ferite mai rimarginate. Ma anche una marca di sneaker tanto in voga negli anni 80. “Panorama” è un Ep di cinque tracce, prevalentemente basato sui synth e su certo pop raffinato di matrice eighties, con l’aggiunta di evidenti obliquità mutuate dai Flaming Lips e una spruzzatina di atmosfere psych-dreamy. “Glimpse” è la traccia nella quale i ragazzi riescono a mettere più a fuoco le proprie intenzioni, ma anche la successiva “Rabbit” emerge con disinvoltura, caratterizzata dall’utilizzo del francese nella parte finale, che conferisce un ulteriore tocco di classe e internazionalità. Un dischetto soft e ancor più rarefatto nella seconda parte (“The Universe”), che all’occorrenza non manca di incresparsi e divenire ruvido (“Supermarket Shelf”), ma sempre con eleganza. “Panorama” rappresenta l’esordio della formazione pugliese, attualmente di stanza a Roma: è solo l’inizio, ma l’attuale riflusso dell’immaginario legato agli anni 80 (qualcuno ha detto Baustelle?) non potrà che aiutare la diffusione di queste tracce morbide ed educate (Claudio Lancia 6/10)
STARCONTROL - Fragments (2018, Swiss Dark Nights)
dark-wave
I milanesi Starcontrol debuttano con un paio di Ep, “Star Control” (2011) e “The Ages Of Dreams” (2012). Una lunga procedura di maquillage produttivo porta poi al concepimento del primo lungo “Fragments”, anticipato dal primo singolo “First Love Is Dead”, una tiritera analogica ballabile New Order-iana. Proposito del complesso sembra comunque essere quello di accodarsi alla nu-wave per rileggere ancora una volta il catalogo della 4AD vecchia (Cocteau Twins: “A Cruel Day”) e nuova (National: “Among The Thorns”), ma in realtà spaziando discretamente dal melodramma dei Cure (“Rooms With No View”, una “Half A Picture” troppo simile alla “Lullaby”) a più sentiti lied per pianoforte non indegni dei Sisters Of Mercy (“What Remains”), che si espandono anche in ambient-pop su tempo quasi di tango (“Snow On The Lake”), fino a dolci narcosi (“Waves Of Grass”). Il terzetto (Davide Di Sciascio, canto, Laura Casiraghi, basso e canto, e l’anima, Matteo Zorzetto, chitarra, tastiera ed elettronica) ha tratto un disco in bilico tra imitazione e poeticismo, tra delicatezza e assillo di piacere, e di commuovere, a tutti i costi. Pareri discordi anche sul suono (contributi di Lucantonio Fusaro e Claudio Piperissa), prezioso fino all’estetismo. La personalità, tutta autodiretta, s’intona glacialmente teutonica, ma per abbellirla a dovere ci vorrebbero più “What Remains” e meno “Half A Picture” (Michele Saran 6/10)
BLACK BLACK ISTANBUL - Black Black Istanbul Ep (2018, Oh!Dear)
garage
Dal quartetto stoner oristanese dei Titan Amber si distaccano Claudio Fara, voce e chitarra, e Martino Pala, batteria, per formare il duo Black Black Istanbul. Il loro primo Ep omonimo esce a breve distanza dalla fondazione del progetto, ed è tutto basato su riff power-blues in solido equilibrio tra complessità ed eccitazione galvanizzante: “Head Stupid Head”, il panzer Zeppelin-iano “Bad Kong” che fa da singolo apripista, “Like Ralf Schumacher”. Tra le più articolate, “Arabian Uncle Room” ricorda vagamente qualche delirio di Steve Albini del periodo Rapeman. Ben dosata la chimica strumentale, piazzato accuratamente il composto esplosivo che ne deriva; la chicca dell’operina è la produzione del canto, d’argentea bassa qualità. Purtroppo le chitarre si caricano anche di scelte sbagliate (molta caciara alla Josh Homme e poco dell’intelletto di Jeff Beck). Paio perfetto con Gli Sportivi (Michele Saran 6/10)