Mezzo secolo di hip-hop

Compie 50 anni uno dei generi dominanti del Duemila

L’11 agosto 1973, al 1520 di Sedwick Avenue, nel Brox, Dj Kool Herc ha organizzato quella che è, ormai in modo consolidato, la prima festa hip-hop e l’inizio della storia di questo genere musicale. Ovviamente, si può stare ore a lambiccarsi nell’individuare possibili altri punti di partenza, ma visto che Dj Kool Herc è (quasi) unanimemente considerato un padre fondatore e visto che, se anche dovessimo cambiare questa data, si finirebbe comunque per sceglierne una poco prima o poco dopo, possiamo prendere per buono l’11 agosto 1973 come il giorno in cui l’hip-hop è arrivato in questo nostro mondo. Da allora, quel seme è diventato prima una piantina, poi un orticello e quindi una foresta.


Dopo i fondatori - tra i quali si annoverano almeno Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash, oltre al succitato Dj Kool Herc, a formare il sacro trimurti del genere - e i loro block parties sono arrivati i primi singoli, diventati poi essenziali per la storia del genere - ne citiamo quattro: “The Breaks” (1980) di Kurtis Blow; “Rapper’s Delight” (1979) della Sugarhill Gang; “The Message” di Grandmaster Flash; “Planet Rock” (1982) di Afrika Bambaataa. Le eterogenee esperienze dei primi artisti sono coagulate, nel giro di pochi anni, in una scena che trova già nei primi anni Ottanta una ricchezza notevole di voci, proposte e contenuti diversi. Quella che era una musica performativa, creata sul palco da deejay ed emcee diventa una questione interessante per l’industria discografica proprio in questo periodo, mentre esplodono sotto-generi e stili sempre più particolari. L’epoca d’oro, che solitamente abbraccia buona parte dei secondi Ottanta e i primi Novanta, vede protagonisti, tra tanti altri, Run-DMC, LL Cool J, Public Enemy, Boogie Down Production, Eric B. & Rakim, Ultramagnetic MCs, De La Soul, A Tribe Called Quest, Gang Starr, EPMD e Beastie Boys.

Dalla costa atlantica, poi, l’hip-hop si è moltiplicato: prima con il suono gangsta o, più genericamente, west-coast - dei vari N.W.A. (anche considerando Dr. Dre e Ice Cube solisti), Ice-T, Mobb Deep e del fondatore Schoolly D - e poi con la compagine southern - tra cui possiamo citare OutKast, Three-6 Mafia e Goodie Mob. E poi ci sono le scene nazionali extra-statunitensi, compresa quella italiana e i suoi trent’anni di storia, ma nessun approccio completo al genere può prescindere dall’affrontare anche quella francese, inglese, tedesca, canadese nonché quelle del Sudamerica e, perchè no, quelle delle principali nazioni asiatiche. Il seme dell’hip-hop si è diffuso nel mondo, attecchendo nelle culture musicali nazionali con risultati spesso inaspettati e, nel migliore dei casi, peculiari.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg, perché nell’affrettarsi e nel riassumere rischiano di rimanere fuori nomi che meritano una trattazione estesa, per i motivi più disparati: il genio massimalista Kanye West e l’enfant prodige Nas; l’hip-hop “suonato” dei The Roots e quello “strumentale” di Dj Shadow; la saga del Wu-Tang Clan e il personaggio del miliardario stiloso Jay-Z; la superstar bianca Eminen, il cui volto è uno dei più riconoscibili della cultura pop degli ultimi trent’anni, e il mascherato e prematuramente scomparso Mf Doom; il gigantesco (in tutti i sensi) Notorious B.I.G., il magnetico Tupac e lo smilzo Snoop Dogg; il sound gotico dei Cypress Hill, quello futuristico dei Deltron 3030 e quello assordante dei Dälek; il pop-rap dei Fugees e la “vena fredda” dei Cannibal Ox.

Il database Rate Your Music collezione oltre 200 mila album etichettati dagli utenti come hip-hop; nel 2023 quasi il 17% delle release aggiunte sul sito, molte più del metal e del punk. Tra gli artisti più ascoltati di sempre su Spotify, cioè con un totale di stream maggiore, ci sono artisti che suonano (anche) musica hip-hop a profusione: quattro in Top 10. Nielsen certifica l’hip-hop come la musica più ascoltata negli Stati Uniti dal 2017, ed è improbabile che le cose cambino a breve.
Per chi è nato e cresciuto in un contesto musicale dove l’hip-hop era una presenza secondaria, come da noi negli Ottanta e in parte nei Novanta, questo cinquantenario potrebbe essere l’occasione per smettere di guardare al genere come qualcosa di trascurabile, per chi voglia dirsi un appassionato di musica popolare contemporanea.

L’hip-hop non è, come si è cercato pure di far passare per tanto tempo, un figlio strano del rock o un trend che il pop riassorbirà a breve, tra una moda e un’altra, ma un genere musicale che merita l’attenzione e lo studio di chi voglia comprendere il sound degli ultimi decenni. Per dirla con Notorious B.I.G., “You never thought that hip hop would take it this far”.