Anni fa bastava una foto collettiva ad albero di Natale, un po’ come lo spot della Coca Cola degli anni 80 che non tutti ricorderanno, pubblicata sulla copertina di Tv Sorrisi e Canzoni nella settimana del Festival insieme ai testi delle canzoni, per far felici tutti e scatenare chiacchiere al bar sui possibili vincitori o sulla bontà delle canzoni. Da qualche anno invece le cose funzionano diversamente. E due mesi prima dell’inizio della kermesse più amata e discussa in Italia il conduttore di turno, che è anche direttore artistico, selezionatore e chissà quante altre cose, si presenta niente di meno che al Tg1, tra una crisi internazionale e l’altra, per diramare a inizio (!) e fine telegiornale i tanto attesi nomi dei big in gara. Ecco, i big. Si parte da qui. Perché Maninni è un big? Lo scorso anno c’era andato di mezzo Sethu, mentre Lda, cioè Luca D’Alessio, figlio di “tale” Gigi, veniva etichettato come raccomandato. La prima domanda è comunque sia alquanto naturale. Fatto sta che Maninni è un cantautore indie barese e rappresenta per Amadeus la fatidica “quota outsider” presente nel ventaglio sanremese. Già, perché Sanremo da quando è in mano al conduttore ravennate funziona come un spot della Benetton o una pellicola friendly della Disney: dentro deve esserci di tutto. Della serie: che non manchi nessuno, perché Sanremo è Sanremo e a vederlo sono tutti ma proprio tutti gli italiani. O quasi.
A ben sbirciare tra i ventisette cantanti che saliranno sul palco dell’Ariston dal 6 al 10 febbraio 2024 ce n’è per tutti i gusti o quantomeno per i palati più generalisti. A cominciare da Fiorella Mannoia che sarà a conti fatti la portabandiera dei cosiddetti “stagionati”, insieme a Loredana Bertè e ai Ricchi e Poveri. Questa infatti la triade attempata scelta da Amadeus per soddisfare il pubblico over sessanta. La Mannoia è appunto già stata cinque volte a Sanremo, peraltro anche come super-ospite nell’ormai lontanissimo 2000, è oltretutto presentissima in Rai con un programma tutto suo, in onda su Rai1, “La musica che gira intorno”. Dunque, in teoria, la sua presenza dovrebbe far sorgere qualche interrogativo sulla necessità di concederle ulteriore spazio anche dall’altro lato della carreggiata. Tutt’altro discorso per la Bertè, che al contrario della Mannoia (nomen omen?) incarna la ribelle senza tempo pronta a stravolgere ogni pronostico, come accaduto nel recente passato con la canzone “Cosa ti aspetti da me”, che nel 2019 finì quarta tra i buu di un Ariston che l’avrebbe voluta quantomeno sul podio. Applausi bissati poi con “Figlia di…”, singolo presentato nel 2021 ancora una volta all’Ariston, stavolta in qualità di ospite. Infine, i Ricchi e Poveri, che prendono il posto dei Cugini di Campagna nella speciale sotto-quota “âgé”, orfani purtroppo di Franco Gatti, scomparso lo scorso anno.
Veniamo poi ai giovani vecchi, ossia quelli che tradiscono l’anagrafe per lo stile di musica proposto da sempre. È una rappresentanza nutrita, che vede in cima il trio più amato dagli amanti della lirica ultra-pop bocelliana: Il Volo. Se però qualche anno fa i tre “tenori” potevano permettersi di vincere il Festival sfruttando l’onda lunga inaugurata da Bocelli, oggi le cose sono a dir poco cambiate e il Festival, dopo la prima vittoria di Mahmood, ha per certi versi aperto le porte alla cosiddetta musica giovane, la stessa che ispirava il grande Mino Di Martino nel brano capolavoro “Basta con la musica giovane”, una di quelle perle dimenticate contenuta in uno degli album più ingiustamente sottovalutati della storia della musica italiana: “Alla periferia dell’impero”.
Ma torniamo ai voli pindarici di Amadeus. Alessandra Amoroso e Negramaro sono gli altri finti freschi. La prima in realtà è stata una duettante al 69° Festival, quello presentato da Claudio Baglioni, con il quale cantò “Io che non vivo (senza te)”, ricevendo addirittura una standing ovation. I secondi hanno invece partecipato al Festival nel 2005 con la hit “Mentre tutto scorre”, venendo però eliminati alla terza serata, e sono riapparsi come ospiti d’onore sedici anni dopo, eseguendo in apertura (per uno strano scherzo del destino alla terza serata) “4/3/1943” di Lucio Dalla e la loro versione di “Meraviglioso” di Domenico Modugno. Amoroso e Negramaro sono comunque uniti da una missione, perché entrambi rappresentano quella quota di quarantenni/neo cinquantenni sintonizzati a (e da una) vita sulle frequenze amorose della Pausini o di un Massimo Di Cataldo a caso. Seguono a ruota la coppia Renga e Nek e la “ringiovanita” Emma, che oltre a provarci in tutti i modi a reinventarsi e a inserirsi nel nuovo calderone trap-rap italiano, con duetti discutibili accanto a Tony Effe, ultimamente, durante un concerto al Vox Club di Nonantola, ha avuto pure il coraggio di pronunciare queste parole: “Il rock è un’attitudine e sono la più punk rock grunge d’Italia”, che è un po’ come dire che Fedez è Ice Cube. Insomma, se i primi due se ne stanno buoni e sperano in un ripescaggio degli italiani, Emma ci crede. E “fa bene”, visto l’andazzo degli ascolti su Spotify inscenato nel 2023 (e non solo) dai giovanissimi amanti del rap made in Italy.
E ancora Diodato, uno che piace ai vecchi ma anche agli under 40, che potrebbe ri-sfondare con un ballata d’amore utile per tutte le occasioni. Il pugliese dovrà però vedersela con i più “freschi” Irama, Mahmood e Annalisa. Questi ultimi tre sono per certi versi tra i potenziali vincitori del prossimo Festival di Sanremo. Il primo ha dimostrato di poter cambiare pelle e adattarsi alla pappa reale dell’Ariston. Il secondo si presenta invece come Zidane in Champions League nel 2018 sulla panchina del Real Madrid dopo averne “appena” vinte già due di coppe dalle lunghe orecchie. Per la lanciatissima Annalisa potrebbe essere al contrario la consacrazione sanremese dopo quella radiofonica degli ultimi mesi.
Ed ecco finalmente i giovani, o perlopiù ciò che di “nuovo” passa la ditta Amadeus/Sony/Universal/Meta/continuate pure voi. Sono quindici ed è quindi il malloppo su cui la direzione artistica di Sanremo punta di più. A cominciare dai social network, che ormai influenzano (c’è ancora chi utilizza questo verbo in italiano) ogni cosa. Si potrebbe iniziare a dividere il gruppone per regioni o scene locali. Tipo Geolier che rappresenta la Napoli rap di quartiere che vola alto in classifica. Il ventitreenne Emanuele Palumbo, tuttavia, non è abituato a cantare, anzi potrebbe faticare non poco su quel palco alle prese con una canzone vera e propria, lontano dalle collaudate barre in dialetto. C’è poi Dargen D’Amico, che è ultraquarantenne e non dovrebbe starci in questa fetta sanremese. Ma ci finisce lo stesso perché a differenza dei tre ormai quasi trentenni de Il Volo, Dargen è giovane dentro e ha quantomeno sulla carta le potenzialità per uscirsene bene con una canzone tormentone tutta beat e in battuta libera. Grande attesa anche per Angelina Mango, che è lì perché ha i numeri dalla sua parte. Piaccia o meno, i suoi singoli hanno venduto non poco e impazzano (purtroppo o per fortuna) ovunque. Non sarebbe così da escludere una sua scalata anzitempo anche in quel di Sanremo. Ciò nonostante, la troppa foga sul palco di cui dispone potrebbe giocarle un brutto scherzo. E ancora Sangiovanni, pompato da major e De Filippi, che potrebbe ritrovarsi talmente spinto da uscire come Angelina fuori dall’orbita lunare. Così come Mr. Rain, o meglio il cantante dell’asilo che mette d’accordo le mamme sui gruppi whatsapp, riuscendo dove hanno fallito molti santi.
Discorso a parte merita Ghali, il (t)rapper sornione, (dis)impegnato, con un piede nei palazzi discografici di Milano e l’altro da qualche parte in periferia, che a Sanremo ci è già passato come stella del rap nel 2020, da super-ospite anzitempo. Per lui solo una seconda “Cara Italia” potrebbe consentirgli il botto. Il che non è per nulla facile. Ci sono poi i Kolors, che pur essendo di fatto stagionati in tutti i sensi, visto il recente successo di “Italodisco”, rientrano anche loro in questa fascia, per l’esattezza loro sostano allegri sul fronte “revival”, promosso da però chi non c’era e ne sa anche poco, come ci dimostra la gaffe consenziente in diretta con Linus su Radio Deejay: “Eh, questa è la italodisco proprio originale”, mentre passa “Funkytown” dei Lipps Inc., che è come dare dell’italiano a Bob Dylan. Al di là di tutto, il trio partenopeo ha dalla sua un suono inevitabilmente estivo, e con una canzone pimpante potrebbe anticipare i juke-box e sbancare al Festival.
A chiudere i sette autentici outsider. E non ce ne voglia il buon Maninni che è oltre il fuori pista. Fred De Palma, tornando un attimo sotto l’ombrellone, avrebbe il pezzo moombahton rap latino in canna, che a chi scrive provoca l’orticaria, a meno che non sei i Major Lazer di “Get Free”. La Sad hanno dalla loro l’emo punk smielato poco distinguibile che però fa moina in radio. Alfa ha il ritornello rap da pubblicità del cornetto Algida, cantabile pure da un bambino di otto anni. Mentre Rose Villain qualcosa a metà tra rap e dance pop buono per gli adolescenti. Il Tre potrebbe presentarsi sul palco e irrompere con un “bro, top, mamma mia la polizia” sciorinato in cassa dritta, aiutato da un outfit incomprensibile per quelli dell’Ariston ma utile per le riviste di moda. E Gazzelle? Tre accordi di cui nessuno si ricorderà, tranne qualche studente fuori sede malinconico alle prese con gli esami e dei panni sporchi da lavare nella casa in affitto a venti chilometri dall’università. Quasi dimentichiamo BigMama, all’anagrafe Marianna Mammone, in teoria l’unica rapper autentica e con qualcosa da dire. Vuoi vedere che alla fine sarà proprio lei a stupire tutti o quantomeno quelli brutti che odiano o commentano male il Festival per partito preso? O magari le tre nuove proposte che si aggiungeranno ai big dopo la finale di Sanremo Giovani del 19 dicembre. Chi ascolterà, vedrà.